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09/09/2024

Con Michel Barnier l’Unione Europea “commissaria” la Francia

La scelta di Macron di nominare Michel Barnier a capo del nuovo esecutivo sembra decisamente il frutto del “commissariamento” delle élite politiche continentali – considerata l’incapacità manifesta di Macron di affrontare la crisi politica che si è aperta con le elezioni europee del 9 giugno – bisognose di dare un “colpo di rasoio” alle aspettative di cambiamento del popolo francese, avviando un’agenda politica all’insegna di una maggiore austerità rispetto a spesa pubblica, pensioni e welfare.

La funzione di Barnier sarebbe quindi, mutatis mutandis, quella di Monti e di Draghi in Italia, ovvero rispettare la tabella di marcia della UE attraverso la presa incarico diretta del governo da parte di un proprio tecnocrate.

A tentare di sbarrare la strada a questo progetto c’è per ora solo una sinistra abbastanza unita, la maggioranza del movimento sindacale, un variegato arco di esperienze di movimento che hanno sostenuto il Nuovo Fronte Popolare, e la capacità delle piazze francesi di “incendiarsi” pur di poter cambiare i rapporti di forza, nonostante la blindatura politica evidente.

Macron Destitution!

Sabato 7 settembre, in centinaia di città francesi, si sono svolte le prime mobilitazioni contro il “coup de force de Macron”, che giovedì scorso ha nominato a capo dell’esecutivo il tecnocrate conservatore Michel Barnier.

Le manifestazioni erano già previste prima di tale nomina ed avevano come principale richiesta la destituzione di Macron, che prima si era rifiutato di dare l’incarico a Lucie Castets, la candidata proposta unitariamente dal Nuovo Fronte Popolare – la coalizione che ha ottenuto più deputati alle elezioni politiche anticipate – e poi aveva escluso dalle consultazioni un solo partito, La France Insoumise.

Alle mobilitazioni di sabato hanno aderito la maggioranza delle forze del NFP – tranne i socialisti – che sono servite a dare un primo sbocco di piazza al clima di indignazione rispetto alle decisione presa dal Presidente.

Naturalmente, come avviene per ogni manifestazione di carattere politico in genere, ed in particolare in Francia, dall’affermarsi del movimento dei gilet jaunes passando per quello contro l'estensione dell’età pensionabile, vi è una marcata distanza tra i numeri dati dagli organizzatori (300 mila in tutta la Francia) e il Ministro dell’Interno (110 mila).

La differenza maggiore tra le cifre si riscontra non a caso per la manifestazione principale – quella parigina – dove al corteo, secondo la prefettura, avrebbero partecipato solo 26 mila persone, mentre Mathilde Panot della LFI ha annunciato 160 mila partecipanti su suo profilo di X.

Da notare che, a differenza delle indicazioni date dalla segretaria della CGT Sophie Binet, la quale – come aveva annunciato – puntava ad una mobilitazione sindacale dal 1 ottobre, ha promosso la mobilitazione anche UD CGT 13 (che comprende all’incirca la regione metropolitana di Marsiglia).

Un corteo importante ha sfilato per strade del Vieux Port della città mediterranea al grido di “tout le monde déteste Michel Barnier”.

Sul volantino di convocazione si dà appuntamento per altri momenti di mobilitazione il 10 settembre, a fianco degli insegnanti, il 13 con i lavoratori della siderurgia, mentre si propone “lo sciopero inter-professionale nazionale” – di fatto uno sciopero generale – per il 1 ottobre.

Insomma, l’anima più combattiva della, CGT che tra l’altro aderisce alla Federazione Sindacale Mondiale (non alla cadaverica CES), è già sul piede di guerra.

Le piazze di sabato sono in continuità con quelle di giugno, mobilitate la sera stessa dell’annuncio delle elezioni anticipate da parte di Macron. Manifestazioni spontanee contro l’ipotesi di un governo di estrema destra, che avevano spinto ulteriormente le forze della sinistra a formare una coalizione unitaria, dopo la conclusione dell'esperienza della NUPES.

Una spinta che ha trovato allineate la quasi totalità delle organizzazioni sindacali e le variegate esperienze di movimento, e tanti e tante militanti di base che si sono “messi a disposizione” per la campagna politica lampo.

Voci dal corteo parigino

Il sito d’informazione Mediapart ha raccolto alcune voci del corteo parigino, che restituiscono un mix di indignazione, determinazione e – in dose minore – di fatalismo rispetto alla situazione.

“È un vero piacere essere qui, vedere così tante persone mobilitate: nonostante i postumi delle elezioni legislative, i Giochi Olimpici e l’attesa di due mesi per la nomina del primo ministro, la gente è ancora qui! (…) È molto importante denunciare questo colpo di forza democratico: il nostro voto non è stato rispettato”, dice Élodie, 24 anni, responsabile della comunicazione e attivista femminista.

