di Guido Salerno Aletta
È ricominciata la litania dei conti pubblici in ordine: non solo bisogna controllare le spese e tenere sotto stretto controllo il deficit, ma fare attenzione ai tassi di interesse in salita per via della politica monetaria restrittiva, e soprattutto agli spread sul debito: i mercati sono in apprensione per l'andamento dell'economia italiana, per le imprese e le famiglie in difficoltà. Sono pronti a prezzare un peggioramento del rating, visto il rapporto astronomico che è stato raggiunto tra debito e PIL, arrivato al 150%.
È tempo non solo di preparare il bilancio per il 2023, ma anche di fare i conti con il passato, con quanto è accaduto a partire dal 1992, l'anno in cui fu approvato il Trattato di Maastricht che vieta ogni forma di sostegno agli Stati da parte delle Banche centrali introducendo una prima disciplina dei bilanci pubblici, con il tetto del 3% al deficit e l'obiettivo di ridurre gradatamente il debito fino al 60% del PIL.
Dal 1992 al 2008, abbiamo vissuto anni di austerità che aveva portato il debito italiano al 100% del PIL: il rapporto si riduceva gradualmente con gli avanzi primari di bilancio, ma a detrimento della crescita. In questi anni, poi, l'Italia ha sempre pagato un tasso di interesse sul debito assai elevato, soprattutto rispetto alla Germania ed alla Francia. Ciò ha reso più costoso e meno celere il riequilibrio.
Poi, dopo la crisi americana del 2008, e quella in Europa del 2010, è stato introdotto il Fiscal Compact: un indurimento delle regole di Maastricht, con l'obiettivo di raggiungere il pareggio strutturale del bilancio attraverso saldi primari attivi e di ridurre il rapporto debito/PIL di un ventesimo l'anno fino a raggiungere il fatidico 60%.
Proprio quando l'Italia era ad un passo dal primo obiettivo, a fine 2019, è scoppiata la pandemia di Covid: a partire dal marzo del 2020, ci sono stati due inverni di blocco dell'economia, con il disavanzo lasciato andare senza controllo e con la BCE che ha ripreso ad immettere liquidità a manetta nell'economia attraverso il Qe ed il PEPP: quest'ultimo è stato dichiarato concluso a marzo scorso, decidendo di utilizzare temporaneamente le somme derivanti dai rimborsi alle scadenze dei titoli in portafoglio per mitigare la crescita degli spread dei Paesi più indebitati, tra cui l'Italia.
Il secondo semestre del 2021 aveva visto finalmente l'economia riprendersi, anche se due fattori di rischio si palesavano già: la svalutazione dell'euro, per via dei capitali attirati dal dollaro che paga interessi più alti; l'aumento dei prezzi all'importazione.
A partire da febbraio scorso, a causa della invasione dell'Ucraina da parte della Russia, la situazione europea è precipitata: i prezzi dei prodotti energetici sono schizzati alle stelle, l'incertezza sul futuro dell'economia si è accresciuta in modo formidabile, i più alti tassi di interesse praticati dalle banche rendono più fragile l'economia, mentre le imprese e le famiglie sono alle prese con bollette astronomiche per gas ed elettricità.
Siamo di fronte ad una situazione critica, con l'inflazione che ormai viaggia attorno al 10% annuo: la politica monetaria restrittiva delle banche centrali, più ruvida quella della Fed e più moderata quella della BCE, inducono un raffreddamento dell'economia. Per Germania ed Italia non c'è solo il rallentamento: si teme la recessione.
Gli inviti alla cautela nella predisposizione dei bilanci per il 2023 non bastano.
Serve una riflessione sistematica sulla Costituzione monetaria che ci si è dati in UE.
Il divieto, inserito a Maastricht, di ogni sostegno agli Stati da parte delle Banche centrali serviva a metterli in competizione sul mercato rispetto agli operatori privati. Il denaro preso a prestito deve costare a tutti lo stesso prezzo, il medesimo tasso di interesse: Stati, imprese e cittadini devono essere messi sullo stesso piano. Nello stesso tempo, le regole sulla disciplina dei bilanci pubblici assicuravano un controllo di deficit e debito. Il maggior debito pregresso ha penalizzato i Paesi più indebitati come l'Italia, distorcendo la concorrenza internazionale e trasferendo ricchezza dall'economia reale al mondo della finanza: gli interessi sul debito pubblico si pagano aumentando le tasse e riducendo le spese.
Sotto il versante monetario, le Banche centrali hanno adottato politiche non convenzionali di immissione di liquidità quasi ininterrottamente a partire dal 2008, e poi nel biennio marzo 2020 – marzo 2022. Hanno comprato titoli di Stato sul mercato, fornendo nuova liquidità a chi li vendeva: fondi, assicurazioni, banche.
