Questo è un paese in cui alla parola patrimoniale anche quelli senza un euro in banca mettono mano alla pistola. Lo stiamo vedendo in questi giorni in cui una timida proposta presentata in parlamento da Leu ha avviato una contro-ondata d’urto che ha messo insieme dalla Lega al Pd, da Forza Italia a Italia Viva passando per il M5S.
A farne le spese è stato anche Giorgio Cremaschi, che dopo un dibattito televisivo in territorio ostile (Rete 4) – in cui ha sostenuto la patrimoniale come alternativa credibile alla guerra contro i lavoratori dipendenti – è stato sottoposto ad un linciaggio social da parte di troll della destra ma anche di taxfobici di ogni risma.
Ma vogliamo segnalare anche l’inaccettabile prosopopea con cui il colonnista del Corriere della Sera, Beppe Severgnini, afferma in televisione che chi ha un reddito di 500mila euro debba essere considerato come ceto medio. Questi vivono veramente nel loro mondo, fuori dal nostro mondo, e non sono più sopportabili.
È evidente come in un contesto già agitato come quello che stiamo vivendo dentro la crisi pandemica e sociale, la discussione sui dati reali diventa impossibile da veicolare a fronte di un automatismo isterico e trasversale che dice no alla patrimoniale... indipendentemente dai patrimoni che si posseggono realmente.
Un anno fa Potere al Popolo produsse una giornata di mobilitazione nazionale per la redistribuzione della ricchezza. Nell’indicare gli slogan sintetici da gestire nelle strade e nelle piazze, si discusse se utilizzare il termine “patrimoniale” o no proprio per i motivi fin qui indicati. Ne uscì fuori una definizione diversa e tutto sommato azzeccata: la “Billionaire Tax”. Il riferimento al locale di lusso in Sardegna e al suo odioso proprietario – Briatore – rende immediatamente l’idea e il volto di chi sia il bersaglio di questa tassazione sui patrimoni. Il nemico così cessa di essere invisibile.
In secondo luogo è fondamentale chiarire dove, cosa e di chi sono i patrimoni da colpire per rendere disponibili maggiori risorse collettive per un paese alla prese con una durissima crisi sociale.
E allora facciamo una fotografia semplice per capire di cosa stiamo parlando.
La ricchezza privata nel nostro paese, secondo la Banca d’Italia, è più o meno di 9.743 miliardi di euro. Come è composta? 5.246 miliardi cioè il 55,6% è ricchezza immobiliare (abitazioni e locali). Dentro questa ci sono sia le prime case che le seconde, le terze, le decime, gli imperi immobiliari, uffici, magazzini etc.
Con un riflesso automatico, ma anche parecchio condizionato dai cattivi manipolatori, tutti pensano che una patrimoniale si abbatterebbe subito su questa parte dei patrimoni. Ragione per cui anche chi è proprietario solo della casa in cui abita (in Italia il 72,3% delle case di proprietà) si sente nel mirino e comincia a grignare.
Ma il resto dei patrimoni che compongono la ricchezza privata da che cosa sono composti? Più o meno 3.900 miliardi di euro, ossia il 37,4% sono patrimoni mobiliari cioè finanziari (azioni, obbligazioni, derivati, depositi, titoli). Pensate un po’ che solo il 3,5% è composto da beni materiali (gioielli, quadri, orologi di lusso etc.). Secondo la Banca d’Italia però il peso dei patrimoni finanziari sulla ricchezza privata è ancora più elevato e nel 2019 è arrivato a 4.455 miliardi, una cosetta come 555 miliardi di patrimoni finanziari in più rispetto ad altre fonti.
Ed è proprio su questo segmento dei patrimoni privati che si concentra la “billionaire Tax”. Si tratta cioè di quella ricchezza finanziaria, spesso fittizia e speculativa, che riesce a crescere anche nei momenti di crisi, cioè quando settori interi della società vedono precipitare le proprie condizioni di vita. Non solo. Chi possiede la gran parte di questi patrimoni finanziari sono anche pochi, ma fanno di tutto per far credere di essere molti e portare anche chi ne escluso a difesa dei propri interessi.
