C’è su, a nord, uno stato baltico, oggi piccolo, ma sempre memore della passata grandezza granducale, che torna regolarmente a far parlare di sé. Come? Non sia mai, per carità, che piangendo sulla Lituania, si parli dell’ex vice Sindaco di Vilnius ed esponente del Fronte popolare socialista lituano, Algirdas Paletskis, condannato ora definitivamente a sei anni di prigione, e di tutti gli altri cittadini russi e lituani da anni sotto processo accusati di “spionaggio a favore di Mosca”.
Mai che si ricordino le sfilate di reduci e giovani simpatizzanti delle Waffen SS lituane; mai che si accenni agli ex legionari komplizen innalzati oggi a eroi nazionali. No.
A leggere le cronache degli ultimissimi giorni, sembra di esser tornati ai tempi dell’Unione Sovietica negli anni ’60 e ’70, quando le omelie ci inondavano quotidianamente di lamentazioni sulla triste sorte dei “dissidenti lituani”, perseguitati dalla “mano repressiva di Mosca”.
Oggi, le pagine si riempiono della “triste sorte” lituana, non appena si scorge un appiglio che rimandi in qualche modo (ma, solo i demo-liberali ci riescono, chissà come) alla “tirannia sovietica”.
Ecco allora, si parva licet componere magnis, che “l’ultimo dittatore d’Europa”, con ghigno malefico e un perverso «evidente atto di ritorsione» per vendicarsi delle «sanzioni inflitte dall’Unione europea alla Bielorussia e ai funzionari governativi e per l’accoglienza, da parte del governo lituano, di Svetlana Tikhanouskaya, leader dell’opposizione bielorussa, che ora vive a Vilnius» spedisce quotidianamente verso la frontiera lituana cento-duecento-trecento profughi (in totale, quest’anno, sarebbero 4.026 i “migranti illegali”) per lo più iracheni e siriani, giunti a Minsk «su uno dei quattro voli settimanali dall’Iraq, che trasportano fino a 500 passeggeri».
Sembra che Vilnius, per fermare il flusso, abbia cercato di accordarsi senza successo con Baghdad, e ora chieda l’aiuto UE, sperando che a Bruxelles non ricordino di come, nel 2015, quando era stato chiesto ai “nuovi europei” di condividere il collocamento dei 500.000 rifugiati giunti in Italia, Grecia, Germania, anche la Lituania (le si chiedeva di accollarsi 710 migranti) avesse risposto che il problema non la riguardava e l’allora Primo ministro Algirdas Butkevičius si fosse detto disposto ad accogliere al massimo 30-40 persone.
Per la UE, salmodia Euronews, «si tratta di una mossa ricattatoria del Lukashenko, che ha così risposto alle sanzioni europee, comminate per il rapimento di un giornalista tramite il dirottamento di un aereo»; giornalista di nome e neo-nazista di fatto, Roman Protasevič, che ora, a dire il vero, agli arresti domiciliari a Minsk insieme alla sua compagna, la russa Sofija Sapega, e con nuovi account twitter, si sbraccia in lodi allo stesso Aleksandr Lukašenko.
Dunque, sanzioni per Protasevič e nuove sanzioni per la «guerra ibrida» di Minsk – così l’hanno definita i Ministri della difesa di Estonia, Lettonia e Lituania – «contro Unione Europea, NATO e soprattutto contro la stabilità dei Paesi baltici», con lacrime e lamentazioni di von der Leyen e Sassoli, perché «Once again someone is unacceptably playing with people’s lives»: là, in Bielorussia, non certo in Italia!
Ma, da persona di buon cuore, ecco che il 30 luglio il Ministro degli esteri lituano Gabrielius Landsbergis annuncia che né Vilnius né Bruxelles introdurranno più sanzioni «se si arresta il flusso di migranti illegali», e poi, il 31 luglio, dichiara che il suo paese solleverà a Bruxelles la questione di nuove «sanzioni per l’organizzazione di migrazione illegale» da parte di Minsk, se il flusso non si arresta.
Fino a due giorni fa, si diceva che le guardie di frontiera lituane fossero state autorizzate a offrire denaro ai migranti perché se ne tornino indietro, quantunque difficile credere che la loro destinazione finale sia davvero la “ricchissima” Lituania, che non dispone nemmeno di sufficiente filo spinato da disporre lungo il confine e lo riceve dall’Estonia!
