Sono molti a pensare, soprattutto chi occupa di processi
produttivi, che anche quando finirà l’emergenza pandemica il mondo del lavoro
non tornerà più alle modalità che hanno l’hanno preceduta.
Una
ricerca presentata da Microsoft e realizzata da Bcg e Krc Research, su Remote
Working e Futuro del Lavoro, ha coinvolto oltre 9 mila manager e dipendenti di
grandi imprese in Europa. Di questi oltre 600 in Italia.
La ricerca
ha rivelato come nel 2020 le forme di lavoro flessibili – soprattutto il lavoro
da remoto o smart working – siano ormai presenti nel 76% delle imprese contro il
solo 19% del 2019. Praticamente sono quadruplicate in pochi mesi, ma in questo
boom convivono le
luci della modernizzazione e le ombre della regressione
sul piano delle condizioni di lavoratrici e lavoratori.
Secondo la ricerca, riportata da Milano Finanza del 16 ottobre, il
68% dei dipendenti con forme di lavoro da remoto ritiene di lavorare di più
rispetto alla giornata lavorativa in presenza sul posto di lavoro. Del resto i
dati sul rilevante
aumento della produttività con lo smart working
sono lì a confermarlo.
I lati positivi vengono indicati dai
lavoratori in un più agevole equilibrio tra lavoro e vita privata per il 42%,
mentre il 31% non vede affatto miglioramenti in questo senso e il 2% ritiene ci
sia stato un peggioramento.
La grande maggioranza dei dipendenti
mostrano di apprezzare i vantaggi dello smartworking come i risparmi potenziali
da 1.000 a 2.500 euro l’anno per il pranzo fuori casa, tra i 500 e 1.500 euro
per i trasporti e tra 5mila e 10mila euro per l’abitazione, che può essere
affittata anche in zone con prezzi più bassi o non più affittata nel caso di
lavoratrici/lavoratori fuorisede.
Nelle aziende si rileva una
valutazione meno univoca. Il 40% ritiene infatti prevedibile una riduzione dei
costi generali, anche superiore al 20% del totale; l’81% ritiene che la
produttività dei collaboratori in smartworking sia almeno pari a quella in
ufficio. Ma il venir meno della socialità sul posto di lavoro ha anche i suoi
effetti negativi per le aziende. Infatti molto spesso l’innovazione di prodotto,
servizio e processo, fattore più di altri legato alla collaborazione e alla
presenza fisica in luoghi di aggregazione e di scambio spontaneo di
informazioni, inclusa la macchinetta del caffè o la chiacchierata in mensa, è
infatti calata secondo la ricerca dal 40% del 2019 al 28% del 2020.
Il 61% dei manager intervistati ammette di aver avuto problemi a
delegare in modo efficace ed a supportare i team da remoto e il 63% confessa di
avere difficoltà nella promozione di una forte cultura di squadra in questo
scenario di lavoro da remoto.
Infine, ma questa domanda
nell’inchiesta non era contemplata, manager e dirigenti soffrono all’idea di
dover fare a meno “dell’occhio del padrone” sui dipendenti sul luogo di lavoro,
almeno finché i sistemi di controllo da remoto non diventeranno più invasivi.
Ma l’emergenza pandemica ha trovato le imprese anche molto
impreparate e arretrate nel cogliere l’occasione. Secondo la ricerca il 43% dei
lavoratori non ha infatti avuto a disposizione il minimo di hardware e servizi
necessari durante il lockdown, anche perché due aziende su tre investono meno di
1.000 euro l’anno per dipendente in strumenti e formazione.
Questa
ricerca ci consegna un quadro ormai abbastanza “testato” sia sul lato dei
lavoratori sia su quello delle aziende. Il ricorso al lavoro agile, incentivato
anche dalle misure adottate dal governo contro la pandemia, con molta
probabilità uscirà dalla dimensione emergenziale per diventare regola.
Ma proprio qui si rileva il punto dolente. Come ha scritto
giustamente l’Usb nelle sue quattordici proposte per “Costruire il futuro”,
siamo in presenza di un aumento esponenziale del lavoro a distanza che ha visto
il massiccio ricorso decontrattualizzato allo smart working senza le tutele
necessarie, da quelle salariali a quelle dell’orario di lavoro, dalla salute
alla sicurezza.
Si tratta a questo punto di smettere di registrare
le cose come inevitabili e di entrare nel merito di come regolarizzare il lavoro
agile, impedendo l’ennesima deregulation del mercato del lavoro... a danno di
lavoratrici e lavoratori e ad esclusivo vantaggio delle imprese.
Su
questo vedi anche:
Quando lo sfruttamento si fa smart
Quali sono le sorti progressive dello smart working?
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