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13/12/2020

Brasile - Le elezioni presidenziali del 2022 celano il grave stato di crisi

Il 29 novembre si è concluso il secondo turno delle elezioni municipali, registrando risultati contraddittori per il governo, ma anche per la sinistra e in particolare per il PT.

Subito dopo, nonostante la gravissima crisi economica, sanitaria e sociale, l’illusionismo elettorale è nuovamente ripartito alla grande, grazie all’irresponsabile manipolazione dei media e alle strategie messe in campo dall’establishment governativo e dai differenti gruppi di potere che controllano sia i partiti conservatori che quelli moderati del centrodestra.

Un contesto che si scontra frontalmente con il caos provocato dalla pandemia da Covid-19, che, “ufficialmente”, ha contagiato 6.781.799 brasiliani, di cui 179.765 deceduti negli ospedali pubblici del SUS (1), attualmente collassati e in stato di abbandono, grazie all’incompetenza del ministro della Salute, il generale Eduardo Pazuello.

Altre fonti “ufficiose” indicano infatti che le vittime della pandemia sarebbero più di 500.000, visto che nelle statistiche del SUS non appaiono le vittime del Covid morte nelle “favelas” delle città e tanto meno nelle zone agricole.

Comunque l’aspetto più drammatico, che i media brasiliani nascondono, è la situazione economica di 21 milioni di brasiliani che, secondo l’IBGE (2), a partire dal 1 gennaio 2021 sarà di “povertà assoluta”, visto che il presidente Bolsonaro e il suo ministro dell’Economia, Paulo Guedes, hanno deciso di sospendere il ”bonus di sussistenza”.

In questo modo, il reddito mensile di questa massa di diseredati sarà di appena 30 Reais al mese, vale a dire meno di 10 euro!

Al tempo stesso, l’IBGE informa che nel 2020, la disoccupazione è aumentata di 3 milioni di unità, registrando il record storico di 13 milioni, cui si devono sommare altri 6 milioni di brasiliani, cosiddetti “desalentados”, che hanno rinunciato a trovare lavoro, vivendo “alla giornata”.

Quindi, l’IBGE sottolinea che dei 218 milioni di brasiliani solo 105.519.431 sono considerati “economicamente attivi”, mentre altri 72.137391 sarebbero “inattivi”!

Questi dati avrebbero dovuto infiammare le elezioni nei 5.570 comuni, in particolare nelle 57 città con più di 200.000 abitanti, dove il dramma delle “favelas” è diventata una vera e propria piaga sociale, aggravata dalla violenza poliziesca che – con il governo Bolsonaro – ha trasformato questi enormi quartieri popolari in autentiche “zone di caccia”.

Basti pensare che quest’anno gli attacchi della polizia nelle “favelas” hanno provocato la morte di 22 bambini (nel 2019 furono 24); ultimi di questa triste lista, Emily Victoria di 4 anni e Rebecca Beatriz di 7 assassinate dalla polizia sulla porta di casa.

Una violenza che, logicamente, colpisce principalmente i cosiddetti “escurinhos”, cioè i giovani neri e mulatti delle “favelas”, sospettati di essere membri dei “narcos” o membri delle numerose gang giovanili. Per esempio, quest’anno nello stato di Bahia, dei 650 giovani abbattuti a fucilate dalla polizia il 97% erano “escurinhos”. Una percentuale che si ripete in quasi tutti gli altri stati della federazione brasiliana.

Per Tarso Genro, antico ministro della giustizia nel primo governo del PT “La morte violenta è l’attrattiva più forte del fascismo... È, quindi, l’azione che rivela l’essenza dello Stato Liberale, incapace di assistere i più deboli e che per risolvere la propria crisi, ricorre a individui come Trump, Mussolini, Hitler o Bolsonaro...”.

Oggi, dopo due anni di governo di Jair Bolsonaro, il Brasile vive una situazione caotica che rischia di aggravarsi sempre più, a tal punto che molti analisti restano perplessi, non riuscendo a intravedere soluzioni reali per un contesto dove le istituzioni – primo fra tutti il governo – sono diventate un complemento della dilagante corruzione e delle richieste sempre più voraci delle componenti lobbistiche ed evangeliche, che oggi controllano il Parlamento.

