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07/06/2021

“Non siamo soldati”. L’iniziativa livornese “Porti chiusi alle Armi”

L’iniziativa “Porti chiusi alle armi e aperti ai migranti“, sabato 5 giugno a Livorno, ha fatto il punto sulla battaglia contro il traffico di armi negli scali italiani, alla luce delle recenti forti prese di posizione dei lavoratori portuali (non caricare/scaricare navi dirette in Israele e contenenti materiale bellico).

Genova, fino ad ora epicentro di questa lotta, quindi Livorno, Napoli e poi Ravenna, sono state le città portuali in cui il personale che lavora in banchina ha espresso un netto rifiuto a essere cooptato nella gestione del complesso militar-industriale che rende possibile – tra le altre – l’escalation bellica israeliana.

Come ha detto giustamente Massimo, delegato USB di una azienda portuale livornese: “non siamo militari“, ribadendo che i lavoratori degli scali vorrebbero “mandare gli aiuti e non le armi”, e nemmeno quelle “sostanze tossiche” che partono dall’Italia e finiscono nella sponda Sud del Mediterraneo.

Un aspetto – quello del traffico dei rifiuti tossici in Tunisia – che è stato ripreso da Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo, che è intervenuto all’iniziativa.

L’assemblea – organizzata dal neonato coordinamento portuale di USB, che mette insieme gli scali del capoluogo ligure insieme a Livorno, Civitavecchia e Trieste, e dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova – ha visto alternarsi diversi interventi che, oltre a fare il punto sulla campagna contro il traffico di armi (lanciata durante l’assemblea formativa alla Superba del coordinamento alcune settimane fa), ha lanciato l’ipotesi di una giornata di mobilitazione internazionale da costruire l’autunno prossimo proprio su questo tema, considerate tra l’altro le recenti azioni di boicottaggio dei cargo con materiale bellico israeliano in differenti scali (Marsiglia in Francia, Durban in Sud Africa e Oakland in California).

Introdotta da Giovanni Ceraolo, di USB di Livorno, e conclusa da José Nivoi di Genova, l’assemblea ha visto gli interventi di organizzazioni che monitorano il traffico delle armi – come The Weapon Watch – o il flusso dei migranti nel Mediterraneo per aiutarne il soccorso – come Sea Watch – così come di realtà politiche ed organizzazioni giovanili che hanno salutato positivamente l’azione dei portuali.

Importante la mozione che la lista civica “Buongiorno Livorno” (insieme a “Potere al Popolo”) ha presentato in consiglio comunale, composta di 5 punti.

Come ha ricordato Alessio, il rappresentante intervenuto di BL: “ci sono popolazioni che non conoscono la parola pace“. Nei circa 40 conflitti in corso, le principali vittime (il 90%) sono proprio le popolazioni civili.

Stimolato dal transito della nave Asiatic Island, Buongiorno Livorno ha presentato una mozione che chiede un monitoraggio ed una comunicazione costante su questi traffici, un piano di sicurezza adeguato (si tratta spesso, come nel caso della nave della Zim in questione, di cargo adibiti ed abilitati al trasporto di materiali esplosivi), oltre alla possibilità concreta del personale di banchina di rifiutarsi di fare il carico/scarico di questa merce.

Un’importante presa di posizione istituzionale, considerato che le varie autorità cittadine o legate alla governance portuale – solitamente presenti alle iniziative dei terminalisti – hanno disertato l’appuntamento, come ha ricordato Ceraolo, nonostante l’invito.

Tre interventi hanno ribadito gli attestati di solidarietà e la volontà di cooperare in questa comune battaglia a livello mondiale e le ripercussioni positive dell’azione dei portuali italiani.

Carlo Tombola di WW, ha ricordato come sia stato “Il lavoro che rivela la merce” – solitamente secretata. Cinzia della Porta, dell’Esecutivo Nazionale USB, ha ribadito il carattere e l’azione internazionalista di questo sindacato, nonché il messaggio di solidarietà dei portuali del Pireo di Atene e del sindacato greco Pame. Mentre Giuliano Granato ha messo in luce l’importanza dell’azione di questo segmento dei lavoratori della catena del valore della logistica.

Un’ottima base di partenza quindi per il lancio di una campagna in cui realtà sindacali, politiche e associative devono concorrere insieme per fare ripartire un movimento contro la guerra, saldamente ancorato all’azione concreta dei lavoratori.

Come ha ricordato Gabriele – alias Chef Rubio – ciò che facciamo non deve mai farci pensare che facciamo abbastanza contro, non solo Israele, ma il colonialismo in genere, che alla fine è un dispositivo che si ritorce contro anche agli sfruttati in Occidente.

Difficile dare un quadro di tutti gli interventi e del calore trasmesso soprattutto dagli interventi dei compagni e dalle compagne più giovani intervenuti, come quelli dell’organizzazione giovanile comunista “Cambiare Rotta“, fatto da Francesca, e dal collettivo politico giovanile “Vedo Terra” di Genova, fatto da Federico, che ha tra l’altro annunciato la volontà di contribuire alla costruzione della Federazione del Sociale di USB nel capoluogo ligure.

Segno di come l’esempio dei comparti più avanzati ed organizzati a classe siano un importante vettore di crescita di pratica e coscienza politico-sindacale tra le file dei giovani che non si piegano ad uno status quo di precarietà.

Due cose infine vanno dette per completare il quadro e delineare quella che sarà l’attività in cui l’USB si è impegnata.

La prima è lo sciopero nazionale dei porti sulla sicurezza – 24 ore, il 14 giugno – che sarà animato da picchetti negli scali, deciso dopo la morte recente di due lavoratori prima a Taranto e poi a Salerno, che porrà con forza la questione dell’introduzione a livello giuridico del reato di “omicidio sul lavoro“, primo banco di prova dell’esperienza del coordinamento e delle altre realtà interessate.

La seconda è l’assemblea dei delegati della logistica e del settore manifatturiero, il 19 giugno a Bologna, che si deve porre – come ha detto Francesco Staccioli, dirigente di USB – il problema di come “noi questo sistema lo inceppiamo“, ribaltando l’attuale organizzazione del lavoro contro un padronato che chiede schiavi, più che lavoratori salariati con una coscienza delle proprie possibilità.

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