In questi giorni di fibrillazione – poi rientrata – sull’aumento delle spese militari, abbiamo sentito evocare ancora una volta i “vincoli” ai quali l‘Italia è sottoposta a causa dell’adesione a Trattati internazionali che nessuno ha mai votato o sui quali è stata resa impossibile qualsiasi consultazione democratica.
Nel caso delle spese militari il vincolo è quello della Nato, sulle questioni economico/sociali il vincolo è invece quello dell’Unione Europea.
Giornalisti, commentatori e gracchianti voci televisive in queste settimane di guerra hanno ripetuto maldestramente – fortunati che non ci fosse nessuno a ricordarglielo – che l’Italia ha “liberamente scelto” l’adesione alla Nato o all’Unione Europea.
Questo è falso.
In primo luogo: su entrambi i trattati non è mai stato possibile che si pronunciasse la popolazione perché, purtroppo, la Costituzione nega la possibilità di sottoporre a referendum l’adesione ai trattati internazionali. E non è affatto un caso.
L’adesione alla Nato e successivamente all’Unione Europea furono decisi solo con una votazione parlamentare, nel primo caso – nel 1949 – a maggioranza (con 170 voti contrari), con una forte opposizione; nel secondo caso, nel 1992, quasi all’unanimità (solo 46 voti contrari), proprio come avvenuto in questi giorni sull’invio di armi per la guerra in Ucraina o sull’aumento delle spese militari.
Sono dunque decenni che sulla politica estera e su quella economica l’Italia è imbrigliata in una camicia di forza entro cui le decisioni vengono prese in base a vincoli non solo arbitrariamente “irremovibili”, ma anche “indiscutibili”; nel senso che è fattualmente vietato anche pensare di metterli in discussione.
In secondo luogo, la precipitazione nella guerra ha reso ancora più drammaticamente evidenti le ipoteche letali di questi vincoli.
Il paese si è trovato spesso coinvolto in guerre ancora prima di esserne consapevole o averne discusso nelle sedi parlamentari (il caso della guerra Jugoslavia e dell’Afghanistan), perché gli “automatismi” della Nato erano già operativi ancora prima di ogni passaggio formale. Ed anche l’invio di armi in Ucraina è cominciato il giorno stesso – il 1 marzo – in cui il Parlamento stava discutendo se inviarle o meno. Come fosse una inutile formalità...
E allora quando ci dicono che i paesi hanno “scelto liberamente” se aderire o meno alla Nato, ci stanno dicendo una menzogna.
La controprova sarebbe nel fornire la possibilità di sottoporre l’adesione ad un referendum popolare, ma questa opzione viene negata trincerandosi dietro l’art.75 della Costituzione.
E adesso, sulla base di questi vincoli indiscutibili, l’Italia procederà all’aumento delle spese militari, anche se siamo in una fase di recessione economica e post-pandemica dove le risorse sarebbero assai più necessarie su altri capitoli.
Non solo. L’Italia si allineerà automaticamente a tutte le eventuali decisioni belliciste della Nato nella nuova guerra frontale con la Russia. Pagandone tutte le conseguenze che, come abbiamo visto, saranno assai più pesanti sull’Italia e sull’Europa che sugli Usa, per dirne una.
Il medesimo meccanismo agisce anche sull’adesione al Trattato di Maastricht (cioè il Trattato istitutivo dell’Unione Europea), con tutto il ginepraio di vincoli sulle scelte di politica economica che ne sono derivati.
Questo ormai insopportabile e suicida sistema di vincoli internazionali è stato peraltro sintetizzato efficacemente nella figura strategica del “Pilota automatico”. Una figura che negli ultimi dieci anni ha assunto il volto di Mario Draghi, prima come presidente della Banca Centrale Europea ed ora come premier imposto dal Quirinale e non dal consenso popolare.
Il problema è che questo “pilota automatico” sta portando il paese nel precipizio e niente o nessuno – nella classe politica – intende mettersi di traverso. L’alzata di testa di Conte e del M5S è subito rientrata, mentre assistiamo ad un apparente partito unico che vede allineati i fascisti di Fratelli d’Italia e i sedicenti “liberal” del Pd. In Parlamento, tranne una pattuglia di deputate/i e senatori/trici, si stenta a trovare qualche traccia di dignità.
Gramsci, dai banchi del tribunale speciale che lo aveva condannato, disse che il fascismo avrebbe portato il paese alla rovina e sarebbe spettato ai comunisti il compito di risollevarlo.
Di fronte al micidiale combinato disposto tra guerra, recessione economica, regressione sociale complessiva, dobbiamo sentirci e assumerci tale responsabilità. Per questo occorre una cambiamento di mentalità e di senso nell’azione politica, sociale e sindacale nel paese.
In tal senso appare di straordinaria importanza lo sciopero operaio del prossimo 22 aprile, sia per la capacità ricompositiva di una alleanza sociale insieme con gli studenti contro l’economia di guerra, sia perchè rimette al centro la variante operaia sugli assetti presenti e futuri del paese.
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