Come che sia, la Ministra degli interni Agne Bilotaite ha subito dichiarato che «le persone che intenzionalmente tentano di attraversare il confine di stato in punti vietati, devono essere considerate come intenzionate a commettere attività criminose» e il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza nazionale, Laurinas Kashhjunas ha detto che si devono «adottare misure decise» contro i profughi.
Pensa comunque a dirimere la questione la Primo ministro Ingrida Šimonytė, che chiede alla UE di trattare con l’Iraq, di accordare 500 milioni di euro per rinforzare la frontiera bielorusso-lituana e di prendere parte dei migranti, dato che la “solidarietà baltica”, in questo caso, non funziona: Estonia, Lettonia o Polonia non prenderanno nessun migrante.
Dunque, recitano le cantiche di Euronews, Lukašenko avrebbe deciso di vendicarsi per le sanzioni UE e anche per l’ospitalità concessa a «Svetlana Tikhanouskaya, leader dell’opposizione bielorussa, che ora vive a Vilnius», ma che gira perennemente per le cancellerie occidentali.
Con quali fondi possa viaggiare, Tikhanovskaja lo aveva già spiattellato qualche mese fa al giornalista ucraino, aperto russofobo, Dmitrij Gordon che, più di recente, stando al racconto dell’ex deputato ucraino Evgenij Ševčenko, mentre la esalta in TV, la dipinge in privato come totale «analfabeta politica» e «persona limitata» e «non si capisce come sia stato possibile che qualcuno l’abbia votata».
Insomma, con quei fondi, la «leader eletta della Bielorussia» è stata di recente anche ospite della Casa Bianca e la cosa più dilettevole che le è parsa degna di raccontare è costituita dai “biscotti della Casa Bianca” (gli yankee, per quanto pericolosi, sono oltremodo prevedibili: anche Victoria-fuck-the-UE-Nuland regalava biscotti ai nazisti in majdan Nezaležnosti nel 2014) che Joe Biden le avrebbe regalato nei dieci (10) minuti che le ha concesso.
D’altronde, dopo che il Segretario di Stato Antony Blinken, il consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, l'ambasciatrice USA in Bielorussia Julie Fisher, il consigliere del Dipartimento di stato Derek Scholle e anche la Nuland le avevano detto chiaro e tondo di giudicare inopportune le ulteriori sanzioni da lei richieste contro il proprio paese, pare che i biscotti regalatile da Biden mentre correva da un salone all’altro della Casa Bianca, siano l’unica cosa concreta ottenuta a Washington.
Gli americani, come ricordava Stalin, sono dotati di uno spiccato senso pratico e, evidentemente, hanno ritenuto che tè e biscotti fossero più che sufficienti a soddisfare le smanie presidenziali della “tonta Svetlana”.
Ironico il commento della portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova, che ha ricordato come i biscotti fossero stati il premio anche per il “Ragazzetto-Cattivetto”, premiato dai borghesi bianchi con un barile di marmellata e un cesto di biscotti per aver rivelato segreti militari e aver distrutto le scorte di armamenti delle forze sovietiche durante la guerra civile.
Il riferimento è all’eroe negativo nella favola di Arkadij Gajdar, lo scrittore russo che combatté nelle file dell’Esercito Rosso durante la guerra civile e morì in battaglia nei primi mesi della Grande guerra patriottica nel 1941, nonché nonno di quel Egor Gajdar che invece, Ministro delle finanze russo nel 1991-1992, in compagnia dei vari Eltsin, Čubajs, Sobčak, l’Unione Sovietica contribuì ad affossarla.
Ironia a parte, dopo alcuni incidenti che sembrano capitati apposta per coinvolgere Minsk, sembra che la “vacanza americana” della Tikhanovskaja non sia stata del tutto inutile per la cosiddetta “opposizione bielorussa”.
Il politologo bielorusso Aleksandr Špakovskij nota su Sputnik Bielorussia come “Parallelamente all’incontro della Tikhanovskaja con Biden, ecco l’attacco hacker al database del Ministero degli interni bielorusso; quindi, la sortita dell’atleta Timanovskaja a Tokyo, che prima ha rilasciato alcune strane dichiarazioni, e poi ha chiesto asilo politico; e ora la morte a Kiev di un attivista dell’opposizione non particolarmente noto, quale Vitalij Šišov. Questa sequenza potrebbe indicare che determinate forze stanno allestendo un’operazione su larga scala per attirare l’attenzione internazionale sulla questione bielorussa».
