16/10/2020
Il conflitto armeno-azero nello spazio post-sovietico
La Russia smetterà di prendere l’Occidente a modello di riferimento: parola del Ministro degli esteri Sergej Lavrov. Si deve “cessare di guardare ai nostri colleghi occidentali, UE compresa, quale metro di valutazione della nostra condotta… e di misurarci con il loro aršin [antica misura russa che corrispondeva a 71,12 cm; ndt]. Loro non hanno l’aršin, hanno i pollici”.
L’uscita di Lavrov è venuta in risposta alle dichiarazioni sia del Consiglio europeo, sulla vicenda Naval’nyj, sia della von der Leyen, sul dialogo col Cremlino. Mosca, ha detto Lavrov, dubita delle capacità di accordo della UE: basti guardare al “Nord Stream 2” e alla direttiva sul clima, modificata retroattivamente solo per complicare la costruzione del gasdotto, oppure all’appoggio al golpe in Ucraina, con la UE che violò l’accordo concluso tra Viktor Janukovič e l’opposizione.
“I responsabili della politica estera occidentale non comprendono la necessità di un dialogo reciprocamente rispettoso. Forse dovremmo smettere per un po’ di dialogare con loro. Tanto più che Ursula von der Leyen afferma che sia impossibile un partenariato geopolitico con le attuali autorità russe. Così sia, se è quello che vogliono”.
E se questo è l’atteggiamento occidentale, non sembra però che nemmeno i soggetti del cosiddetto “spazio post-sovietico” tengano oggi in particolar conto i rapporti con Mosca.
Il cessate il fuoco di 72 ore tra Armenia e Azerbajdžan, non è durato che qualche ora e al momento il conflitto sembra anzi intensificarsi; mentre tre-quattromila chilometri più a est, a Biškek, continuano a rincorrersi notizie sulle dimissioni del presidente Sooronbaj Žäänbekov, prima smentite, poi confermate, col primo ministro Sadyr Žaparov che assume le funzioni di Presidente, dopo la rinuncia dello speaker del parlamento Kanat Isaev.
In entrambi i casi, le potenzialità russe appaiono per ora solo nominali. Nel primo caso, la mediazione tentata una settimana fa proprio da Sergej Lavrov tra Džejkhun Bajramov e Zograb Mnatsakanjan ha dato frutti men che apprezzabili; nel secondo, un partner strategico di Mosca nella regione centro-asiatica sembra sul punto di precipitare nella guerra civile.
“Non c’è niente di più prezioso per me della vita di ogni mio connazionale”, ha detto un paio di giorni fa Žäänbekov; non sto “aggrappato al potere. Non voglio rimanere nella storia del Kirgizstan come il Presidente che ha versato il sangue dei propri cittadini. Così ho deciso di dare le dimissioni”. In ogni caso, gli osservatori dubitano che il passo possa veramente pacificare la situazione.
A proposito del Karabakh, Sergej Kuz’micëv scrive su iarex.ru che, a dar credito alle dichiarazioni sia di Erevan che di Baku, l’intero Caucaso meridionale dovrebbe essere ricoperto di alcuni strati di cadaveri dell’una e dell’altra parte, carcasse di aerei, carri armati e di droni.
Al momento, i droni da bombardamento e da osservazione, forniti a Baku da Ankara e Tel Aviv, pur distruttivi, soprattutto nei confronti delle artiglierie di Stepanakert, non paiono alterare il sostanziale equilibrio militare e l’operazione lanciata da Baku “per liberare la regione occupata nel 1991” segna il passo, mentre Erevan pare accontentarsi di respingere gli attacchi e tenere sgombre le vie d’accesso alla Repubblica di Artsakh, abitata prevalentemente da popolazione armena.
A questo punto, scrive Kuz’micëv, Erevan e Baku si trovano di fronte a un bivio: la guerra non ha portato sinora risultati concreti, ma qualsiasi passo verso concessioni reciproche potrebbe risultare esiziale per entrambe. Per l’attuale governo armeno, che strappò il potere nel 2018 alla compagine coinvolta nella precedente “guerra del Karabakh“, sarebbe la via diretta verso la fine.
Per il presidente azero Il’ham Aliev, sempre più legato a Erdogan, potrebbero rivelarsi fatali, oltre ai “patrii falchi”, anche gli “oppositori moderati siriani” portati da Ankara, che stanno ridando fiato agli islamisti azeri. E, ancora ieri, Aliev ha dichiarato alla turca NTV di esser contrario all’introduzione, al momento, di forze di pace in Karabakh.
Sempre su iarex.ru, Stanislav Tarasov rileva le “strane tesi” espresse da Aliev in un’intervista alla turca Haber Global, a proposito dell’inclusione di Ankara nei negoziati condotti dal gruppo di Minsk dell’OSCE: “In questa fase non è prevista”, ha detto Aliev, dato che si tratta “solo di un cessate il fuoco per motivi umanitari e non di trattative”; inoltre, “tali trattative sono infruttuose e non hanno prodotto alcun risultato”.
