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18/10/2020

Il “distanziamento” spiana la strada alla shut-in economy. Il capitalismo come incubo

Uno studio della società Kpmg di alcuni mesi fa, è arrivato alla conclusione che la pandemia da Covid-19 ha avuto “impatti dirompenti sulla vita di ciascuno di noi” ed ha "rivoluzionato le nostre abitudini, i rapporti interpersonali, le preferenze di acquisto e il nostro rapporto con la tecnologia”. Ma è bene sapere che la Kpmg è una società internazionale di consulenza e analisi sui consumi, i modelli di spesa e i comportamenti dei consumatori rispetto al mercato.

La seconda ondata della pandemia in cui siamo entrati – prevista e prevedibile ma sottovalutata sia dalle autorità politiche/sanitarie sia dalle persone – sta rimettendo tutta la società alla possibilità – e al rischio – di convertirsi in una shut-in economy e di conseguenza in una shut-in society. Ossia una economia e una società al chiuso, confinata, distanziata. Uno scenario distopico ma oggi realistico, di cui abbiamo parlato con largo anticipo su Contropiano.

Il fattore determinante è diventato il distanziamento sociale con tutte le sue articolazioni: dall’introduzione massiccia dello smart working nel mondo del lavoro, all’incremento degli acquisti online, allo stravolgimento nel settore degli eventi e dell’intrattenimento con attività legate allo sport, ai concerti, ai teatri e musei che hanno dovuto ripensare le modalità di interazione con i clienti.

Secondo i risultati di una ricerca dell’Ipsos, poi elaborati da KPMG, tra i principali desideri delle persone alla fine del lockdown , gran parte indicavano la possibilità di uscire a mangiare o a bere qualcosa (39%), di incontrare i propri familiari (36%), di vedere gli amici (33%). Solo il 13% indicava lo shopping.

Abitudini scontate prima della diffusione del Covid 19, ma gli effetti del distanziamento sociale – diventato quasi l’unico rimedio a portata di mano e incentivato dalle autorità, anche con le sanzioni – potrebbero influenzare pesantemente il nostro modo di vivere anche nel lungo periodo.

La ricerca segnala una sorta di “antropologia del consumatore” radicalmente diversa rispetto al passato. Viene infatti incrementato il tempo da trascorrere in casa sia con lo smart working sia riducendo le relazioni sociali ai propri familiari.

Ma nelle analisi di Kpmg si arriva anche a concetti più sofisticati, come gli impatti emotivi dell’isolamento, la revisione della scala dei valori personali, degli aspetti aspirazionali e della rifocalizzazione su elementi identitari rispetto a quelli di status. Nella profilazione dei clienti, gli aspetti psicologici stanno acquistando un’importanza crescente rispetto a tutte le altre variabili socio-demografiche.

Le nuove abitudini conseguenti alle misure di lockdown e al distanziamento sociale, hanno spostato verso i canali online la domanda di prodotti e di soddisfazione dei bisogni meno impellenti, ma che fanno qualità della vita (pensiamo ai film, la musica, gli eventi sportivi).

“Sono tempi perfetti per lo sviluppo della shut-in economy cioè l’economia relativa a tutto quello che ordiniamo e ci facciamo arrivare direttamente a casa. Cambieranno tante cose, la scuola, la sanità, l’attività fisica, la socialità” scrive la Fondazione Leonardo.

Secondo Francesco Pontorno, analista della Fondazione, questa economia chiusa è tutt’altro che condivisa. Al contrario non sarà affatto “sharing” ma appunto “shut-in”.

“La shut-in economy che già sta cambiando le nostre vite da alcuni anni, avrà un’ulteriore importante crescita. Quindi tutti i servizi on-demand di cui godiamo ogni giorno, le piattaforme di film, serie, documentari, il cibo, e la scoperta molto tardiva dello smart working, il lavoro da remoto, da casa, tutto l’infinito elenco di cose che già facciamo con il digitale diventerà ancora più nutrito e talvolta freddo (i corrieri lasceranno i pacchi lontano da noi e via dicendo)” sostiene Pontorno, confermando in modo distopico quanto scriveva Lauren Smiley nel 2015 (online naturalmente) nel definire la shut-in economy: "non è un’economia dello sharing, della condivisione, ma un’economia di chiusure, di reclusioni”.

E poi qualche giorno fa è arrivato il prof. Pregliasco che dalle pagine del Corriere della Sera ha detto pubblicamente quello che il Partito Trasversale del Pil sta già cercando di imporre come modello: “Va sottoscritto un grande patto sociale. Un grande sforzo collettivo per ridurre i contatti al minimo indispensabile. Scuola, lavoro: il resto ora va stornato“. Uno scenario, quello del prof. Pregliasco, che somiglia fin troppo al comportamento sociale che i padroni desiderano ardentemente per noi: produci, consuma, crepa!!

Come noto sosteniamo convintamente che le misure di cautela individuale e familiare vadano adottate con serietà per impedire la diffusione del virus. Quindi mascherine, distanziamento necessario, igiene e sanificazione frequente. L’emergenza pandemica c’è, va affrontata e superata. Ma va affrontata anche con capacità di discernimento sul congiunturale e sullo strutturale, su quello che è necessario oggi e può diventare rischioso domani. L’emergenza è diversa dalla normalità.

Per questo se il modello del distanziamento (emergenziale) diventa un modello di società (normale) che impone il distanziamento come regola nelle relazioni sociali, il lavoro da remoto e non in gruppo, la didattica a distanza invece che in presenza, gli acquisti online piuttosto che di persona, un tempo maggiore passato nelle mura domestiche rispetto a quello passato fuori, siamo veramente disposti ad accettarla senza combattere con ogni mezzo per una società alternativa o quantomeno condivisa?

Quell’essere umano inteso come risultato delle sue relazioni sociali vogliamo veramente ridurlo a un misero input in appendice ad un sistema di click? Il capitalismo si sta rivelando ormai apertamente regressivo negli scenari sociali che delinea. Ètempo di rovesciarlo per sopravvivere e sopravvivere bene, ricordandosi sempre che “il meglio è nemico del bene”.

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