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15/12/2024

Germania in crisi di fiducia

Il pilastro più credibile della “stabilità europea” è da decenni la Germania. Una situazione sociale interna faticosamente tenuta sotto controllo tramite una riduzione dei salari e del welfare molto minore di quanto preteso dai partner europei, un basso debito pubblico che ha consentito per anni di rifinanziarlo a costo praticamente zero, una lunga consuetudine di buoni rapporti con la Russia (fornitrice di gas e altre materie prime a basso costo) e con la Cina (uno dei principali mercati di sbocco per la propria produzione industriale).

Crisi economica e guerra, “di comune accordo”, hanno demolito questo assetto, destabilizzando il consenso sociale. Gruppi industriali multinazionali (Volkswagen, Bmw, Mercedes, ThyssenKrupp, Siemens, ecc.), per la prima volta in 70 anni, stanno chiudendo stabilimenti in patria e pianificano decine di migliaia di licenziamenti.

La guerra alle porte ha spinto l'aumento della spesa militare, mentre quasi un milione di ucraini si è rovesciato sul paese, stressando una struttura di accoglienza già logorata da altre ondate di immigrazione d’emergenza (un milione di siriani, negli ultimi dieci anni) e dal crescere di un razzismo mai completamente domato.

Inevitabile dunque che la coalizione “semaforo” (socialdemocratici, verdi e liberali) finisse stritolata e divisa tra “austeri economici” (i liberali), guerrafondai idioti (i verdi) e “prudenti” che vivevano alla giornata (Scholz e l’Spd).

Le elezioni nei land dell’est hanno certificato l’esplosione delle forze considerate “anti-sistema”, come i nazisti dell’AfD (in versione “no war”) e la sinistra radicale di Sarah Wagenknecht (ma con pessime posizioni sugli immigrati). E il rafforzarsi del conservatorismo guerrafondaio dei democristiani guidati da Merz.

Un quadro parecchio confuso che non lasciava intravedere soluzioni “stabili” quanto a programma e identità. Quindi l’unica strada praticabile sono diventate le elezioni anticipate (una rarità nella tradizione politica tedesca). Le quali, però, devono arrivare costituzionalmente dopo un percorso piuttosto lungo, costruito per evitare tracolli rapidi in stile Repubblica di Weimar.

Quindi domani ci sarà il primo passaggio formale: il voto di fiducia chiesto dal cancelliere Scholz al Reichstag. E qui comincia la serie dei paradossi.

Scholz, infatti, non vuole avere la maggioranza per poter fissare le elezioni politiche al 23 febbraio. L’AfD – che stando ai sondaggi dovrebbe diventare il secondo partito dietro la Cdu di Merz – potrebbe invece votare a favore, perché ritiene che Merz porterebbe la Germania ad un coinvolgimento molto più diretto nel “sostegno” a Kiev, con rischi di guerra molto più alti. Ma neanche i neonazisti vanno tutti d’accordo, e una parte potrebbe comunque votare contro.

I Verdi, guerrafondai da sbarco, si sono avvicinati alla Cdu, puntando a creare una nuova coalizione. Dunque potrebbero astenersi dal dare la fiducia al governo di cui fanno parte per “compensare” l’indesiderato voto a favore dei nazisti. Ma neanche i democristiani vanno d’accordo tra loro: Merz ha lasciato intendere che con i Verdi si potrebbe anche fare, ma la Csu bavarese (il partito “gemello” del sud) lo esclude assolutamente. Dunque potrebbe astenersi o votare la fiducia per aver più tempo per risolvere le contraddizioni interne.

In teoria, dunque, il governo potrebbe addirittura restare in piedi, ma senza più alcun potere reale “grazie” alla necessità di contrattare continuamente ogni scelta con maggioranze variabili. Un po’ come cercherà di fare Bayrou in Francia, insomma...

Un caos molto “italiano”, come si vede, che probabilmente non verrebbe risolto neanche dal voto di febbraio. E che lascia “l’Europa” senza più baricentro, in balia dei suprematisti “atlantici” dell’est europeo (preoccupa il ruolo di “ministro degli esteri” assegnato da von der Leyen all’estone Kaja Kallas, discendente di un comandante “antisovietico” negli anni ’20) e delle turbolenze promesse da un Trump più nettamente “America first”.

Buon anno!

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