“Macron deve restituirci il potere e noi dobbiamo applicare il programma del NFP. Purtroppo le strade sono l’unico modo rimasto per farci sentire”, dice Mireille, pensionata di 75 anni.

“Siamo in un momento storico molto grave, perché il popolo francese si è appena visto rubare le elezioni”, ha dichiarato Aurélie Trouvé, deputata insoumise, alla testa del corteo, denunciando un “patto” siglato da Emmanuel Macron con il Rassemblement national (RN) per portare avanti le sue politiche neoliberiste e antipopolari, cui aggiunge solo “l’odio per gli stranieri”.

“Sono assolutamente indignato. Sono davvero preoccupato che Macron voglia forzare la strada ancora una volta, sta facendo tutto il possibile per mantenere i pieni poteri”, ha detto Stéphane, un’insegnante di 40 anni. “È una catastrofe per la democrazia, perché molte persone di sinistra che non votavano da tempo lo hanno fatto alle elezioni legislative e non torneranno più. Alla fine, è la RN che conta i punti”, aggiunge l’amica Julie.

“Mi sento tradita, fa molto male, arriviamo primi e abbiamo un primo ministro di destra ultra-minoritario. Alla fine, per colpa di Macron, le elezioni non sono servite a nulla”, spiega Suzanne, 22 anni, una studentessa che era venuta a manifestare con due amiche.

Clara, ingegnere di 25 anni, e il suo compagno, manifestavano per la prima volta: “Macron ci ha rubato il voto. Abbiamo lasciato correre molte cose, ma questa è l’ultima goccia”.

“È un po’ debole, non siamo abbastanza. È meno che contro la riforma delle pensioni”, sospira Jean-Marc, un sostenitore di LFI che ha partecipato a tutti i movimenti contro le riforme di Emmanuel Macron.

“È difficile mobilitarsi, molte persone sono rassegnate”, dice Alice, una logista di 32 anni. “Penso che possiamo ricominciare a mobilitarci, ma purtroppo non sono convinta che questo cambierà le cose. Macron dice sempre che ci ascolta, ma continua esattamente come prima. Penso che potrebbe esserci una scintilla, un errore e le cose potrebbero esplodere, la gente è nervosa”, dice Madeleine, una pensionata di 68 anni.

“Macron va per la sua strada, ma se non ci ascolta continueremo”, ha aggiunto Yuna, una studentessa di 21 anni.

I manifestanti sono anche preoccupati per l’arrivo al potere di un primo ministro di destra, con il tacito sostegno della RN: “Dobbiamo rispondere all’emergenza sociale. Se Macron ha nominato Barnier, è per compiacere il Medef e i mercati finanziari, la stessa politica che sta facendo salire il RN”, ha detto un manifestante.

Alice, 24 anni, simpatizzante ambientalista, è venuta a ricordare l’urgenza di combattere il cambiamento climatico: “È un problema grave, ma Michel Barnier preferisce parlare di immigrazione”.

Un governo con il doppio “collare a strozzo”

La promozione mediatica di Barnier, che si sta sottoponendo ad un vero e proprio “tour de force” per cercare di creare consenso attorno alla propria figura, è iniziata poco dopo la sua investitura.

Solo domenica si è registrata una doppia intervista ai giornali domenicali francesi, che gli danno grande spazio come La Tribune de Dimanche col titolo “ho la calma delle vecchie truppe e dei montanari”, o il JDD, a cui riserva le proprie confidenze in tono poetico: “voglio incarnare una speranza per la Francia”.

Una luna di miele che però non può celare la verità.

Qualsiasi governo verrà composto, la sua agenda – viste le premesse della nomina del tecnocrate conservatore – avrà un doppio “collare a strozzo”.

Da una parte ci sarà l’UE che, per voce della Von der Leyen, si è subito felicitata per la “nuova missione” che per l’Unione andrà a compiere l’ex negoziatore comunitario della Brexit, e dall’altro il RN di Le Pen e Bardella, che si è posto come “sorvegliante” dell’esecutivo di minoranza in formazione, verificandone l’operato con la perenne spada di Damocle della “mozione di sfiducia” qualora non fossero presi in considerazione i propri desiderata.

Secondo la Costituzione non ci sono obblighi di tempo per la formazione di un governo che verrà scelto più a Bruxelles che a Parigi, con il beneplacito di Macron, né obblighi di comunicare l’indirizzo di politica generale in Parlamento.

Il costume politico lo imporrebbe, ma stiamo assistendo allo svuotamento della prassi politica della V Repubblica e ad una accentuazione dei suoi caratteri più autoritari permessi dall’architettura gollista.

Tutti i partiti del NFP si sono detti pronti a depositare una “mozione di sfiducia”, appena i tempi tecnici lo permetteranno, che dovrà essere votata entro 48 ore – raccogliendo le firme di almeno 58 deputati sui 577 dell’Assemblea Nazionale – ma che avrà bisogno dei voti della maggioranza dei deputati (289) per poter passare, cosa che è accaduta solo una volta nel corso della V Repubblica, il 5 ottobre 1962, con la sfiducia a Pompidou.

