Quando a fine settembre sono stati decretati l’ammontare e la ripartizione del Fondo di Finanziamento 2024 per le Università pubbliche italiane, molti sono rimasti di stucco. Non solo si vedevano tagli per quasi tutti gli Atenei, ma è presto risultato chiaro che le cifre fornite dal Ministero guidato da Anna Maria Bernini erano ingannevoli. Prese di per sé, infatti, le riduzioni del Fondo erano serie ma non letali: 3 milioni su 90 – prendiamo un’università di medie dimensioni – non sono pochi, ma, pur tristemente, si possono gestire.
Il fatto è che questo intervento si cumula con altri più subdoli. Anzitutto, finiscono a carico del Fondo degli Atenei – senza più dunque la copertura ministeriale garantita nel periodo di avvio – gli onerosi scatti stipendiali del personale docente. Poi accade che, sempre a valere sul Fondo, quest’anno le retribuzioni dei docenti sono state alzate in un colpo del 4,8% a parziale recupero dell’inflazione (in passato non salivano mai più dell’1%: che si voglia “prevenire” il dissenso?), con un aggravio inatteso e destinato a pesare negli anni. Ecco che la predetta università-tipo si trova in un baleno a perdere quasi l’8%.
Si è voluti intervenire a sostegno delle retribuzioni di chi è già dentro l’Università (inferiori a quelle dei colleghi stranieri, ma non disprezzabili nella media salariale del Paese), ma lo si è fatto a danno del reclutamento dei giovani. Infatti i quattro “Piani Straordinari”, varati dal governo Draghi con il primario obiettivo di rimpolpare l’organico e l’offerta degli Atenei garantendo un miglior rapporto docenti/studenti, subiscono una triste sorte: per quanto riguarda i primi due, avviati nel ‘22, le assunzioni a valere su di essi potranno slittare fino a fine 2026 (cioè un vincitore di concorso non prenderà servizio – e dunque stipendio – per due anni sani); gli ultimi due, invece, sono stati direttamente monetizzati e svincolati dallo scopo originario. In sostanza, i soldi con cui si era stabilito di attirare nuovi ricercatori o di promuovere quelli bravi vengono destinati invece a pagare le spese correnti e gli stipendi del personale già in servizio. “Ci state rubando il futuro” recitano tante manifestazioni giovanili: se talora è un’iperbole, qui va presa nel senso letterale.
Che il taglio sia intervenuto a fine 2024 sul Fondo del 2024 è deplorevole (a ottobre non si può più raddrizzare il bilancio di un anno quasi concluso, varato di norma a dicembre del ‘23), ma non è una novità: in anni passati vi sono stati ritardi ancor peggiori. Tuttavia, se allora si trattava spesso di limature o di bonus, qui assistiamo a un intervento che – a regime, in assenza di correttivi, e in combinazione con il ddl di riforma del pre-ruolo che introduce nuove forme di precariato – falcidierà il turnover dei docenti e degli amministrativi (dai bibliotecari ai segretari, sempre più indispensabili nella giungla burocratica), e poi i contratti di ricerca, i corsi di laurea, il numero e l’ammontare delle borse di dottorato, gli interventi locali per il diritto allo studio, la capacità di attrarre progetti competitivi, le iniziative di disseminazione pubblica, la stessa prospettiva di carriera dei ricercatori più capaci. Chi può, ha già fatto le valigie. La droga del PNRR, che ha consentito molte assunzioni di ricercatori a tempo determinato, lascerà il posto a una desertificazione e sclerotizzazione del panorama: pazienza se si era pensato alla possibilità di creare nuovi corsi o poli di ricerca, magari anche investendo su strumentazioni o immobili.
I mega-Atenei (specie quelli con molti studenti di area medica e scientifica, che valgono 3 volte gli altri) avranno una capacità di resilienza maggiore rispetto a quelli medi e piccoli: ma il rischio, come denunciato a ottobre da 39 Società scientifiche nazionali, è sistemico. Non è chiaro se gli ulteriori tagli alla ricerca previsti nell’imminente Legge di Stabilità confermeranno o aggraveranno questo desolante scenario (“questi sono convinti che l’università abbia avuto troppo negli ultimi anni e vada ridimensionata”, confida un annoso conoscitore del MUR). Si ventilano contrordini sulla destinazione di fondi PNRR al cofinanziamento di nuova residenzialità studentesca – una notizia ferale per i futuri studenti, a disagio in città sempre più care.
Tutti sanno che ciò accade in uno dei Paesi agli ultimi posti in Europa per investimento in ricerca e per numero di laureati. L’aspetto più grottesco sta nel fatto che quotidianamente chi lavora nel sistema è chiamato a produrre una serie infinita di documenti di “monitoraggio”, “riesame”, “autovalutazione”, che dovrebbero servire ad “assicurare la qualità” in cambio di pochi spiccioli di premio per i virtuosi. Poi arriva un taglio fine-di-mondo come questo, che prescinde da ogni valutazione e svuota tutto di senso, e di prospettiva.
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