Quasi il 60% delle famiglie sostiene che il proprio reddito sia inadeguato rispetto alle necessità primarie. È quanto emerge dall’Osservatorio sguardi familiari di Nomisma.
Secondo il rapporto infatti quasi sei famiglie italiane su dieci ritengono che il proprio reddito sia insufficiente rispetto alle necessità primarie. E a fronte di questa realtà anche il welfare in Italia è in caduta libera per essere sostituito da un welfare fai da te in cui il 58% trova sostegno nella rete familiare e solo il 29% nei servizi pubblici.
Inoltre, 1 famiglia su 6 ha responsabilità di cura verso familiari non autosufficienti mentre solo 1 famiglia su 10 non riuscirebbe ad affrontare la nascita di un figlio. Al contempo cresce il disagio psicologico giovanile.
“La congiuntura economica è favorevole e il tasso di occupazione è positivo, ma questo non sembra più sufficiente per garantire il benessere di tutti. Facciamo attenzione alle nuove solitudini perché c’è molta fragilità. Pertanto, le imprese sono chiamate a fare di più per i bisogni di chi lavora” – è la sintesi, dati alla mano, di Marco Marcatili, Direttore Sviluppo di Nomisma e Responsabile dell’Osservatorio Sguardi Familiari, aggiornato con le nuove rilevazioni 2024.
Malgrado l’occupazione, compresa quella femminile, sia cresciuta fino ad attestarsi al 62,5%, ampliando la platea di lavoratrici e lavoratori e contribuendo a ridurre quella dei disoccupati, ben oltre la metà delle famiglie italiane (59%) considera inadeguato il proprio reddito.
Nello specifico, lo studio di Nomisma rileva che a un 15% di famiglie che giudicano il proprio reddito insufficiente per far fronte alle necessità primarie, si somma un altro 44% di famiglie che valuta le proprie entrate appena sufficienti per arrivare a fine mese. Tra queste, a denunciare la sproporzione tra redditi e costo della vita è il 62%, a cui si aggiungono le famiglie (1 su 5) che accusano spese per la casa particolarmente elevate.
Questa quota copre oltre l’80% delle famiglie in difficoltà (percentuale in crescita di 3 punti rispetto alla scorsa rilevazione). Al contempo, diminuiscono dal 10% all’8% le famiglie che denunciano difficoltà lavorative come elemento determinante della condizione di insufficienza del reddito.
Secondo Nomisma, sebbene siano stati recuperati 10 punti percentuali rispetto al momento del picco dell’inflazione, a cavallo tra 2022 e 2023, ancora oggi ad apparire decisamente squilibrato è il rapporto tra costo della vita e redditi da lavoro.
L’Italia paga la mancata crescita delle retribuzioni, che tra il 2013 e il 2023 sono cresciute la metà rispetto alla media europea (16% contro il 30,8%), mentre il potere d’acquisto risulta addirittura calato (-4,5%) con la recente ondata inflattiva.
“Il rinnovo dei contratti collettivi e gli adeguamenti Ipca non colmano, se non parzialmente, la misura di quanto perso in termini di potere d’acquisto con l’inflazione, che ha determinato una vera e propria erosione dei risparmi, a danno di molte famiglie. L’aumento del ricorso alla cassa integrazione (+23% nei primi nove mesi 2024) sulla carta lascia invariata l’occupazione, ma incide negativamente sui redditi e sulle aspettative verso il futuro” – spiega Marcatili. “Non a caso, malgrado gli indicatori positivi del mercato del lavoro, ben il 42% delle famiglie ritiene che la propria condizione economica sia peggiorata negli ultimi 12 mesi (nettamente peggiorata per l’11%), mentre solo l’8% ritiene sia migliorata”.
L’85% delle famiglie ha tagliato le spese per il tempo libero, il 72% ha ridotto i consumi culturali, il 67% le attività sportive e ben 1 famiglia su 2 ha dovuto ridurre le spese sanitarie, il 28% ha tagliato sulle spese per l’istruzione.
Al contempo,1 famiglia su 10 dichiara che non potrebbe far fronte economicamente alla nascita di un figlio e 1 famiglia su 6 non riuscirebbe ad affrontare la perdita di autonomia di un proprio componente, tanto che il 60% degli intervistati ritiene che alla base del calo nelle nascite ci siano questioni di natura economica.
Quanto emerge dall’Osservatorio Sguardi Familiari dimostra come non siano solo i consumi considerati voluttuari a venire tagliati. Quando si arriva a comprimere le spese per la propria salute o per l’istruzione dei figli, quando la sostenibilità finanziaria della quotidianità è così fragile da essere compromessa da una nascita, risulta evidente la situazione di vulnerabilità, denunciata soprattutto da alcune categorie familiari.
Il rapporto di Nomisma indica che le rinunce più gravose risultano doverle farle le cosiddette famiglie sandwich, strette tra la cura dei figli piccoli e dei genitori anziani. Ben il 70% delle famiglie che tagliano sulle spese sanitarie sono famiglie sandwich, seguite poi, con ampie sovrapposizioni, dai genitori soli con figli (60%) e dalle famiglie che vivono nel Meridione (60%), ad indicare ambiti sociali caratterizzati da elevata fragilità.
“La questione è sistemica perché i bisogni delle famiglie, tradizionalmente legati al welfare pubblico, non trovano risposta adeguata se non dentro la famiglia stessa. Nello scenario attuale, assistiamo ad un welfare sempre più fai da te, tanto che il 58% degli intervistati dichiara di trovare il principale supporto nella rete familiare, mentre solo il 29% dichiara di ricevere supporto dai servizi sociali pubblici messi a disposizione dal territorio” – chiarisce Marcatili.
Le imprese poi non aiutano di certo le famiglie ad affrontare le difficoltà. Complessivamente solo il 12% degli intervistati dichiara di trovare un supporto sostanziale in azienda. Viene poi evidenziata la questione relativa alle nuove solitudini: le tipologie di nuclei familiari più esposti a debolezza e bisogni sono quelli composti da una sola persona.
Lo studio condotto da Nomisma riscontra, in ogni fascia di età, l’aggravarsi delle condizioni e un peggioramento delle prospettive future per le persone sole.
I giovani soli (under 45) sono particolarmente esposti all’instabilità occupazionale e vulnerabili quando non possono ricorrere alla protezione della rete familiare (oltre il 31% degli intervistati non riuscirebbe a sopportare l’impatto economico della perdita del lavoro di un componente della propria famiglia, contro una media del 14%).
Gli adulti soli (45-69 anni) hanno meno supporto familiare e in questo segmento di popolazione aumentano i casi di vissuti difficoltosi (divorzi, separazioni) che spesso si traducono in forme di fragilità, anche economica (quasi doppia la quota di adulti soli che percepiscono come insufficiente il proprio reddito rispetto alla media).
Gli anziani soli (over 70) sono più solidi economicamente (la quota di chi dichiara insufficiente il proprio reddito è inferiore del 50% alla media), ma pesa l’esposizione al cronicizzarsi delle patologie e la forte dipendenza dalla rete familiare (66%).
Soffrono pesantemente i genitori soli con figli a carico, che necessitano in primis di supporto economico, anche e soprattutto in forma di assegnazione di alloggi pubblici e offerta di servizi sociali dedicati. In un quadro complessivo di aumento del disagio psicologico, la quota di genitori soli con figli che manifestano forme di disagio si attesta al 19%, contro una media del 7%, a indicare una condizione particolare di fragilità.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento