Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica presso l’Università degli studi del Sannio, come giudica questa terza legge di Bilancio del governo Meloni? Si va verso l’espansione o verso la stretta di bilancio?
“Il nuovo Regolamento UE e la Commissione europea pretendono un sostanziale ritorno alla politica di austerity. Anziché cercare vie per attenuare questa svolta, il governo italiano l’ha accentuata. La stretta di bilancio è anche più impetuosa di quanto fosse stato chiesto dalle istituzioni europee”.
Alcuni commentatori sostengono che questa dose aggiuntiva di “disciplina fiscale” sta contribuendo a ridurre lo spread sui tassi d’interesse, il che dovrebbe migliorare i conti pubblici.
“È la fiaba della cosiddetta ‘austerità espansiva’, che è stata più volte smentita dai fatti. La verità è che non esiste evidenza scientifica di legami tra queste variazioni del bilancio e lo spread sui tassi d’interesse, che dipende da fattori ben più complessi, tra cui l’orientamento generale della BCE”.
In un’audizione parlamentare e in articoli sul sito del Sole 24 Ore scritti con la collega Antonella Palumbo e altri ricercatori, Lei ha sostenuto che c’è una ‘crepa’ nell’attuale Regolamento UE che permetterebbe di attenuare la svolta verso l’austerity. In cosa consiste?
“Gli attuali vincoli di bilancio europei sono calcolati in base a una stima del tasso di disoccupazione di ‘equilibrio’ e del connesso ‘Pil potenziale’ che non ha solide basi scientifiche. Il nuovo Regolamento UE ha riconosciuto il problema e ha ammesso la possibilità di aprire finalmente un dibattito intorno al metodo di calcolo di queste variabili. La questione è rilevante. Una correzione del metodo di calcolo consentirebbe di ampliare le risorse pubbliche di oltre una decina di miliardi all’anno”.
Richiamandosi a questi vostri studi, alcuni parlamentari dell’opposizione hanno interrogato il governo sulla possibilità di sfruttare questa ‘crepa’ nel Regolamento europeo. Qual è stata la risposta del governo?
“Che non ha nessuna intenzione di farsi promotore di un’iniziativa di riforma del metodo di calcolo. La conseguenza è piuttosto spiacevole: il nostro Paese si accoda alle posizioni europee più conservatrici, di coloro che stanno remando contro l’apertura di una discussione in tema. Stiamo perdendo un’occasione per mitigare l’orientamento nuovamente restrittivo delle politiche europee”.
Eppure Meloni e Salvini pochi anni fa sventolavano la bandiera del sovranismo anti-europeo e addirittura l’uscita dall’euro. Cosa è accaduto?
“Che sono diventati più realisti del re. Il populismo ribelle che incarnavano era una mistificazione. A molti era chiaro già allora. Diciamo che adesso le prove sono lampanti”.
Al di là dei saldi di bilancio, è in corso anche una polemica su chi paga la stretta e chi ne trae beneficio. Il ministro Giorgetti dichiara che le banche daranno il loro contributo alla tenuta dei conti pubblici. Lei che ne pensa?
“Questo contributo non risulta. I famigerati 3,8 miliardi di “sacrifici” chiesti a banche e assicurazioni non sono altro che una sorta di anticipo di imposta su ciò che già dovevano dare. L’unica differenza è che pagano oggi e poi non pagheranno nei prossimi anni. Nella sostanza, il governo ha semplicemente chiesto un prestito temporaneo alle banche”.
C’è poi la polemica sulla spesa sanitaria. Il governo sostiene che aumenteranno i fondi mentre l’opposizione parla di tagli. Dove sta la verità?
“Stando alle previsioni del governo e dell’Istat, nel quadriennio 2023-2026 il fondo sanitario nazionale dovrebbe assestarsi intorno al 6,07% del Pil. Se guardiamo il decennio precedente, anche ‘limando’ il picco della pandemia il fondo sanitario aveva in media il 6,47%. È un calo dello 0,4% del Pil, che corrisponde a un taglio sul bilancio consistente, di oltre 6 punti percentuali. Io però inviterei a focalizzare non solo sulla riduzione delle risorse ma anche sulla loro destinazione...”.
Cosa intende?
“Il sistema sanitario è sotto il continuo attacco di coloro che puntano a spostare risorse pubbliche verso i privati. Per citare un esempio, le scandalose liste d’attesa negli ambulatori pubblici non dipendono solo da carenza di fondi. Sono anche il risultato di una precisa strategia privatizzatrice, che punta a dimostrare che la sanità pubblica non funziona più e che oggi l’unico modo per curarsi è pagare le strutture private. Sappiamo bene che gli stessi medici sono divisi, tra chi combatte e chi asseconda questa strategia. Le opposizioni dovrebbero fare esplodere la contraddizione, denunciando sì le risorse carenti ma anche portando avanti una lotta più generale a quest’opera di svuotamento della sanità statale”.
Accade anche in altri settori?
“Pensiamo all’università. L’attuale taglio delle risorse pubbliche agli atenei viene appoggiato da chi opera all’interno per renderli sempre più dipendenti da soggetti privati esterni. A loro volta, questi soggetti forniscono finanziamenti sostitutivi ma in cambio pretendono di governare anche le poche risorse pubbliche rimaste. A pensarci bene, è una sorta di privatizzazione potenziata: le istituzioni pubbliche non guadagnano nemmeno dalla vendita ai privati ma cedono a questi il controllo dei loro bilanci”.
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