In attesa che qualche giurista produca un’analisi articolata della riforma della giustizia firmata da Marta Cartabia e “voluta dall’Europa”, per dare un primo giudizio politico dobbiamo necessariamente servirci delle “reazioni” registrate nell’establishment.
Ed è facile accorgersi che gongolano le destre “garantiste”, ingoiano la polpetta avvelenata i grillini “giustizialisti”, blaterano senza dir nulla i piddini che tutto-va-ben-madama-la-marchesa.
Ammetterete che “destra” e “garantismo” sono due termini alquanto in contraddizione, storicamente un ossimoro. Dunque già questo fornisce un primo indizio piuttosto solido: la riforma è “garantista” con chi economicamente sta benone e “giustizialista” con tutti quelli che “stanno sotto”.
Più chiaro ancora è Massimo Villone, costituzionalista progressista: “è la rivincita di Tangentopoli”.
La chiave di volta, infatti, non è la vexata quaestio della “prescrizione”, che tanto ha appassionato (e distratto) il dibattito pubblico, ma la certificazione del dominio della “politica” sulla magistratura.
Il meccanismo individuato per raggiungere questo obiettivo è relativamente semplice: sarà il Parlamento (il governo, in realtà, anzi l’Unione Europea, che controlla strettamente gli esecutivi da diversi anni) a esercitare “un potere di indirizzo sull’attività della giustizia penale”, stabilendo quali tipologie di reato destano “allarme sociale” e quali invece possono essere lasciate in pace.
Inutile attendersi, a questo punto, che un magistrato o una Procura apra fascicoli sulla corruzione, sull’inquinamento, sulla strage sulenziosa che si consuma ogni giorno sul lavoro, ecc. Si occupassero solo di No Tav e di altri movimenti popolari, o comunque di reati “da poveri”, evitando con cura di metter naso nel business e nelle sue inevitabili ricadute.
È sicuramente questa la riforma che voleva l’Unione Europea, “turbata” da processi come quelli che hanno portato alla condanna dei vertici di Eternit o della ThyssenKrupp. Ci vuole un “ambiente favorevole agli investimenti e alle imprese”, che diamine!, non è che i vertici di una multinazionale possono star lì a preoccuparsi per il Guariniello di turno...
Questa chiave di volta sarà sicuramente al centro anche della riforma della “giustizia civile”, ossia delle cause che riguardano proprietà, depositi, patrimoni, risarcimenti, ecc. Per “velocizzare i tempi” delle cause (francamente allucinanti) si darà molto più spazio alle “procedure di conciliazione”, senza arrivare a una sentenza sulla base delle leggi esistenti.
Dove sta il vantaggio per le grandi imprese? Nel fatto che tutto potrà essere risolto nella mediazione reciproca, eliminando il “giudice terzo” ed il giudizio.
Quando poi la causa è tra un’istituzione finanziaria (banche, assicurazioni, ecc.) e singoli cittadini questa “procedura di conciliazione” sarà ancora più vantaggiosa (per l’istituzione). In pratica: “dovremmo darti 100.000 euro secondo legge e tabelle, ma te ne offriamo 50.000; se non li accetti, aspetti la sentenza e il rischio di morire prima che arrivi”.
La riforma Cartabia-Draghi è dunque un distillato di “giustizia di classe”, che punta a riorganizzare tutto il sistema giuridico a protezione degli interessi più forti economicamente.
Per i dettagli, ripetiamo, attendiamo analisi più puntuali. Perché il diavolo, si sa, si nasconde sempre da quelle parti, speci nei trucchi da azzeccagarbugli…
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