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12/08/2022

Stazzema 12/08/1944: contro il fascismo non basta più ricordare


“Noi non siamo responsabili delle vittime, ma siamo di fronte alle vittime” (Gilles Deleuze)

Il 12 agosto 1944 i reparti di tre compagnie naziste accompagnate da alcuni collaborazionisti fascisti della Repubblica Sociale Italiana circondarono l’abitato di Sant’Anna a Stazzema e massacrarono senza pietà 560 persone tra cui molti bambini.

La magistratura militare italiana accertò che non si trattò di rappresaglia ma di un vero e proprio atto terroristico, un crimine di guerra nazifascista. Forse meglio sottolineare nazista e fascista: bisogna ripeterlo molte volte per capire meglio cosa è accaduto quel giorno a Stazzema.

Ma al di là delle ricostruzioni effettuate dalla magistratura nei processi e dagli storici, con documenti reali e serie testimonianze, il problema adesso è di un altro tipo: come fare per non dimenticare?

Cosa fare adesso, cosa fare davvero per avvertire le nuove generazioni, per mostrare e moltiplicare i segni di allora e spostarli verso un futuro a venire, quel futuro che appare sempre più incerto e immodificabile. Come trasformare la rabbia e il dolore di quei giorni in una memoria collettiva viva e reattiva che sia parte costitutiva di un processo di trasformazione della nostra logora e ingiusta società?

Il racconto italiano

“Gli italiani sono i morti che dispongono di un italiano che lo dice, che sono morti. Sarà sempre questo.
Questo canto sepolcrale, non meridiano, anti mediterraneo, aconfessionale, non cattolico. Questa occhiaia della terra che è il cimitero italiano, con il suo gravame di storie, costituisce l’eccezionalità, varca i confini orientali ed entra in una zona incognita, planetaria, marziana. Sono stanco del racconto italiano.”
(Giuseppe Genna)

Si, siamo stanchi del racconto italiano degli ultimi decenni dove il fascismo e i crimini di guerra vengono riadattati a uso e consumo dei media compiacenti, dei politici di una destra marcia e corrotta e di tutto quel mondo capitalista e liberista che ci ha raccontato la fiaba degli opposti estremismi, che ha pareggiato fascisti e partigiani, che ha gonfiato ad arte il mondo delle foibe equiparandolo alla strage di Stazzema, di Marzabotto, delle Fosse Ardeatine, di Lippa, del Padule di Fucecchio, di Cavriglia e di molte altre ancora.

Il processo di sdoganamento del fascismo inizia da lontano: i responsabili diretti o morali di delitti e di azioni criminali sono riusciti a mantenere cariche pubbliche o politiche importanti fin dai primi giorni del dopo guerra; in seguito per vent’anni l’ex vicedirettore di Repubblica Giampaolo Pansa è stato tra coloro che hanno compromesso l’argine antifascista, giungendo, piano piano, a equiparare le due parti della guerra di Liberazione. Recentemente, prima la “vicenda del sottosegretario Claudio Durigon poi le incredibili polemiche politiche intorno a un editoriale di Tomaso Montanari hanno mostrato come ai vertici delle istituzioni sia venuta meno la pregiudiziale antifascista” (Il caso Montanari e il tabù dell’antifascismo – Luca Casarotti – Jacobin).

Ma ormai dirci queste cose nelle nostre piccole e ristrette “comunità” non basta più, bisogna attraversare, riprendere e rilanciare la memoria collettiva, gli spazi d’azione, il tempo perduto, per modificare l’immaginario collettivo odierno e per rilanciare un nuovo orizzonte di senso.

La memoria digitale

Dal racconto alla memoria: negli ultimi decenni il consumismo, uno dei tanti pericolosi fascismi, da cui ci metteva in guardia inutilmente Pasolini, cominciava a lavorare in maniera subdola sull’immaginario collettivo, sul modo di essere e di vivere gli eventi. La società dello spettacolo, evidenziata da Debord nel suo libro del 1967, ci mostrava un mondo confezionato a tavolino che emetteva bagliori e stelle per mantenere i rapporti sociali di produzione e per nascondere i veri problemi della nostra società con un utilizzo sfrenato di giornali, media e tv.