L’agenda del prossimo esecutivo

Veniamo quindi alla fitta agenda e al calendario serrato del nuovo esecutivo in fieri.

La questione di “massima urgenza” è il completamento del bilancio per il 2025, poiché i tempi sono strettissimi. Entro venerdì 13 settembre, l’esecutivo deve completare il progetto di bilancio dello Stato e inviarlo al Consiglio superiore delle finanze pubbliche, affinché possa essere esaminato dal Parlamento a partire dal primo ottobre, come previsto dalla legge.

A Bercy, i ministri dimissionari Bruno Le Maire e Thomas Cazeneuve hanno già preparato il lavoro, soprattutto sul fronte delle spese, mentre a Matignon, Gabriel Attal e i suoi consiglieri hanno effettuato i primi arbitrati.

Incaricato di accelerare gli affari correnti, il primo ministro dimissionario aveva optato per un bilancio 2025 il meno impegnativo possibile, accontentandosi, per la maggior parte, di rinnovare quello del 2024. La spesa pubblica totale è stata congelata a 492 miliardi di euro, con pochi cambiamenti nella ripartizione tra i ministeri, “a parte un taglio particolare al Ministero del Lavoro e dell’Occupazione”, ci informa Le Monde.

La domanda è se Barnier manterrà questa versione della legge finanziaria, praticamente scritta dal governo uscente, o se la modificherà introducendo misure più severe di riduzione dei costi per limitare il deficit. Appare abbastanza scontato che scarterà l’ipotesi di nuove spese in risposta alle tensioni sociali e ai cambiamenti climatici.

Il dibattito parlamentare modificherà ben poco l’impianto che gli verrà illustrato, ed il voto potrà essere bypassato con l’utilizzo dell’articolo costituzionale 49.3.

Mentre si rifinisce il progetto di bilancio per il 2025, il nuovo Primo Ministro dovrà affrontare un’altra emergenza: lo slittamento dei conti per il 2024. Lunedì 2 settembre, un mese e mezzo dopo aver ricevuto una nota del Tesoro, Bruno Le Maire ha avvertito i parlamentari che il deficit pubblico francese è in condizioni critiche.

Secondo il ministro dimissionario, invece di iniziare a scendere, come previsto, il deficit rischia di aumentare ulteriormente nel 2024, raggiungendo il 5,6% del prodotto interno lordo (PIL). Ciò significa che gli impegni presi da Emmanuel Macron (ridurre il deficit a meno del 3% del PIL entro il 2027) sono già lettera morta.

Barnier dovrà prendere in esame l’abrogazione della legge del 14 aprile 2023, che ha portato l’allungamento dell’età pensionabile dai 62 a 64 anni

Ma né Emmanuel Macron né i parlamentari dell’ex maggioranza vogliono sentirne parlare, a parte alcune modifiche parziali.

Barnier nel recente passato si è espresso a favore di disposizioni ancora più draconiane della riforma del 2023, con l’età pensionabile fissata a 65 anni.

Una proposta di legge per abolire il rinvio dell’età pensionabile legale a 64 anni sarà discussa il 31 ottobre all’Assemblea nazionale, su iniziativa del RN. La France Insoumise, da parte sua, ha presentato un testo di contenuto analogo, ma più netto.

Un altro scoglio è l’abbandono o il rilancio della riforma sull’indennità di disoccupazione. La questione è stata accantonata da Gabriel Attal in vista delle elezioni. Inizialmente rinviata a fine luglio, la riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione è stata infine rinviata al 31 ottobre.

Il disegno di legge, che dovrebbe consentire al governo di risparmiare 3,6 miliardi di euro all’anno, inasprisce significativamente le condizioni in cui le persone in cerca di lavoro possono beneficiare dell’indennità di disoccupazione

Il testo aumenta il periodo di lavoro richiesto per ricevere l’indennità a otto degli ultimi venti mesi (rispetto ai sei su ventiquattro attuali, per coloro che non sono considerati “cittadini anziani”). Il periodo di erogazione del sussidio verrebbe ridotto da diciotto a quindici mesi (con un sistema più favorevole solo per le persone con più di 57 anni).

Da qui alla fine di ottobre, il nuovo Primo Ministro ha due possibilità. O lascia che la riforma entri in vigore il primo dicembre, come previsto, o decide di abbandonarla definitivamente.

In quest’ultimo caso, tuttavia, sarebbe necessario riaprire rapidamente i negoziati tra le parti sociali per stabilire nuove regole di compensazione. Gli accordi precedenti sono scaduti il 30 giugno e sono stati poi prorogati per decreto. Questa situazione non dovrebbe durare per sempre.

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