di Guido Salerno Aletta
Nella transizione energetica, ci troviamo ad uno snodo cruciale: i prezzi per i consumatori, famiglie ed imprese, stanno aumentando in modo eccezionale, ma non vanno a finanziare gli investimenti in energie rinnovabili.
La maggiore spesa dei consumatori va a tutto beneficio dei Paesi produttori di gas e petrolio, arricchisce gli intermediari che operano sui mercati dei futures, aumenta i fatturati delle imprese che operano nel settore energetico che generano e distribuiscono utili favolosi.
Bisogna ora analizzare che cosa sta succedendo sul mercato dell'energia.
Nella modellizzazione teorica del processo di transizione ambientale, che prevede il progressivo abbandono delle fonti energetiche fossili, era stato ipotizzato una sostanziale stazionarietà della spesa dei consumatori nonostante il fabbisogno di nuovi capitali necessari per realizzare gli impianti di produzione di energie alternative.
Si presupponeva infatti che, a mano a mano che la domanda di fonti fossili fosse andata diminuendo, anche il loro prezzo e dunque il relativo esborso complessivo da parte dei consumatori sarebbe diminuito. Il risparmio così ottenuto, pagando di meno i produttori di energie fossili, sarebbe stato impiegato per finanziare gli investimenti necessari per lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Per innescare questo processo, il prezzo di produzione delle energie fossili sarebbe stato aumentato artificiosamente, attraverso la introduzione di una serie di "tasse ambientali", ad esempio con le aste per comprare i diritti di emissione di CO2. Questi proventi sarebbero stati destinati dagli Stati alla incentivazione degli investimenti in energie rinnovabili, rendendole così più convenienti.
La conseguente diminuzione della domanda di energie fossili ne avrebbe fatto diminuire il prezzo, rendendo sostenibile il processo di transizione verso le rinnovabili. La sostanziale rigidità della offerta di energia di origine fossile, carbone, petrolio e gas, che aveva richiesto investimenti colossali e che si ammortizzano in decenni, era il presupposto di tutto il meccanismo: i Paesi produttori si sarebbero dovuti accontentare di spuntare prezzi di vendita continuamente inferiori, riducendo i proventi e dunque i profitti.
La realtà si sta palesando in modo assai diverso: i produttori di energie fossili, che sono riuniti in cartelli, l'OPEC per il petrolio e l'OPEC+ che considera anche il gas, in questi recenti anni di crisi economica hanno cercato di adeguare continuamente la loro offerta complessiva alla domanda in modo da minimizzare le perdite. Per di più, messi sull'avviso della strategia di transizione ambientale, hanno razionalmente ridotto drasticamente gli investimenti in nuovi campi di perforazione ed in nuove infrastrutture di trasporto, pipeline terrestri e sottomarine, e sistemi di trasporto del gas via mare previa liquefazione.
Ci si trova, soprattutto in Europa ma anche negli Usa, di fronte ad un aumento esponenziale dei prezzi dei carburanti, dell'elettricità e del gas. I prezzi sono aumentati innanzitutto per la ripresa della domanda, dopo il biennio di crisi pandemica. L'OPEC aveva ridotto fortemente la produzione di petrolio, e non la ha mai riportata ai livelli precedenti: prima aspetta che i prezzi salgano; poi, se del caso per evitare strozzature, la aumenta. Deve massimizzare i proventi: non si comporta in modo ingenuo, come gli agricoltori dell'Ottocento.
Ci sono poi le conseguenze della guerra in Ucraina, delle sanzioni irrogate alla Russia e della decisione dell'Unione europea di trovare in tempi rapidissimi, al massimo un paio d'anni, fornitori alternativi di gas e petrolio: non ci sono sul mercato capacità di offerta immediatamente disponibili per fronteggiare la domanda straordinaria per la sostituzione della produzione della Russia e gli investimenti necessari per fronteggiare questa domanda imprevista richiedono tempi di realizzazione e di ammortamento che non coincidono con la prospettiva di ridurre comunque il consumo di energie fossili.
Per quanto riguarda il petrolio ed il gas, per gli impianti di estrazione e di trasporto già esistenti, c‘è dunque un certo grado di flessibilità nella offerta. Molto più rigida è invece l'offerta di nuova capacità: i produttori hanno un controllo del mercato maggiore rispetto ai consumatori, soprattutto se questi ultimi hanno esigenze estemporanee e di breve durata.
La domanda di energia è assai rigida, in quanto varia in modo pressoché proporzionale rispetto all'andamento del PIL: nel breve periodo, solo una crisi economica riduce la domanda in modo significativo. I risparmi energetici, la riduzione di quantità di energia consumata per unità di PIL, si ottengono solo nel medio periodo.
Il nodo energetico è sempre più stretto: i Paesi consumatori di energie fossili vogliono rendersi autonomi, puntando sulle energie rinnovabili, ma i processi di mercato e di tassazione ambientale su cui si basava la transizione ambientale si sono dimostrati irrealistici ed impraticabili.
Un pasticcio, se l'aumento dei prezzi di elettricità e gas non va agli investimenti nelle rinnovabili.
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