Per la cronaca: l’iniziale scelta della Polonia da parte di Krystina Timanovskaja, l’aveva fatta assurgere al ruolo di futura nuova “leader dell’opposizione”, dato lo scarsissimo seguito dell’attuale “leadership” e, comunque, vista anche la crisi coi migranti, può darsi che qualcuno abbia giudicato la Lituania, che ospita già la Tikhanovskaja, come troppo inflazionata. Ora però le ultimissime notizie parlano dell’Austria quale destinazione finale della Timanovskaja, il che farebbe pensare a una scelta abbastanza privatistica.
E, riguardo alla morte di Vitalij Šišov, onestamente, pur con tutta la tragicità del caso, ci sembrano a dir poco “ottimistiche” le considerazioni offerte ai lettori da certi quotidiani comunisti nostrani, a proposito dell’Ucraina, che il presidente della “Casa bielorussa” aveva scelto quale sede della propria organizzazione.
Quando sulla stampa italica si parla in maniera asettica di «investigatori, coordinati dalla Procura di Kiev» e del «capo della Polizia ucraina», del «ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba» che «ha ribadito che le autorità di Kiev faranno di tutto per chiarire le circostanze», e che il caso è anche all’attenzione del presidente Volodymyr Zelensky»; quando si scrive di Šišov «costretto a fuggire in Ucraina», di «diaspora bielorussa in Ucraina», si dimentica casualmente o di proposito di specificare di quale paese si stia parlando e di dire come mai tale “diaspora” avesse eletto proprio l’Ucraina del dopo-2014 a proprio rifugio per sfuggire a “l’ultimo dittatore d’Europa”?
Si evita casualmente o no di dire che si tratta dell’Ucraina nazi-golpista, in cui, per limitarci agli eventi più tragici e più conosciuti, la Procura è ancora ferma al “forte vento che ha alimentato le fiamme” a proposito della strage del 2 maggio 2014 alla Casa dei Sindacati a Odessa; del paese in cui gli assassini di Oles Buzina, freddato sulla porta di casa nell’aprile 2015, conosciuti, arrestati e processati, furono rilasciati il giorno stesso, con il tribunale assediato dalle bande naziste? Si dimentica tutto questo?
Se è vero che Aleksandr Lukašenko, in troppe occasioni, ripete gli errori di Viktor Janukovič in Ucraina, non si può dimenticare che nell’organizzazione delle varie “majdan” in giro per l’ex Unione Sovietica, le vittime “sacrificali”, singole o di massa (i cecchini che a Kiev spararono sia contro la folla che contro la milizia del Berkut) rappresentano una tragica costante e si può esser certi che Vitalij Šišov non è né il primo né sarà l’ultimo dei “nostri” (dei loro) a esser immolato.
L’odierna Ucraina, ha detto ancora il politologo Aleksandr Špakovskij, dato «il suo personale e le sue capacità operative, difficilmente sarà in grado di condurre un’indagine qualificata» sul caso Šišov. Abbiamo precedenti di morte violenta di un certo numero di personaggi pubblici e politici in Ucraina, anche di origine bielorussa, ad esempio Pavel Šeremet, con indagini trascinatesi per anni e giunte a un vicolo cieco».
Sembra dunque che i biscotti di Joe Biden alla Tikhanovskaja si siano rivelati non proprio dolci, pur se si è trattato di un «incontro improvvisato... senza alcun contenuto concreto», come ha detto a RIA Novosti il vice direttore dell’Istituto di strategia nazionale russo Alksandr Kostin; una «reazione alle pressioni politiche su Biden» per tacitare le accuse mossegli di «assecondare Putin e Lukašenko».
Oltre al fatto che, come sostiene il politologo bielorusso Denis Mel’jantsov «Washington esprime veramente sostegno a ciò che definisce “cambiamento democratico” e “proteste”, e vede nella Tikhanovskaja una figura con cui lavorare», pur se quello di Biden è solamente «un gesto niente affatto vincolante» per Washington.
Per ora, la Bielorussia si dimostra per Washington e Bruxelles un terreno più melmoso su cui muoversi che non l’Ucraina in cui banderisti e nazionalisti avevano rialzato la testa sin dal 1991. Per ora.
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