Dopo gli ultimi aggiornamenti sul tasso di inflazione nell’area Ue – 1,7% annuo, ben sotto il 2% considerato il “livello ottimale” – era praticamente certo che la Banca Centrale Europea (Bce) avrebbe ridotto i tassi di interesse. Semmai era cresciuta la probabilità che la dimensione della sforbiciata potesse essere maggiore (lo 0,50%) del piccolo passettino fatto per ridurre il costo del denaro (0,25).
Tagliati di 25 punti base anche i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di rifinanziamento marginale, scesi rispettivamente al 3,40% e al 3,65%, con effetto dal 23 ottobre 2024.
Ma la stessa presidente Christine Lagarde ci ha tenuto a confermare che la politica monetaria della BCE rimarrà restrittiva perché “Siamo determinati a garantire che l’inflazione torni al target prestabilito in modo sostenibile”.
L’osservazione superficiale è però che la differenza tra il tasso di inflazione e quello di interesse è in questo momento decisamente ampio (1,7 contro 3,25%), e dunque la politica “restrittiva” comporta un rischio consistente di recessione produttiva e, a medio termine, addirittura di una nuova fase recessiva, come quella che costrinse il suo predecessore, Mario Draghi a inventarsi una politica decisamente non ortodossa come quella dei “tassi zero” o – in certi momenti – addirittura negativi.
L’osservazione è comunque confortata dalla constatazione che il pilastro dell’economia europea – la Germania – si trova già ora al secondo anno di recessione, e dunque aumenta la probabilità che “il contagio” si estenda al resto del Vecchio Continente.
Anche perché l’esplosione del caro prezzi, oltre due anni fa, non fu causata – come si suol dire nei testi di macroeconomia neoliberisti – da “eccessivi aumenti salariali” (mai visti…) o da un “surriscaldamento” della dinamica economica, ma – al contrario – da uno choc esterno come l’esplosione dei prezzi dei prodotti energetici all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina e, successivamente, con il sabotaggio del gasdotto North Stream da parte dei servizi di Kiev e statunitensi, che assicurava rifornimenti a basso costo dalla Russia.
Ovvio, insomma, che una politica monetaria molto restrittiva (i tassi di interesse crebbero fino al 4% in appena quindici mesi) doveva costituire una barriera terribile per una dinamica economica che nel frattempo – proprio per le forti incertezze di una guerra alle porte – cominciava velocemente a zoppicare. Basti ricordare la necessità di sostituire le forniture di idrocarburi russi con altri molto più costosi (come il GNL Usa, mediamente più caro di 4 volte).
Ma il processo inverso, dalla politica restrittiva ad una più “accomodante” o comunque in linea con la dinamica economica è decisamente molto più lento (appena lo 0,75% in meno da giugno a oggi).
Nonostante questo, la solitamente garrula Lagarde ha voluto blindare la sua immagine a imitazione dei “falchi” della Bce (tedeschi e olandesi, in primis) lasciandosi andare a battute tipo “Abbiamo spezzato il collo dell’inflazione? Ancora no”, ha detto Lagarde, “ma ci siamo vicini”.
E quindi ha fatto sfoggio di “pensiero austero” ultra-ottimistico. “Sicuramente non prevediamo una recessione” (e quando mai ne hanno prevista una? non vedono neanche quella tedesca, già in atto...), affermando di prevedere per l’area euro “uno scenario di atterraggio morbido”.
Perché “non ci troviamo ancora in quel momento in cui possiamo dire di essere certi che la crescita dell’inflazione stia avvenendo in modo sostenibile al ritmo del 2%, target della BCE”.
L’esperienza della Bce, per quanto ancora relativamente breve, è del resto densa di decisioni sbagliate che è stato poi necessario correggere di corsa. Obbligata, in questo, da uno statuto fondativo scritto da dottrinari senza cervello, che le hanno attribuito un solo obiettivo macroeconomico (contenere l’inflazione) anziché almeno due (il tasso di disoccupazione, per esempio, come nel caso della Federal Reserve Usa).
Detto in altri termini, la Bce guida la politica monetaria del Vecchio Continente con un paraocchi che le preclude la vista sull’economia reale, lasciandola in balia di “curve” che vede sempre dopo esserci caduta dentro...
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