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24/10/2024

Prestito UE da 35 miliardi a Kiev, coperto coi soldi russi

Due giorni fa il Parlamento Europeo ha approvato un prestito da 35 miliardi all’Ucraina per sostenere lo sforzo bellico contro la Russia. Con 518 voti favorevoli, 56 contrari e 61 astenuti, l’Aula di Strasburgo ha detto sì a questa erogazione straordinaria, che ora passerà al Consiglio Europeo per il via libera definitivo (ma c’è già l’accordo informale dei governi).

Le coperture di questo prestito verranno dagli interessi generati dai beni e capitali russi congelati in Europa. E per questo rimane un’incognita la stabilità del programma, perché le sanzioni vanno rinnovate ogni sei mesi e Orban si è opposto a qualsiasi modifica delle loro regole fino alle elezioni statunitensi.

A lungo, il cosa fare con quelle ricchezze poste sotto sequestro, ha tenuto banco tra gli esecutivi occidentali, poiché usarle significava andare contro ogni regola dei mercati, mostrando che non c’è “tutela della proprietà privata” se non si è allineati con gli interessi strategici euroatlantici. Questi ultimi hanno infine prevalso, aprendo pesanti incognite sulla stabilità di asset e investimenti extrauropei nella UE.

Se, infatti, i fondi investiti all’interno dell’Unione Europea diventano “sequestrabili” a seconda della stagione politica e del mobile “giudizio” sul paese di provenienza, nessun investitore – tranne gli statunitensi – potrà più essere sicuro di restare proprietario e beneficiario dei propri beni. E quindi sarà “incentivato” a trovare destinazioni più sicure…

Le sovvenzioni a Kiev arriveranno fino a fine 2025. Il prestito ha come clausola il costante impegno dell’Ucraina a sostenere “meccanismi democratici efficaci” (per un paese che ha messo fuorilegge quasi tutti i partiti di opposizione e ha annullato le elezioni presidenziali…), a “rispettare i diritti umani” e ad ulteriori condizioni che devono essere ancora stabilite tramite un apposito memorandum d’intesa.

Considerato che proprio ieri Andriy Kostin, procuratore generale dello stato, si è dimesso in relazione alla corruzione dilagante nel paese (senza neanche specificare se per incapacità di affrontare il problema o se per ombre riguardanti lui stesso), ci sono poche aspettative che Kiev implementi davvero misure del genere. Ma anche per la UE, del resto, questo non è nemmeno il nodo principale.

Il prestito è stato considerato un po’ come un assegno in bianco a Zelensky e compagnia, e per questa motivazione la Lega si è astenuta. La questione sollevata dai leghisti girava però intorno ai controlli e alle condizionalità sull’acquisto degli armamenti: la guerra va anche secondo Salvini portata avanti, il dubbio era solo se lasciare a una giunta golpista la possibilità di fare come gli pare e piace.

Il Partito Popolare Europeo, i Socialdemocratici e i centristi di Renew Europe, così come i Conservatori, avviati senza freni nell’abisso bellico, non si sono posti nemmeno questa preoccupazione e hanno votato in maniera compatta per il sì. Quasi tutti i Patrioti per l’Europa si sono espressi favorevoli o si sono astenuti sul pacchetto: grande unità dal centrosinistra fino all’estrema destra.

Il pacchetto finanziario è una parte di quello più grande approvato dal G7 a giugno di quest’anno, e i trasferimenti effettivi potrebbero essere più bassi, a seconda di quanto daranno prossimamente i membri non UE. Il 25 ottobre si riuniranno a Washington, e l’Ucraina sarà uno dei principali dossier sul tavolo.

In una bozza di dichiarazione congiunta che potrebbe essere approvata dal G7, resa pubblica dal quotidiano giapponese Nikkei, viene scritto: “riaffermiamo che i beni sovrani della Russia nelle nostre giurisdizioni rimarranno immobilizzati sino a quando la Russia avrà posto fine alla sua guerra di aggressione e pagato per i danni causati all’Ucraina”.

Il concetto è quello ribadito all’Europarlamento da Didier Reynders, Commissario Europeo uscente alla Giustizia, secondo cui la UE ha “due obiettivi: la lotta contro l’impunità ma anche che la Russia paghi per i danni provocati dalla sua aggressione all’Ucraina”.

Un discorso che non si sente invece fare per il Libano, ad esempio. E nemmeno per i caschi blu dell’Unifil.

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