Per il governo Meloni si sta intricando sempre di più la matassa del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) ossia dell’ennesimo strumento vincolante elaborato dall’Eurogruppo.
Da un lato il governo recalcitra (e in questo caso a ragione) a sottoscrivere un nuovo laccio del vincolo esterno come il MES, dall’altra vorrebbe ridiscutere alcuni aspetti del PNRR sui quali l’Italia non può che arrivare in ritardo sul piano attuativo con il rischio di perdere finanziamenti.
Tra l’altro, occorre ricordare che l’Italia è l’unico paese che del Recovery Fund ha preso più soldi in prestito (accumulando altro debito) che a fondo perduto. L’ennesima scelta suicida, voluta da Draghi, che ha reso ancora più forte quel “vincolo esterno” al quale le classi dirigenti italiane hanno affidato le sorti del paese dal 1992.
Dunque il governo Meloni vorrebbe discutere con Bruxelles sia dell’adesione al MES sia delle modifiche al PNRR, ma sia dall’Eurogruppo sia dalla Commissione europea hanno fatto sapere che prima si aderisce e poi si discute.
Il governo vorrebbe puntare su un negoziato a Bruxelles che metta insieme queste due partite. In sostanza, Meloni vorrebbe garantire la ratifica del MES da parte dell’Italia in cambio delle modifiche al PNRR richieste all’Ue.
Ma dalla riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles filtra l’aria di chi sa di aver la partita vinta già in tasca a proposito della possibile approvazione della riforma del MES da parte del Governo italiano.
Prima dell’inizio della riunione dell’Eurogruppo, infatti, sia il vicepresidente esecutivo della Commissione, Dombrovskis, che il commissario UE all’Economia, Gentiloni, si sono detti positivi. “Pare esserci qualche progresso, quindi speriamo di poter confermare la ratifica da parte di tutti i membri del Meccanismo Europeo di Stabilità”, ha evidenziato Dombrovskis.
Non solo. “La rassicurazione che ho ricevuto nella mia visita a Roma è stato il riconoscimento del ministro Giorgetti dell’importanza di questo tema e il lavoro che si sta facendo”, ha chiarito il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, nella conferenza stampa al termine della riunione a cui ha partecipato anche Giorgetti.
A quanto si apprende dagli ambienti di Palazzo Chigi, il problema è che dovrebbe esserci un nuovo passaggio parlamentare che cambi la posizione espressa nella mozione del 30 novembre scorso, senza il quale il governo sarebbe in difficoltà a procedere con la ratifica del MES. La mozione approvata il 30 novembre, impegnava infatti il governo a non “approvare il disegno di legge di ratifica del Trattato istitutivo del MES”.
Stando alle fonti del governo, in questo momento non ci sarebbe una maggioranza parlamentare italiana a favore della ratifica del MES. Sono note, infatti, le posizioni contrarie di Lega e Fratelli d’Italia, anche se sembravano esserci state aperture negli ultimi giorni come quelle di Giorgetti negli incontri con il presidente dell’Eurogruppo a Roma e poi a Bruxelles. In Parlamento c’è poi da segnalare la contrarietà al MES del M5S.
Ma sullo sfondo di queste schermaglie – sulle quali però il governo Meloni si gioca parecchia credibilità nel suo “farsi rispettare o meno in Europa” – si stagliano però contraddizioni serie e pesanti sul piano economico sia per l’Italia sia per l’Unione Europea. Si tratta di evitare una recessione profonda che deve fare i conti sia con le conseguenze della guerra in Ucraina sia con le “fraterne coltellate” degli Stati Uniti nella lotta all’inflazione.
Una delle priorità della Ue è infatti la strategia attualmente in discussione sul come affrontare il piano statunitense contro l’inflazione (IRA) che si sta trasformando in una serie sfida di competitività per l’industria europea.
Tant’è che sul tavolo di Bruxelles c’è la partita della modifica al divieto degli aiuti di Stato alle imprese. Il ministro Giorgetti, che del mondo delle imprese è diramazione diretta, lo ritiene un passaggio “doveroso di fronte alle sfide sul piano della competitività dell’industria europea, soprattutto per i suoi settori strategici e per le mutate condizioni di contesto economico di prezzi e disponibilità di materiali”.
Ma Giorgetti sottolinea anche che il tutto deve avvenire “senza mettere a rischio le condizioni di competitività all’interno dell’Ue discriminando Paesi in base al rispettivo spazio fiscale. Forme comuni di finanziamento dei progetti strategici europei sono la corretta risposta a questa sfida”.
Dunque riemerge la preferenza per un modello europeo concertato tipo Next Generation EU per le imprese piuttosto che per nuovi meccanismi finanziari vincolanti come il MES che potrebbero rivelarsi dannosi per i paesi europei a competitività più debole.
Un cane che si morde la coda e una contraddizione che non vede soluzioni indolori. Ancora una volta il governo della destra si trova di fronte alla scelta se capitolare ai diktat di Bruxelles o tutelare “l’interesse nazionale” su cui la Meloni ha fondato la sua fortuna politica. In questo caso lo zerbinaggio del governo italiano alla fedeltà atlantica potrebbe non bastare. Spazi di compromesso se ne vedono pochi o nulla. Le sorti della Grecia di Tsipras sono lì a ricordarlo.
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