Oggi la memoria digitale rappresenta un ulteriore problema che andrebbe affrontato politicamente e culturalmente. La memoria collettiva, inserita in questo insieme liberista, dominato da spettacolo, consumo e uso sfrenato di piattaforme e algoritmi, non può mai diventare riflessione viva, profonda e sofferta del nostro essere. Oggi Google, Amazon, Apple, Instagram, Facebook e TikTok non soltanto condizionano e controllano quel brodo culturale e sociale dove si producono immaginari, orizzonti e progetti politici ma sono, ora più che mai, quello che siamo, pensiamo, facciamo; e ci stanno dando la buonanotte senza darci la possibilità di vivere il noi, l’insieme, la memoria collettiva, di riprendere tutto quel dolore e quella rabbia di fronte a quei delitti efferati. Anche da qui, basti pensare all’uso delle fake news e degli algoritmi con cui la destra alimenta la cultura della paura e del risentimento, possono nascere i nuovi fascismi, diversi nei modi e nelle forme da quelli del ventennio del secolo scorso, ma altrettanto pericolosi e violenti.

Quel giorno maledetto di agosto 1944 dove potere, responsabilità e crimini si sono incrociati crudelmente deve essere ricordato, attraversato e compreso oltre le solite commemorazioni perché quel giorno tragico costituisce una pagina profonda del nostro essere storia e destino. E bisogna anche chiedersi, in tutto questo oblio calcolato e corrotto, dov’è la scuola? La burocratizzazione, le varie riforme in atto da decenni e l’aziendalizzazione della scuola hanno portato gli studenti a essere un corpo estraneo alla società, alla cultura e alla memoria: soprattutto un corpo vuoto e incapace di sognare e costruire un altro futuro a venire.

La zona grigia oggi

Nel fondamentale “I Sommersi e i Salvati” Primo Levi ci mostra che il mondo del lager era complesso e non vi era una chiara distinzione tra bene e male, il mondo era terribile ma anche indecifrabile, l’amico non era tale, il nuovo era considerato ostile, odorava ancora di casa sua. Vi erano pochi privilegiati e i vantaggi reali potevano essere un orario migliore o un tozzo di pane in più... La zona grigia era “la zona dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i padroni dai servi, possiede una struttura complicata e alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare. La storia dei lager è la storia incresciosa e inquietante dei Kapos e dei funzionari, dei gerarchetti che servono un regime di cui non vedono le colpe, dei subordinati che firmano tutto, di chi scuote il capo ma acconsente, di chi dice se non lo facessi io lo farebbe un altro peggiore di me”.

Allora se molte persone non sono fasciste, se non in piccoli settori, sicuramente non sono antifascisti: esiste una larga indifferenza al tema dove anche il 25 aprile non viene più commemorato da molti politici italiani, come per esempio Berlusconi quando era Presidente del Consiglio. Di fronte a questa nuova zona grigia profonda e intricata bisogna cercare di riconoscere le responsabilità dirette e indirette del capitale, del potere statale, dei fascisti veri e di tutte quelle forze che assecondano, nascondono, non vedono o non vogliono vedere razzismo e ingiustizia.

Anni fa Gilles Deleuze ci diceva chiaramente: “il vecchio fascismo, quale che sia la sua realtà e potenza in molti paesi, non è il problema all’ordine del giorno. Ci si preparano nuovi fascismi, si installa un neofascismo rispetto al quale l’antico fascismo sembra folklore. Il neofascismo non consiste in una politica e un’economia di guerra: è un’intesa mondiale per la sicurezza, per la gestione d’una “pace” non meno terribile, con l’organizzazione di concerto di tutte le piccole paure, di tutte le piccole angosce che fanno di noi tanti micro fascisti ansiosi di soffocare ogni cosa, ogni volto, ogni parola che risuona nella propria strada, nel proprio quartiere...”.

E aggiungeva: “La vergogna di essere uomo non la proviamo soltanto nelle situazioni estreme descritte da P. Levi, ma anche in condizioni insignificanti, di fronte alla bassezza e alla volgarità dell’esistenza che pervadono le democrazie, di fronte alla propagazione di questi modi di esistenza e di pensiero per il mercato, di fronte ai valori, agli ideali e alle opinioni della nostra epoca.”

Oggi più che mai, per le vittime di quel 12 agosto 1944, bisognerebbe ascoltare il diario di Hetty Hillesum che dai campi di prigionia tedeschi nel 1942 riusciva a scrivere: “Essere parti di un tutto, anche nella sofferenza. Sapere che anche altri, prima di noi, e insieme a noi, adesso stanno soffrendo. Siamo parte di un tutto e siamo anche direttamente responsabili di tutto quello che ci sta accadendo”.

Per non dimenticare quel giorno a Stazzema, per tutte le vittime del passato e per quel miliardo di persone che continua a subire violenze, fame e soprusi bisogna cercare di fare molto di più... Perché “i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha mai smesso di vincere” (Walter Benjamin – Sul concetto di storia).

Video di testimonianze

Fonte

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