Infatti, vedendo questa situazione dall’esterno, è normale chiedersi perché questa drammatica situazione sociale, economica e finanziaria continua inalterata? Perché in queste elezioni municipali 35% degli elettori non hanno votato? Perché la maggior parte degli elettori – tra cui ampie fasce di proletariato e di operai – hanno votato i candidati dei partiti responsabili di questa crisi? Perché l’opposizione di sinistra (PT, PSOL, PDT, PSB, PSTU e PCO) non è cresciuta come tutti speravano? Perché il PT, per la prima volta nella sua storia, non governerà nessuna delle 27 capitali degli stati della federazione, lasciando alla destra l’amministrazione di 73 comuni, dei 260 conquistati nel 2016?

Il líder storico del MST (3), João Pedro Stédile, è stato uno dei pochi che nella sinistra ha cercato di sistematizzare i controversi risultati di queste elezioni municipali che presenterebbero diverse sfaccettature.

“Nella maggior parte dei casi, soprattutto nelle capitali, la disputa elettorale non ha toccato i programmi politici e tanto meno i partiti. La maggior parte degli elettori si è sentita attratta più dai nomi di certe figure che dalle proposte politiche. In alcune città, dove l’astensione è arrivata al 50%, è risultato evidente che l’alienazione e il discredito per le elezioni è una conseguenza diretta dell’incapacità dei partiti e dei loro candidati di promuovere in gran parte della popolazione l’interesse per la politica. Infatti, in alcuni casi, certi candidati dei partiti conservatori hanno mostrato più carisma di alcuni candidati dei partiti progressisti...“.

Concludendo, poi, con un severo avviso: “...Oggi le fake news hanno dimostrato di avere una grande capacità di manipolazione in favore della destra. Allo stesso tempo, l’inerzia delle masse, la forza della macchina istituzionale controllata dal governo, il potere finanziario dei partiti e delle lobby hanno permesso ai media di bombardare per un anno intero gli elettori, dicendogli che la sinistra era disunita, che non aveva un leader e tanto meno programmi politici. Un attacco che ha pesato nella campagna elettorale della sinistra, che, da parte sua ha preferito sviluppare un discorso moderato”.

Di nuovo elezioni nel 2022

Ogni due anni i brasiliani sono chiamati alle urne. Infatti dopo le elezioni municipali nel 2020 ci saranno quelle presidenziali nel 2022, cui sono accorpate quelle di 27 governatori, di deputati e senatori per il Parlamento federale in Brasilia, e quella dei deputati per i parlamenti locali dei 27 stati della federazione.

Per questo motivo, tutti i partiti hanno dovuto creare nel proprio organico degli “apparati elettorali permanenti”, che, nella maggior parte dei casi sono diretti da una “burocrazia”, che è diventa onnipresente poiché amministra i contributi finanziari elargiti dal Fondo Pubblico Elettorale e le donazioni private.

Con l’andar del tempo, questa burocrazia elettorale ha influenzato non solo la scelta dei candidati, ma anche i programmi e il comportamento politico degli stessi partiti.

Un contesto distorto che si è sviluppato anche nei partiti della sinistra, dove la lotta interna per il controllo dell’apparato elettorale ha intensificato le controversie politiche e ideologiche, determinando nuove scissioni e la fuga dei militanti.

Una situazione che all’interno del PT esplose nel 2004 quando le “tendencias de esquerda” (gruppi della sinistra del PT), in seguito ad un’anacronistica decisione di Lula e della direzione del partito – a sua volta controllata dal gruppo lulista – (4) abbandonarono in blocco il PT per formare il PSOL (5).

Gli analisti politici hanno riscontrato che anche per l’establishment politico del presidente Jair Bolsonaro, la sua rielezione è diventata problematica, soprattutto dopo la sconfitta di Trump negli USA, quella di Macri in Argentina, il ritorno di Morales in Bolivia e il definitivo fallimento dell’autodenominato presidente del Venezuela, Juan Guaidò.

Senza quelle coperture internazionali, che nel 2018 hanno contribuito alla sua elezione, Bolsonaro ha trasformato il “Palacio do Planalto” e il “Palacio da Alvorada” (6) in autentici uffici elettorali, definendo con i suoi ministri quelle priorità decisionali e programmatiche del governo che sono in grado di promuovere azioni e fatti politici capaci di far crescere l’immagine del presidente.