Secondo Prometeia la stima sugli High net worth individual (Hnwi, cioè i patrimoni individuali dei ricchi), è ad oggi stimato a 836 miliardi di euro (+4% rispetto agli 804 miliardi nel 2008) e riguarda 590 mila persone su sessanta milioni di abitanti del nostro paese.
La Boston Consulting dà una stima ancora più ristretta del gruppo dei ricchi (in questo caso li chiama affluent). Nel nostro Paese, gli affluent sono 1,4 milioni di persone, ma i milionari veri e propri costituiscono un gruppo più ristretto di 400mila persone su 60 milioni di abitanti, molto meno dell’1%.
Ma i ricchi sono furbissimi e feroci quando devono difendere i loro interessi materiali. E quindi mettono in giro voci su un nuovo blitz – di cui nessuno parla – con prelievi forzosi sui conti correnti delle famiglie, come avvenuto nel 1992 con il governo Amato. Ma anche qui, come stanno effettivamente le cose?
I dati presentati nel bollettino mensile dell’Abi ad ottobre segnano un incremento della liquidità sui depositi anno su anno dell’8 per cento, a quota 1.682 miliardi, in aumento di 125 miliardi. A fine agosto la liquidità era già su quei livelli, a 1.671 miliardi.
Se usando la statistica di Trilussa dividiamo questo malloppo per gli abitanti, viene fuori che ce ne sarebbero 28.000 euro a testa. Escludendo la fascia di popolazione tra gli 0 e i 14 anni che difficilmente potranno essere titolari di conti correnti ed escludiamo anche quelli fino a 18 anni, alla fine dovremmo dividere il malloppo su 50 milioni di persone e qui la media salirebbe a 33.640 euro a cranio. Ma sappiamo benissimo che in questa media ci sono conti in rosso fisso, conti con poche centinaia di euro, conti con qualche migliaio di euro e conti con decine di migliaia di euro. Questi ultimi però raramente sono liquidi sui conti perché in gran parte vengono investiti in prodotti finanziari (obbligazioni, titoli, derivati etc. etc.)
E qui potrebbe venire in mente la storiella del campesino colombiano che si presenta alla banca centrale chiedendo che gli venissero consegnati i soldi del reddito procapite indicati nelle statistiche ufficiali ma di cui non disponeva e che non aveva mai visto nella sua vita. Ragione per cui una patrimoniale sui conti correnti colpirebbe veramente più il ceto medio che i ricchi.
Dunque la “Billionaire Tax” punta il mirino esattamente dove sta il malloppo cioè sui patrimoni finanziari di quelli come Briatore per intendersi. E lì di ciccia ce n’è molta e, paradossalmente ma non troppo, oggi è tassata meno che i redditi da lavoro.
L’obiezione più ovvia – ma anche quella di chi non propone altre soluzioni concrete su questo terreno – è che i capitali fuggirebbero via con un click ai primi rumors di una “Billionaire Tax” cioè una patrimoniale mirata sui patrimoni finanziari.
Ma quella che andrebbe via sarebbe ricchezza reale o ricchezza fittizia cioè inutile, speculativa, mobile e fugace per sua natura? E come mai in alcuni paesi (vedi Cipro) la fuga dei capitali è stata bloccata dallo Stato quando si è trattato di applicare l’austerity imposta dalla Troika? E i possessori di questa ricchezza fittizia sarebbero disposti a seguirla (diventando profughi o apolidi di lusso) magari rinunciando ad un mercato di 60 milioni di consumatori e alla ricchezza reale (beni materiali) che lasciano in Italia?
Eh si perché a quel punto il potere coercitivo dello Stato sarebbe inevitabile, giustificabile, indispensabile. Insomma dovrebbero andarsene a Miami lasciandoci l’isola o, in questo caso, la penisola. Mica male come prospettiva. Magari un’area regionale come l’Alba Euromediterranea potrebbe rivelarsi utilissima in una ipotesi come questa. Ci si sta lavorando.
Vedi anche: Tassazione dei grandi patrimoni. Una modesta proposta
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