Tali e tanti titoli di Stato sono stati comprati, che i tassi di interesse sono scesi sotto lo zero, divenendo nominalmente negativi: in pratica, siamo arrivati all'assurdo che gli investitori finanziavano i debitori. Mai, per di più, è stato raggiunto l'obiettivo sempre proclamato dalla BCE, di aver deciso di effettuare queste operazioni per evitare la deflazione e raggiungere una crescita dei prezzi "vicina ma non superiore al 2% annuo": i prezzi al consumo non potevano crescere perché la liquidità non entrava nel circuito della economia reale ma solo in quello finanziario.
La liquidità immessa dalle Banche centrali è andata a sostenere i corsi azionari, ad alimentare la speculazione sui prezzi delle materie prime attraverso l'acquisto di futures. Nello stesso tempo, le banche sono state penalizzate dai tassi di interesse portati a zero: i margini di operatività creditizia sono stati ridotti al lumicino nonostante avessero reso improduttivi i depositi di conto corrente.
Chi ha sicuramente beneficiato, congiunturalmente, di questa situazione sono stati i debitori, sia i privati nei confronti delle rispettive banche o dei finanziatori, sia gli Stati. Ma mentre il credito alle attività produttive ha ristagnato, gli Stati hanno aumentato i loro debiti fuori da ogni controllo.
Adesso ci si trova in una condizione critica: con l'aumento dei tassi di interesse, gli Stati devono pagare un servizio del debito più elevato anche sui debiti contratti in passato una volta che i vecchi titoli vengono a scadenza; a loro volta, le imprese e le famiglie si trovano il credito più caro mentre i loro costi di funzionamento crescono per via dell'inflazione.
Siamo di fronte ad un possibile collasso degli Stati, se vengono nuovamente stressati sul mercato per via degli enormi debiti accumulati. È impossibile agire sulla leva fiscale aumentando le tasse, vista l'inflazione in essere e la recessione che si approssima, manovre di finanza straordinaria non sono immaginabili.
Serve una Nuova Costituzione Monetaria, che ribalti le logiche del passato:
- la Moneta deve essere immessa sul mercato prevalentemente attraverso il Canale Tesoro, in modo da assicurare la necessaria maggiore liquidità alla economia reale. La Banca centrale deve poter comprare a tal fine titoli di Stato sul mercato primario, al rinnovo delle scadenze. La stabilità monetaria e l'equilibrio delle finanze pubbliche è assicurato dal rispetto dei parametri costituzionali sul pareggio di bilancio;
- per aumentare la liquidità non si deve dunque ricorrere necessariamente al Canale bancario, che opera attraverso l'erogazione del credito e dunque attraverso l'indebitamento ulteriore dell'economia, imprese e cittadini;
- occorre evitare di fornire liquidità direttamente al sistema finanziario: a quest'ultimo le risorse operative devono arrivare dall'economia reale e non sostituendo la detenzione di titoli di Stato con nuova liquidità. Ciò ha provocato una inflazione del valore degli asset quotati, la tendenza ad assumere rischi eccessivi e a speculare sui mercati delle materie prime, dei prodotti agricoli ed energetici.
Pertanto:
- la Banca centrale immette la nuova liquidità occorrente alla crescita dell'economia reale sottoscrivendo sul mercato primario le emissioni dei titoli pubblici in scadenza e comunque tutte quelle volte a finanziare l'eventuale deficit annuo ritenuto compatibile con il rispetto degli impegni assunti in ordine al pareggio strutturale del bilancio;
- gli Stati convertono in debito irredimibile i titoli detenuti nel portafoglio della Banca Centrale, fermi restando i tassi di interesse in essere e la completa retrocessione a loro favore dei pagamenti effettuati a tal fine. Ciò comporta l'annullamento funzionale del "debito non di mercato" ed evita le manovre di riduzione della liquidità che oggi avvengono attraverso la vendita sul mercato dei titoli di Stato in portafoglio, operazione che mina la stabilità finanziaria facendo lievitare i tassi;
- la Banca centrale interviene altresì sul mercato secondario dei titoli di Stato assicurando che i tassi di interesse non superino quello di riferimento deciso per il rifinanziamento principale del sistema bancario. Solo in questa maniera si garantisce la stabilità finanziaria degli Stati, una volta che rispettano gli obblighi costituzionali in materia di bilancio;
- il rifinanziamento del sistema bancario avviene esclusivamente per finalità di credito, a breve, medio e lungo termine, alle imprese e alle famiglie;
- la liquidità bancaria eccedente gli impieghi creditizi va impiegata esclusivamente per acquisti di titoli di Stato;
- occorre tornare a distinguere la funzione del risparmio e del credito, attività rispetto alle quali la Banca centrale opera la vigilanza prudenziale sul sistema bancario, dalle altre attività finanziarie di investimento e partecipazione il cui rischio ricade unicamente ed esclusivamente sugli operatori.
Serve un nuovo rapporto tra Stato, Economia e Moneta.
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