Un progetto non semplice e che presenta numerose complessità, poiché, dopo il prematuro fallimento del nuovo partito bolsonarista “Aliança Brasil” e l’insuccesso in queste ultime elezioni municipali dei candidati bolsonaristi nelle principali capitali – quella più simbolica si è verificata a Rio de Janeiro, con la sonora sconfitta dell’ex sindaco, il pastore evangelico Marcelo Crivella – il presidente Jair Bolsonaro rischia di rimanere isolato.

Per questo motivo, Bolsonaro ha immediatamente cambiato rotta, cercando di formare un blocco elettorale con i partiti conservatori e moderati che, con l’apporto dei piccoli partiti controllati dai pastori delle chiese evangeliche e dei gruppi dell’estrema destra, potrebbe conquistare il 40% dell’elettorato.

La formazione compatta di questo blocco elettorale permetterebbe a Bolsonaro di poter disputare il secondo turno contro il candidato dell’opposizione progressista. Però, la maggior parte degli analisti brasiliani ammette che, per il momento, Bolsonaro può contare soltanto sul 25% dell’elettorato, rappresentato dagli elettori dei partiti che compongono il “Centrão “ (il Grande Centro) e quelle componenti più reazionarie e pseudo-fasciste, cui si associano la maggior parte dei pastori evangelici.

Infatti, il principale partito del centrodestra “DEM”, ed i suoi alleati, si sono schierati a favore del presidente della Camera dei Deputati, Rodrigo Maia, perché Bolsonaro ha intrallazzato con il presidente del Supremo Tribunale Federale, Luiz Fux, per impedire a Rodrigo Maia ed a Davi Alcolumbre – ambedue membri del “DEM” – di essere rieletti alla presidenza della Camera dei Deputati e del Senato.

Le divergenze tra Bolsonaro e i “DEM” di Rodrigo Maia non sono di carattere personale, ma coinvolgono i comportamenti e le posizioni politiche della borghesia imprenditoriale dello stato di São Paulo che, come motore economico del Brasile, oggi esige un cambio profondo nella direzione del paese per uscire dalla crisi.

Infatti, i “paulisti” avrebbero già un candidato per le elezioni presidenziali, ossia João Doria, l’attuale governatore dello stato di São Paulo, eletto nel 2019 con 10,9 milioni di voti.

Un “Fronte Elettorale” con imprenditori e oligarchi agrari?

Le ultime proiezione del “marketing elettorale” indicano che la candidatura di João Doria potrebbe ricevere nel secondo turno l’apporto elettorale dei partiti della sinistra, soprattutto se il PSDB (7) deciderà di appoggiare il “Fronte Elettorale” che vari dirigenti del PT e del PCdoB cominciano a ventilare come l’unica soluzione per sconfiggere Bolsonaro.

Infatti, secondo il governatore dello stato di Maranhão, Flavio Dini del PCdoB (8), questo fronte elettorale sarebbe aperto a tutti, persino ai latifondisti, visto che l’unico obiettivo è sommare tutti i voti di chi vuole impedire la rielezione di Jair Bolsonaro.

Questa proposta ha fatto storcere il naso a molti dirigenti e militanti della sinistra brasiliana. Soprattutto a quelli del passato, che ricordano l’incauta proposta politica dell’antico leader del PCB, Luis Carlos Prestes, fatta subito dopo il colpo di stato del 1964.

Prestes allora propose la formazione di un Fronte Popolare in cui potevano partecipare anche quei i gruppi politici che avevano appoggiato il colpo di stato dei militari. La proposta di Prestes si rivelò fallimentare fin dall’inizio, poiché le differenti componenti della borghesia e delle oligarchie agrarie, nonostante alcune critiche e diverbi con i militari, in realtà, volevano un governo che schiacciasse il movimento popolare. Per questo hanno permesso che i militari governassero il paese per quasi 20 anni.

Solo quando la crisi economica cominciò a dilagare, con lo sviluppo della corruzione, un’inflazione incontrollata, l’esplosione del debito estero e il pericolo di una bancarotta, la borghesia industriale e le oligarchie agrarie decisero di cavalcare il ritorno della democrazia parlamentare, facendo tornare i militari nelle caserme.

