Venerdì l’amministrazione Biden, ormai prossima alla sfida elettorale e alla possibile sconfitta, ha deciso un altro pacchetto di sostegno militare per Taiwan. Si tratta di sistemi contraerei a medio raggio, missili terra-aria e aria-aria, radar e altra strumentazione di supporto, per un valore di 1,16 miliardi di dollari.
La richiesta è arrivata dall’Ufficio di rappresentanza economica e culturale di Taipei (TECRO) negli Stati Uniti e la Defense Security Cooperation Agency (DSCA) ha rilasciato le certificazioni necessarie. Il sì definitivo deve arrivare dal Congresso, ma è difficile che si blocchino tali esportazioni.
Intanto, è stato annunciato anche un altro contratto di vendita, sempre riguardante sistemi radar, per un importo di 828 milioni di dollari. Questo insieme di strumentazione militare, secondo le autorità coinvolte, servirà ad aumentare le capacità di difesa di Taiwan, ma anche l’interoperabilità con le forze armate di Washington.
Infatti, nelle richieste di Taipei vi erano anche software classificati, pubblicazioni (classificate e non), documentazione tecnica, studi e indagini, supporto tecnico, ingegneristico e logistico. Questi ultimi verranno forniti anche dalla Raytheon (RTX), azienda maggiormente coinvolta in questi ordini militari.
Si prevede che ventisei rappresentanti del Governo statunitense e trentaquattro degli appaltatori industriali dovranno recarsi a Taiwan per il lungo periodo di tempo richiesto dall’installazione delle apparecchiature, dal settaggio del sistema, dalla formazione del personale. Più che interoperabilità, si deve ormai parlare di un vero e proprio avamposto a-stelle-e-strisce.
Questo processo è ormai arrivato a un livello di compiuta maturazione, in una cornice più ampia segnata dalla competizione globale e in cui la filiera dei chip ha un ruolo centrale. Dall’estate del 2022 è partito il dialogo bilaterale conosciuto come Iniziativa USA-Taiwan sul Commercio del XXI secolo, con la quale sta aumentando il legame tra i due mercati.
Le sanzioni decise a settembre da Pechino hanno riguardato nove società statunitensi che operano nei campi della cybersicurezza, dell’intelligenza artificiale e della modernizzazione delle forze militari. A metà ottobre, in concomitanza con le esercitazioni militari svolte intorno a Formosa, il Dragone ha deciso altri due pacchetti di sanzioni illustri.
Questi due sono stati diretti contro Puma Shen, ideatore della Kuma Academy, organizzazione creata per formare i civili nelle pratiche di autodifesa e parabelliche, e contro Robert Tsao, tra i fondatori della United Microelectronic Corporation (UMC), azienda di punta nel settore dei semiconduttori. Tsao ha finanziato la Kuma Academy con milioni e milioni di dollari.
Intanto, Zhu Fenglian, portavoce di Pechino per l’Ufficio per gli Affari di Taiwan, ha parlato dell’accordo appena concluso come di “una violazione degli impegni degli Stati Uniti”, facendo esplicito riferimento a un comunicato congiunto firmato in passato, in cui viene stabilito l’impegno a non vendere armi a Taipei. La militarizzazione “renderà solo Taiwan un posto più pericoloso e a rischio di conflitto”.
Una logica ineccepibile, soprattutto perché è la dinamica che abbiamo sempre osservato in tutti i grandi conflitti del secolo scorso, e anche in quelli degli ultimi decenni. La risposta muscolare e militare ha portato solo a lunghi conflitti in cui le popolazioni civili coinvolte sono state le prime vittime.
Ma questo non interessa a Washington. E forse, è proprio quello che cerca, guardando alla crisi ucraina.
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