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29/10/2020

L’Europa dei mezzi lockdown corre verso il baratro

L’Europa (non) si ferma. Nemmeno davanti alla constatazione di essere il continente in cui la pandemia ha ripreso a correre con maggiore velocità. Col suo carico di morti e la prevedibile inchiodata dell’economia, ossia quello che si voleva a tutti i costi evitare, anche a rischio di una strage di dimensioni belliche.

Dall’Unione Europea, invece, tutto tace. Che cazzo c’entra un’istituzione del genere con una pandemia? Niente. È nata per governare i rapporti di forza economici tra multinazionali e Paesi, mica per tutelare il benessere delle popolazioni...

Tutti i governi del Vecchio Continente stanno adottando le stesse, identiche, misure. Lockdown “morbidi”, che riguardano – come in Italia, nessuna differenza sostanziale – tutte le attività del tempo libero (ristoranti, bar, palestre, cinema, teatri, ecc.), con divieti anche per quanto riguarda l’ospitare in casa parenti, amici e conoscenti.

Vietate in alcuni casi – e questo dà il segno politico più grave – le manifestazioni in genere. La motivazione finge preoccupazione per la salute della popolazione, in realtà cerca di blindare le città da contestazioni che cominciano a diventare “virali”, anche se con partecipazione di soggetti di estrazione molto disomogenea (con i fascisti pagati per fare “l’opposizione della Corona”).

Come spiegano gli scienziati migliori – quelli che non cercano di compiacere il governo di turno, in fondo tutti simili – il pericolo di contagio viene dagli “assembramenti”. E il virus non distingue tra lavoro in fabbrica, lezioni a scuola, gradinate degli stadi (in Germania li chiudono soltanto ora!), calca su metro e bus, apericena e bordelli.

I governi invece sì. La linea europea unica è riassumibile con le parole di Macron, ieri sera, nell’annunciare uno stranissimo lockdown: “Tutti quelli che potranno rimanere a casa, dovranno farlo”, ha annunciato. “Ma resteranno aperte uffici pubblici, aziende agricole, alcune fabbriche perché l’economia non può affondare“.

Come dovrebbe ormai essere chiaro, questa linea – adottata fin dal primo giorno in tutto l’Occidente neoliberista (ma ancora peggio in Usa, Brasile, Gran Bretagna) è riuscita ad ottenere lo “straordinario miracolo” di far crollare l’economia molto più pesantemente di quanto non sarebbe avvenuto con lockdown "rapidi", mirati ad isolare i focolai e tracciare i contatti dei contagiati.

Non c’è dunque ragione di dubitare che queste misure saranno rese ancora più restrittive tra un paio di settimane, perché l’andamento dei contagi – con le fabbriche (dappertutto) e le scuole aperte (come in Francia) – non potrà che crescere. Con una velocità leggermente inferiore, certo, ma senza alcuna “retrocessione” della tendenza.

Chiusure e crollo dell’economia aumenteranno di dimensioni e gravità, senza peraltro sradicare affatto la pandemia. Il “modello” che ha reso possibile questo risultato in Cina (e Cuba, Vietnam, Kerala – mentre il resto dell’India sta precipitando nel baratro, con oltre 8 milioni di contagiati) è chiarissimo. E ha permesso di ridurre al minimo le perdite, sia umane che economiche.

E già dover scrivere una frase del genere dà la misura della follia con cui l’Occidente neoliberista ha affrontato il Covid: come se un’economia potesse essere conservata “sana e forte” in presenza di una popolazione che si ammala o contagia in massa.

Eppure è quello che continuano a chiedere le Confindustria di tutti i paesi europei (e non). Ancora ieri, per esempio, Carlo Bonomi è tornato a chiedere libertà di licenziamento e fine della cassa integrazione ordinaria (quella pagata con i contributi di lavoratori ed imprese); mentre accetta di buon grado quella straordinaria, detta “Covid”, perché pagata tutta dallo Stato.

È quello di cui si fanno interpreti i “Giuseppi” Conte, gli Attilio Fontana e i Beppe Sala. E che non trova alcuna opposizione nella “triplice sindacale”, ferma alla banale richiesta di “prolungamento della cassa integrazione fino a fine inverno”.

La misura della fetida complicità di CgilCislUil è data dalla segretaria Cisl, Annamaria Furlan, che forse neanche si rende conto di quel che dice: “Non abbiamo ancora riformato gli ammortizzatori sociali e non abbiamo ancora quelle politiche attive che accompagnino il lavoratore da una occupazione ad un altra”. Come se, in una situazione del genere, ci fossero “altri lavori” verso cui dirottare i dipendenti che Confindustria vorrebbe licenziare subito...

Il fatto è che la cosiddetta “economia” non è un blocco omogeneo in cui tutti guadagnano o perdono allo stesso modo. Alcune delle industrie che hanno grandi volumi di export con la Cina, per esempio, sono subissate di ordinativi. Mentre quelle “contoterziste” per i grandi gruppi di Germania e Francia seguono, mestamente, l’andamento dei loro capi-filiera.

Per chi invece produce per il mercato interno, la notte si fa buia. Il tracollo dei redditi da lavoro, già ora, riduce fortemente la domanda, anche per i beni di prima necessità. E stimola inevitabilmente la protesta e la richiesta di reddito e “ristori” (aiuti a fondo perduto alle imprese costrette a chiudere per il lockdown).

Se la situazione peggiorerà – e non c’è nulla che contrasti con questa ipotesi, visto che anche i mercati finanziari stanno mettendo fine al “disaccoppiamento” rispetto all’economia reale – presto ci potremmo trovare in totale assenza di controllo dell’epidemia.

Sarà insomma sempre più difficile chiedere di “restare in casa” (a tutti), ma “andate a lavorare” (ad una parte della popolazione), mentre il reddito disponibile scende al di sotto dei limiti della sopravvivenza.

Le conseguenze? Provate ad immaginarle. E smettete di leggere Repubblica, se volete riuscire a pensare...

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