Alla fine il PKK ha rivendicato apertamente l’attacco alla sede dell’industria aerospaziale Tusas, nei pressi di Ankara, avvenuto il 24 ottobre con un bilancio finale di 5 morti e 22 feriti.
Le tempistiche di tale attacco hanno stupito molti poiché è avvenuto proprio mentre il clima fra governo e sinistra filo – curda sembra essere mutato, rispetto agli ultimi 9 anni, nella direzione della ripresa del dialogo.
Il giorno precedente era stato ancora una volta Davlet Bahceli, alleato di governo di estrema destra, ad uscire allo scoperto, evocando addirittura la possibilità di un invito ad Ocalan in Parlamento: “Se l’isolamento del leader terrorista viene revocato, lasciatelo venire a parlare (in Parlamento)”, ha detto, rivolgendosi ai rappresentanti del movimento filo-curdo di sinistra, Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (Dem), “Lasciamo che gridi che il terrorismo è completamente finito e che l’organizzazione è smantellata”.
Il giorno dopo, ad attacco avvenuto, il Ministero della Difesa aveva immediatamente puntato il dito contro il PKK ancor prima della rivendicazione, facendo partire immediatamente la rappresaglia, con una serie di raid in Siria, nelle aree controllate dalla Ypg/Ypj, e in Iraq, dove hanno base le milizie curde.
Rivendicazione che poi è arrivata: “È noto che le armi prodotte da Tusas hanno ucciso migliaia di civili, compresi bambini e donne, in Kurdistan. Non esiste diritto più legittimo di quello di ogni organizzazione, istituzione e persona patriottica del Kurdistan ad agire contro i centri in cui vengono prodotte queste armi di massacro”. In un altro passaggio, i combattenti curdi spiegano, però, che l’azione era programmata da tempo e “non ha alcuna relazione con l’agenda politica discussa in Turchia nell’ultimo mese”, quasi a non voler interferire con le prove di dialogo dell’ultimo mese.
Effettivamente, nonostante tutto facesse pensare che fosse stata messa una pietra sopra qualsiasi possibilità di dialogo, il giorno dopo è stato consentito ugualmente ad Omer Ocalan, parlamentare del partito DEM, di andare a trovare lo zio Abdullah sull’isola prigione di Imrali, rompendo un isolamento assoluto che durava dal 2020.
Il messaggio recapitato dal leader curdo è breve ma significativo: “L’isolamento continua. Se le condizioni saranno quelle buone, avremo il potere teorico e pratico di muovere questo processo da un piano di conflitto e violenza a un piano legale e politico”.
La portavoce del partito DEM Ayşegül Doğan lo ha così commentato: “Questo messaggio, che sembra composto da 3 righe e 3 frasi contiene molti messaggi in sé. Innanzitutto, lui stesso afferma che l’isolamento continua. In secondo luogo afferma che se vengono create le condizioni ha il potere teorico e pratico di spostare questo processo dal terreno del conflitto e della violenza a un terreno legale e politico. İmralı è pronta, il signor Öcalan è pronto. Ma lo Stato è pronto? Come Partito DEM qui chiediamo: la politica democratica è pronta, il signor Öcalan è pronto, lo Stato è pronto a creare queste condizioni, a eliminare l’isolamento e a creare il terreno legale e politico per la soluzione democratica della questione curda? È il turno di coloro che hanno fatto questo appello e di coloro che lo sostengono. Una volta che la parola è stata pronunciata, è tempo di metterla in pratica”.
L’altro prigioniero eccellente, Salhattim Demirtas, si è spinto a condannare l’attacco di Ankara con un messaggio su X: “Condanniamo l’attentato di Ankara, che Dio abbia pietà di coloro che hanno perso la vita e offriamo le nostre condoglianze ai loro parenti. Auguriamo ai feriti una pronta guarigione.
La mentalità che cerca di fermare con il sangue la ricerca di risolvere i nostri problemi attraverso la conversazione, il dialogo e la politica dovrebbe sapere che se Öcalan prenderà un’iniziativa e vorrà aprire la strada alla politica, noi saremo al suo fianco con tutte le nostre forze.
Non accetteremo alcun approccio che miri a screditare la politica democratica e la ricerca della pace. Tutti dovrebbero fare i loro calcoli e comportarsi di conseguenza. Questa volta non permetteremo mai che le voci di coloro che vogliono la pace vengano soppresse, non importa da quale direzione”.
Questo messaggio fa pensare ad una divaricazione interna al movimento filo-curdo, che, tuttavia, rimane unito nel riconoscere la leadership di Ocalan. Lo afferma chiaramente Zilar Stêrk, la dirigente del KCK, organizzazione transnazionale curda cui è affiliato anche il PKK, in un’intervista pubblicata sul sito KCK-info: “Tutta la lotta che abbiamo condotto negli ultimi ventisei anni è stata volta a sviluppare una soluzione democratica alla questione curda. È diretta a garantire la libertà fisica di Rêber Apo (Abdullah Ocalan). Perché la soluzione alla questione curda significa la libertà fisica di Rêber Apo. E la libertà di Rêber Apo significa la soluzione alla questione curda. Entrambi sono due aspetti fondamentali che sono il più possibile vicini tra loro”.
La combattente ha voluto, poi, commentare le affermazioni concilianti di Bahceli, tenendo aperta la porta del dialogo, seppure con termini più aspri rispetto al partito DEM: “Il fascista Devlet Bahceli ha invocato Imrali nel suo discorso dal podio del parlamento. Hanno chiuso la porta a Imrali. Non permettono che una sola parola esca da Imrali. Come può chiamare Imrali senza che ci sia un incontro con Imrali? Ha chiamato Imrali ad agire. Ha detto a Rêber Apo di liquidare la sua organizzazione. Bahceli, la tua gente non ti chiede cosa sta succedendo con i curdi che hai dichiarato morti? Cosa sta succedendo con il movimento che hai dato per morto? I curdi hanno dato il loro messaggio molto chiaramente ad Amed. “I giovani sono i Fedayin di Rêber Apo” e “Nessuna vita senza Rêber Apo” erano gli slogan che si sentivano ad Amed. Devi prendere il vero messaggio da qui. Se vuoi fare una chiamata sincera a Imrali, allora prima devi aprire la porta a Imrali. Devi fissare un incontro e un dialogo a Imrali”.
In definitiva, nonostante la prudenza sia d’obbligo da parte curda e nonostante l’attacco ad Ankara, intervenuto proprio nel momento in cui si decideva di consentire la prima visita ad Ocalan dopo 4 anni, almeno l’argomento del destino di quest’ultimo sembra sdoganato definitivamente.
Si tratta di una novità importante, in quanto negli ultimi nove anni il leader curdo sembrava sepolto vivo nell’isola – prigione di Imrali ed il suo nome era tabù nel dibattito politico turco. Ovviamente, nel caso in cui il suo isolamento dovesse essere alleggerito e gli fosse consentito di avere un ruolo politico, lo scenario potrebbe cambiare con riflessi non solo in Turchia, ma anche in Siria, Iraq e forse, Iran. Fondamentale rimane l’unità dell’intero movimento curdo, al di là del comune riconoscimento della leadership di Ocalan. Le tempistiche dell’attacco di Ankara e le successive dichiarazioni di Demirtas lasciano intravedere alcune differenze che potrebbero essere usate dal governo turco.
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