Ma, “in ogni caso, de iure o de facto la Turchia deve necessariamente partecipare alla soluzione di questo problema. Già vi prende parte: non è un segreto che teniamo regolari consultazioni con la Turchia fin dal 27 settembre”, cioè dallo scoppio del conflitto.
Tali dichiarazioni, scrive Tarasov, costituiscono una sfida non solo ai paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk (Russia, Francia, USA) ma anche a Putin personalmente, dato che, come sottolinea la turca Milliyet, Erdogan e Aliev lo stanno provocando a una posizione radicalmente diversa sul Nagorno-Karabakh, tale per cui Mosca dovrebbe condividere con la Turchia le proprie posizioni in Transcaucasia.
Vale a dire, “ritrasmettere in questa regione gli sconvolgimenti del Medio Oriente e collegarli agli eventi” del Caucaso. Così che, l’attuale conflitto per il Karabakh non è che un episodio del “grande gioco in atto per gli equilibri di potere nel vasto spazio geopolitico di un Grande Medio Oriente”.
Il pericolo dunque, osserva Tarasov, è che l’intera regione del Caucaso possa esplodere, come nei Balcani, portando alla frammentazione degli Stati esistenti e alla nascita di nuovi Stati, oltre che aprire le porte all’intervento militare non solo delle potenze regionali, come Turchia e Iran, ma anche (in misura diversa) delle grandi potenze.
È così che i Guardiani della rivoluzione iraniani si sono espressi due giorni fa per una soluzione pacifica in Artsakh, ritenendo che una “escalation del conflitto tra Azerbajdžan e Armenia non sia altro che un tentativo di organizzare una sollevazione americano-sionista nella regione”.
Secondo il generale Asghar Abbas-Kulizadeh, vicecomandante del Corpo “Ashura”, i nemici “dell’Islam e della Rivoluzione non esiteranno a colpire la Repubblica Islamica. Oggi, l’obiettivo principale dei nemici è seminare divisioni nella regione”.
Intanto, hanno preso il via all’Assemblea Nazionale francese le udienze sul riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Artsakh, sul coinvolgimento della Turchia e la presenza di mercenari.
“Un progetto di legge in proposito è stato presentato alla Camera bassa dell’Assemblea nazionale francese”, ha dichiarato a Armenpress David Papazjan, direttore esecutivo della Fondazione di Stato per gli interessi dell’Armenia, mentre il Ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drienne ha accusato Ankara di violare il cessate il fuoco.
Dunque, qual è il ruolo riservato a Mosca in questo quadro? A parere del politologo Dmitrij Evstaf’ev, l’élite politica russa si sta rendendo conto che non esiste oggi alcuno “spazio post-sovietico”: esso si è come “disintegrato, degradato”.
Così, non esiste alcuna “Eurasia post-sovietica, c’è un terreno selvaggio, in cui agiscono forze assolutamente diverse, che non tengono in nessun conto la Russia; organizzazioni apertamente gangsteristiche”, che non sono solo i “Lupi Grigi” turchi.
Oggi non sussiste alcuna “base istituzionale per rafforzare la nostra influenza nello spazio post-sovietico. Possiamo scordarci di tutte queste organizzazioni burocratiche, dall’Unione economica euroasiatica, al Trattato per la sicurezza collettiva”.
Nello specifico del conflitto in corso, Evstaf’ev ricorda come il tema al centro dei social network armeni sia oggi che “Putin ha di nuovo privato gli armeni della vittoria”: volevano arrivare fino a Baku ed ecco che invece sono arrivati i soliti russi a “rubarci la vittoria”.
Al tempo stesso, il politologo si è detto turbato dalle dichiarazioni di Aliev alla CNN: ha portato giustificazioni “per la partecipazione dei turchi e per l’inizio del conflitto. Ho visto un uomo spaventato: non sa cosa fare. Ho l’impressione che sia in una dipendenza molto pericolosa da coloro che ha invitato, i radicali turchi e islamisti. Forse la Russia dovrebbe pensare a cosa fare per aiutarlo a liberarsi dell’eccessiva influenza di quelle persone”.
Stiamo tralasciando ciò che “succede nell’area del mar Caspio”, ha detto ancora Evstaf’ev; “guardate cosa stanno facendo gli americani nel Vicino e Medio Oriente. Praticamente in due mesi, sotto la copertura dei discorsi sul ritiro delle truppe dal Medio Oriente, hanno quasi completato il perimetro di isolamento dell’Iran. E non escludo che il nostro ‘meraviglioso partner‘ Erdogan stia preparando il salto per lui più importante: dalla costa occidentale a quella orientale del Caspio. Perché Erdogan agisce sempre in base al principio di riempire il vuoto: un vuoto che noi stessi abbiamo creato, distruggendo prima l’URSS, senza creare organizzazioni efficienti nello spazio post-sovietico, infischiandocene di reindustrializzare l’Eurasia, un’opportunità che avevamo avuto a cavallo del 2000. Così, Erdogan riempirà il vuoto: un vuoto che, sulla costa orientale del Caspio, si chiama Turkmenija, Kazakhstan, Uzbekistan”, ecc.
Mosca è avvertita.
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