di Nevio Gambula
Non posso tacere, amici miei. Circondato da persone disabituate a pensare, devote al culto delle merci e al rispetto di una realtà malata, voglio ora dirvi di una grave contraddizione che aleggia sinistra sulle nostre teste.
Non posso tacere, no. Si dice che un giorno, quando il calendario segnerà il 7 del mese di gennaio, noi riapriremo le attività. Dopo averle a lungo tenute chiuse, quando il paese sarà messo in sicurezza grazie alle restrizioni decise dal governo, ci troveremo nella condizione di ripartire, e grande sarà la nostra gioia allorché riprenderemo a vivere fuori dalle mura domestiche.
Ma non affrettatevi. È ancora presto e non ha senso affollare le strade prima di quella data. Non possiamo permetterci di avere fretta.
Dobbiamo restare in casa – o comunque, dobbiamo limitare i contatti, gli incontri, gli abbracci, per evitare di contrarre o fare circolare il virus, pirata crudele della nostra contemporaneità. Il premier Conte è stato chiaro: «le restrizioni a Natale servono per evitare la terza ondata».
Quando preparate, col candore negli occhi, il vostro albero natalizio, ricordatevi di queste parole e della promessa – e placate la vostra pulsione a uscire: ancor più grande sarà la vostra gioia quando, alla data indicata dal governo, il Paese ripartirà. Il 7 di gennaio non è lontano, abbiate pazienza.
Ma il vostro cuore si prepari all’incredibile. Voi che ora vi trattenete e vi nutrite di pazienza, preparatevi al tradimento, all’imbroglio, alla truffa. Tutte queste promesse, tutti gli inviti a fermarsi oggi per ripartire domani sono dubbi, e lo sguardo scettico scopre che nei dati odierni continua a dimorare la rovina di domani.
Io, che sento lo scricchiolio sinistro della nave, osservo che le restrizioni non contengono il virus e mi è d’obbligo mettervi sull’avviso: «la terza ondata sarà inevitabile». Perdonate questa solennità tragica.
Non sono un diavolo malvagio, non sono un disfattista, non sono un corvo nero; sono solo uno che non crede alle promesse fatte da chi ha già avuto modo, solo poco tempo fa, di non mantenerne altre. Chi promette deve mantenere.
Ognuno di voi, lo sapete, ha fatto sacrifici – e, dentro il cuore della pandemia, ha allontanato affetti, si è distaccato dal lavoro, per mesi ha incassato meno. Si poteva fare diversamente? Probabilmente, sì. Ma non è tempo per il rimpianto.
Ora guardatevi negli occhi e ditevi che date fiducia al governo e seguite i suoi consigli: non uscite, trattenetevi nella festa, ubriacatevi da soli. Un altro sacrificio, sino al 7 del mese di gennaio.
Da quel giorno, se le restrizioni non saranno servite, se i sacrifici saranno stati inutili, se gli stenti, le perdite, l’infelicità, lo stress e ogni piccolissimo svantaggio, anche il meno visibile, si riveleranno un viaggio agli inferi, e il contenimento avrà fallito e il governo non sarà stato in grado di impedire la terza ondata, da quel giorno siete invitati al gran banchetto crudele che io stesso allestirò per voi.
Io stesso staccherò la loro pelle, con bisturi affilato; sempre io, spogliato della mia proverbiale tolleranza, esporrò la loro carne al fuoco, dopo averla lacerata; e sarò sempre io colui che accenderà la fiamma e che, in attesa della giusta cottura, apparecchierà la tavola: e con vezzo d’attore, io reciterò un’orazione funebre sui loro cadaveri abbrustoliti.
Il libro Quèlet lo dice: «Guai a chi è negligente! Fa quello che hai promesso. [Altrimenti] attirerai su di te la collera di Dio e il giusto castigo». Io sarò la collera di Dio.
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