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13/01/2024

Per Israele, 20.000 gazawi sono responsabili della loro stessa morte. Non mi sono mai vergognato tanto

Il giornalista Ben Caspit è il simbolo del centro politico israeliano. Vive a Hod Hasharon e conduce un talk show radiofonico con il giornalista Yinon Magal, che è di estrema destra. Caspit, presumibilmente, non lo è. È un giornalista con buoni collegamenti, molto rispettato e di successo.

Nel fine settimana, il direttore esecutivo del gruppo anti-occupazione Breaking the Silence ha scritto su X: “Non guardate dall’altra parte. Un corrispondente della CNN è entrato nel sud della Striscia di Gaza e ha aperto una ‘finestra sull’inferno’ di Gaza”.

Questo è ciò che Caspit, una persona moderata e che si ritiene rispettabile, ha detto in risposta: “Perché dovremmo guardare? Si sono guadagnati onestamente il loro inferno; non ho un briciolo di compassione”. Caspit, come al solito, è il portavoce dell’opinione corrente israeliana.

Ottomila bambini sono responsabili della propria morte; 20.000 persone sono responsabili di essere state uccise; 2 milioni di persone hanno causato il proprio sradicamento. È così che una persona ricca parla sempre dei poveri, una persona di successo dei meno fortunati, una persona sana dei disabili, un forte di un debole, un Ashkenazi di un ebreo Mizrahi: la colpa è del loro vittimismo.

Nell’Israele del dopo 7 ottobre, si possono incolpare 10.000 bambini e neonati per la loro stessa morte senza che Israele abbia nemmeno un briciolo di responsabilità e di colpevolezza. Nell’Israele del dopo 7 ottobre, ci si può sentire senza colpe solo perché Hamas ha iniziato a commettere atrocità per primo.

Un paese giace in rovina e tutti i suoi abitanti sono in un inferno, e il generatore di questo inferno non ha alcuna colpa, nemmeno minima, nemmeno insieme alla colpa di Hamas. Il giornalista che è il simbolo del centro israeliano non ha nemmeno un briciolo di compassione per i bambini amputati mostrati nel coraggioso e orribile reportage di Clarissa Ward da un ospedale di Rafah.

Che vengano amputati arti, che i bambini muoiano, che tutti i gazawi muoiano, che soffochino in un inferno, non sono affari nostri. Sono loro i responsabili del loro disastro, solo loro. Caspit ha colto nel segno: la vittima è responsabile del suo vittimismo.

Mettendo da parte la questione delle colpe e delle responsabilità – che sono tutte di Hamas e non di Israele, i cui soldati e piloti scorrazzano liberi e senza freni a Gaza – noi non c’entriamo nulla, l’importante è che non ci sentiamo in colpa per nulla.

A parte questo, bisogna essere incredibilmente ottusi, crudeli e persino barbari per non provare almeno un po’ di empatia per i bambini che muoiono sui pavimenti degli ospedali, per un padre che piange sul corpo del figlio, per un neonato coperto dalla polvere della sua casa bombardata, che cerca invano qualcuno nel mondo, per le persone che vivono da due mesi nel terrore, nella disperazione e senza più nulla nella loro vita; per gli affamati, i malati, i disabili e i diseredati della Striscia di Gaza.

Persino l’empatia è proibita agli occhi di Caspit e dei suoi, per evitare che si insinui un pensiero pericoloso e proibito: che sono esseri umani quelli che vivono a Gaza. È una cosa che gli israeliani non riescono a sopportare.

Attenti a non superare una linea pericolosa, a cui possono far seguito pensieri estranei agli israeliani riguardo a quanto sia lecito spingersi per una giusta causa; cosa è lecito e, soprattutto, cosa è vietato in qualsiasi circostanza.

Ci sono cose che sono proibite in qualsiasi circostanza. L’uccisione di 8.000 bambini in due mesi, per esempio. Caspit e i suoi vogliono solo applaudire l’eroico esercito senza vedere cosa fa.

L’umanità è proibita, siamo israeliani. Quando si verifica un terremoto in qualsiasi parte del mondo, inviamo aiuti e siamo orgogliosi di noi stessi, ma le uccisioni di massa a Gaza non ci riguardano. È così che funziona la moralità di Israele. È pensata per permettere a Caspit, non solo a Magal, di sentirsi bene con se stessi riguardo a Gaza.

In occasione di una conferenza internazionale tenutasi lo scorso fine settimana a Istanbul, ho detto, tra le altre cose, che non mi sono mai vergognato così tanto di essere israeliano come quando ho visto le immagini da Gaza.

Queste parole sono state pubblicate su un popolare sito web israeliano di intrattenimento. Durante il fine settimana, ho ricevuto centinaia (forse migliaia, ormai) di chiamate e messaggi di testo ingiuriosi. Spesso si può conoscere una società attraverso le sue fogne. Insieme vinceremo, recita lo slogan attuale.

Tuttavia, la distanza tra il liquame che mi viene indirizzato e le parole apparentemente rispettabili di Caspit è minore di quanto si possa immaginare. Non c’è differenza tra l’odio per gli arabi e la loro disumanizzazione, espressi nel linguaggio volgare e inarticolato dei miei interlocutori, e le parole ben formulate di Caspit.

Sia il basso che l’alto Israele hanno perso la loro immagine umana. Questo è un motivo sufficiente per vergognarsi di essere israeliani.

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