Una decisione che apparentemente dava maggiore legittimità alle rivendicazioni del movimento popolare. In realtà, il vero obiettivo era l’organizzazione di un nuovo sistema politico capace di controllare il movimento popolare e, quindi, mantenere inalterate le relazioni di dipendenza con l’imperialismo, oltre a garantire la continuità della struttura produttiva controllata dalle banche e dalle multinazionali.

Purtroppo Bolsonaro può ancora giocare la carta del “candidato Anti-Sistema, Anti-PT e Anti-Lula per eccellenza” e quindi può ricostruire quell’alleanza che permise la sua elezione nel 2018. Un’alleanza che potrebbe materializzarsi anche perché, senza la candidatura di Lula – ineleggibile a causa della falsa condanna del Tribunale di Curitiba – nei partiti di sinistra non c’è un leader di portata nazionale, in grado di capitalizzare con il suo carisma la campagna elettorale nei 27 stati del Brasile.

L’unico candidato che negli ultimi due anni è cresciuto politicamente, è il giovane Guilherme Boulos, leader del Movimento dei Lavoratori Senzatetto (MTST) di São Paulo e candidato del PSOL.

Infatti, nel primo turno delle elezioni municipali di São Paulo, Boulos ha ottenuto 1,1 milioni di voti lasciando il candidato del PT in un misero quinto posto. In questo modo Boulos, è diventato il personaggio nuovo della sinistra, che potrebbe diventare anche il leader nazionale di tutto il campo progressista.

Tutto dipenderà da come questo campo progressista, formato da PT, PCdoB, PSOL, PDT, PSB, PCB, PSTU e PCO, imposterà la campagna elettorale e che tipo di programma presenterà ai suoi elettori.

Un argomento scottante, che João Pedro Stédile ha subito messo a fuoco ricordando che “Ci rimane la lezione del passato, secondo cui le vittorie elettorali avvengono soltanto se avremo la capacità di organizzare, in antecedenza, la ribellione popolare. Dobbiamo, quindi avere la capacità di motivare i cuori e le menti con un nuovo programma e la capacità di realizzare grandi mobilizzazioni popolari…”

Per poi concludere sottolineando che:”.La lotta istituzionale che comporta l’uso delle elezioni non avrà successo se prima non avremo realizzato la lotta sociale, con la quale possiamo organizzare il popolo nell’ambito delle differenti lotte per il miglioramento delle condizioni di vita. Questo è l’unico modo per accumulare le forze!”.

Note:

1) SUS: Sistema Unico Sanitario, è il sistema sanitario pubblico.

2) IBGE:L’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica è l’organismo federale brasiliano che ufficialmente analizza e pubblica tutti gli indici economici, finanziari e di ambito sociale.

3) MST: Movimento dei Senza Terra, con quasi 5 milioni di aderenti sparsi in quasi tutti i 27 stati della federazione.

4) Nel 2003, i quattro parlamentari federali legati alla sinistra del PT, stanchi dei regali che il governo Lula faceva alle banche e agli impresari, non votò la cosiddetta riforma delle pensioni, per questa essere contraria ai principi storici del PT. In rappresaglia Lula e la direzione del PT, controllata dal gruppo lulista “Articulação”, imposero l’espulsione dal partito dei quattro parlamentari. Una decisione che aprì la crisi definitiva nel PT tra i gruppi di sinistra e il lulismo.

5) PSOL: Partito del Socialismo e della Libertà.

6) Il Palacio do Planalto è la sede ufficiale della Presidenza della Repubblica del Brasile, pertanto il luogo di lavoro del Presidente Bolsonaro, mentre il Palacio da Alvorada è la sua residenza.

7) PSDB: Partito della Socialdemocrazia Brasiliana, fondato da Henrique Cardoso, diventato con il tempo il principale partito del neoliberismo.

8) PCdoB: Il Partito Comunista del Brasile, è il principale alleato del PT di Lula e come il PT lulista, in termini programmatici, naviga sempre più nel social-liberalismo. Infatti, per motivi elettorali mantiene la bandiera e i simboli politici dell’antico partito filocinese che nel 1962 si staccò dal PCB, promuovendo, durante quasi due anni, la guerriglia rurale nel nord del Brasile. Con la democratizzazione il PCdoB si adeguò perfettamente alla logica elettorale.

Fonte

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