Segnali di logoramento interno arrivano dai ranghi delle forze armate israeliane. Non certo per motivazioni morali rispetto al genocidio commesso contro i palestinesi ma perchè dopo un anno di morti e devastazioni la situazione a Gaza appare tutt’altro che normalizzata e l’illusione di una facile vittoria si è dissolta.
Secondo un rapporto pubblicato dall’agenzia israeliana Ha-Makom che ha condotto interviste con oltre 20 genitori e soldati di una serie di battaglioni, le risposte hanno rivelato una crescente insoddisfazione nei ranghi dell’esercito israeliano sull’andamento della “guerra senza limiti” in corso da più di un anno.
Un numero crescente di soldati israeliani sta diventando disilluso dai combattimenti a Gaza e in altre aree di conflitto come in Libano e in Cisgiordania, portando alcuni a rifiutarsi di tornare sul campo di battaglia.
All’interno della Brigata Nahal, i soldati trascorrono cinque settimane a combattere a Gaza prima di tornare a casa per riposare, cosa che hanno fatto finora 11 volte dall’inizio dei combattimenti nell’ottobre 2023. le interviste con oltre 20 genitori e militari mostrano che questo è un fenomeno diffuso anche tra i paracadutisti della Givati e della brigata commando.
Secondo Ha-Makom, durante l’undicesimo dispiegamento si sono presentati solo sei soldati di un plotone di 30 militari, mentre gli altri hanno trovato delle scuse.
Sebbene sia un fenomeno silenzioso, è in crescita. I soldati si rifiutano di continuare a combattere a Gaza. Il senso di cameratismo dell'importanza della missione che li ha riempiti per molti mesi, è esaurito. “Hanno combattuto fino all’ultima goccia delle loro forze fino a quando non sono stati più in grado di continuare” spiega Idit, la madre di un soldato in una delle unità commando.
C’è chi va all’ospedale e c’è chi va tranquillamente dal suo comandante dicendo che non è in grado di combattere e viene ricollocato in una posizione fuori dal combattimento o trasferito temporaneamente in un’altra posizione. Le cose rimangono chiuse all’interno dell’unità ma succede continuamente.
“Lo chiamo rifiuto e ribellione”, ha detto Inbal, madre di uno dei soldati del plotone, parlando con Ha-Makom. “Continuano a tornare agli stessi edifici che hanno già sgomberato, solo per trovarli di nuovo con trappole esplosive. Solo nel quartiere di Zaytoun a Gaza City, ci sono stati tre volte. Capiscono che è inutile e pericoloso”.
Molti genitori affermano che il crollo morale dei combattenti è iniziato già in aprile, con lo spostamento dell’IDF a Gaza, quando il senso di soddisfazione e di significato era minato. “Quando è iniziato il ritorno ai luoghi in cui ci trovavamo, come Jabaliya, Zeyton e Shajaya, i soldati si sono spezzati”, spiega Eidit. “Questi sono gli stessi luoghi in cui hanno perso i loro amici. La zona era già pulita. Doveva essere preservata. Li ha frustrati molto”.
“Ciò che li uccide sono le condizioni e la durata dei combattimenti senza fine in vista. Non sai mai quando uscirai ed è stato così per un anno”, ha detto un altro genitore, Eidit. per non parlare della perdita e delle situazioni difficili che vedono a Gaza.
Tutti gli intervistati nel rapporto hanno parlato in forma anonima per paura di dover affrontare ritorsioni da parte dell’esercito.
L’esercito israeliano ha pubblicato i nomi di oltre 750 soldati uccisi dall’inizio della guerra nell’ottobre dello scorso anno, tra cui più di 350 uccisi durante le operazioni di terra a Gaza. Almeno 43 soldati israeliani sono stati uccisi in attacchi e operazioni di terra sul fronte settentrionale della guerra lungo il confine libanese.
Un altro soldato ha detto a Ha-Makom che le missioni venivano “fatte a metà strada” a causa della mancanza di truppe. “I plotoni sono vuoti, coloro che non sono morti o feriti fisicamente sono mentalmente distrutti. Pochissimi tornano a combattere, e anche loro non stanno completamente bene”.
Segnali di logoramento interno dunque. Importanti ma ancora fin troppo relativi rispetto all’orrore in corso contro i palestinesi a Gaza o contro la popolazione libanese.
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