Illustri studiosi della Bibbia vedono nella conclusione dei Tempi dei Gentili l’inizio della fine, l’avvio dell’ultima fase terrena prima dell’Armageddon e del ripristino del Regno di Dio. Negli ultimi giorni, ascoltando le dichiarazioni del Commissario Europeo Paolo Gentiloni, potremmo essere portati a pensare che ci apprestiamo, con le dovute accortezze, ad un passaggio simile. Gentiloni ha infatti messo in guardia l’Italia dall’elevato debito pubblico, criticando l’eccessiva generosità della prossima Legge di bilancio. Ascoltando Gentiloni, potremmo pensare che l’inizio della fine sia oramai giunto. Come vedremo, le sue dichiarazioni non delineano nessuno spartiacque essenziale, ma si ascrivono perfettamente alla lunga lista di regole del gioco, quelle dell’assetto politico ed istituzionale dell’Unione Europea, in cui ormai viviamo da anni. A ben vedere, la fine è iniziata quando l’Italia si è legata mani e piedi alle regole classiste europee.
Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo al marzo scorso, nelle settimane più buie della pandemia, nei primi giorni del lockdown. Assistemmo, in quei momenti concitati, ad un’infinita serie di proclami che sembravano farci credere come per gli Stati membri dell’Unione Europea fosse giunto davvero il momento di mettere la mano al portafoglio, iniettando nel sistema miliardi di risorse per tamponare gli effetti drammatici della pandemia e delle misure adottate per contenerne la diffusione. In quei giorni, il debito pubblico sembrava non rappresentare più un problema nemmeno per i più sodali rappresentanti del pensiero economico dominante e del liberismo più oltranzista. Il leitmotiv era grossomodo il seguente: siamo di fronte ad una situazione di emergenza, le attività chiudono, le persone perdono il lavoro, occorre fare tutto il possibile per frenare gli effetti sanguinosi della pandemia sul reddito e sull’occupazione. Tradotto, occorre che l’attore pubblico faccia tutto il necessario per arginare le conseguenze della più grande recessione in tempo di pace. Al coro degli interventisti si iscrissero in molti: apparentemente, anche l’insospettabile Unione Europea, che aveva sempre dato prova di tenere la barra dritta sull’austerità, introdusse la sospensione (attenzione, non si è mai osato parlare di cancellazione) del Patto di Stabilità, sollevando facili entusiasmi in coloro i quali vedevano all’orizzonte una nuova stagione di prosperità. Gli europeisti convinti si spellavano le mani, vedendo l’occasione migliore per riformare questa Europa, perché un’altra Europa sembrava possibile.
Tutto ciò subodorava di pura propaganda. Il celebratissimo Recovery Fund, nella migliore delle ipotesi, partirà a metà 2021, e sarà subordinato all’accettazione di condizioni stringenti – per giunta, l’erogazione dei fondi sarà sotto il ricatto dei Paesi del nord Europa. Il cappio del MES, qualche miliardo fresco di conio in cambio di misure lacrime e sangue, era e rimane una proposta tutt’altro che allettante. Gli interventi messi in campo dal Governo si stanno rivelando largamente insufficienti. Davanti a noi, la cruda realtà: i recenti dati OCSE indicano che chiuderemo il 2020 con una contrazione del PIL del 9,1%, e che il rimbalzo del prossimo anno sarà più moderato di quanto precedentemente previsto (4,3% e non 5,4%). In tutto ciò, le fila dei disoccupati si allungano (disoccupazione prevista all’11% nel 2021, contro il 9,4% di inizio 2020), la povertà dilaga e la concentrazione della ricchezza aumenta. Qualora servisse ribadirlo, il sistema sanitario è al collasso, per via della lunga stagione dei tagli e dei risibili sforzi fatti quest’anno. Un affresco, questo, che dovrebbe necessariamente portarci a pensare che se davvero vogliamo uscire da questa crisi occorre fare di più in termini di spesa e investimenti pubblici.
Ed eccoci giunti alle dichiarazioni di Gentiloni, il ‘volto buono’ della Commissione Europea. Davanti ad una timida Legge di Bilancio che prevede solo 18 miliardi di spese aggiuntive (rispetto all’anno in corso secondo la legislazione vigente), il Commissario non si è perso in fronzoli, e ha invitato l’Italia a mettere i conti in ordine nei prossimi anni. Nelle sue parole, “Non si può non considerare l’importanza di far calare il debito nel medio termine… i Paesi che hanno un debito alto devono porsi il problema di avere politiche prudenti per porre il debito in un percorso discendente”. Detto in altri termini, se quest’anno si è lasciato correre sul deficit, non potrà essere così per gli anni a venire. Il Patto di Stabilità e tutte le sue implicazioni in materia di austerità, l’unica veste dell’Unione Europea, stanno per tornare a riappropriarsi della scena: tra tre anni, torneranno i tagli, anche nel comparto sanitario.
Se facessimo, tuttavia, qualche piccolo passo indietro, e tornassimo per un attimo al contenuto dell’ultima NADEF, ci accorgeremmo che le ultime dichiarazioni di Gentiloni non rappresentano nessuna novità, nessun inizio della fine del periodo di grazia. I numeri della NADEF sono infatti fin troppo cristallini, e ci indicano che il Governo si è già portato avanti coi compiti a casa: ben prima delle parole di Gentiloni, è stato messo nero su bianco che nel giro di un triennio si tornerà a politiche di avanzo primario, procedendo in modo quasi naturale nel sentiero dell’austerità fiscale. A ben vedere, si tratta di un tracciato, quello dell’austerità, da cui non si è mai deviato, nemmeno di fronte all’emergenza: i disavanzi primari del periodo 2020-2022 sono e saranno nell’essenziale legati al crollo delle entrate fiscali dovuto alla crisi, e non a scelte discontinue in merito al livello di spesa pubblica. Si è deciso di attenersi, anche in questa fase emergenziale e negli anni che verranno, alla ben definita strada delle regole del gioco europee. Regole che non rispondono a nessuna logica tecnica, vincoli e tetti di spesa che non sono dettati dal caso o dall’errore, ma che rispondono a precise volontà politiche e di classe. Teniamolo a mente quando l’emergenza sanitaria sarà passata ma i suoi effetti drammatici dal punto di vista economico e sociale continueranno a protrarsi.
Ecco che i Tempi dei Gentili non sono finiti per bocca del Commissario di turno, non esistono, e non sono mai esistiti nell’era dell’integrazione europea. Gentiloni ci sta solo ricordando il normale funzionamento dell’Unione Europea, l’unica che esiste e l’unica possibile: non ci sono pasti gratis, non c’è alcun modo di perseguire la strada della piena occupazione e della lotta alla disuguaglianza. Anche durante il periodo più feroce della pandemia, l’Unione Europea ha concesso meno del minimo indispensabile, e nella logica della sua costruzione anche queste briciole rappresentano uno sgarro che si può tollerare solo per pochi mesi: passata (si spera) la pandemia, si potrà tranquillamente tornare all’ormai endemica disoccupazione a due cifre. E nemmeno di fronte ad una sciagura che ha stravolto le nostre vite, che ha portato migliaia di morti e che ha messo sul lastrico milioni di persone, il Governo ha tentato di deviare dal vicolo cieco dell’austerità di matrice europea, quel vicolo cieco che scientemente causa miseria, precarietà e disoccupazione.
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