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14/12/2024

L’impero colpisce ancora... e sogna di nuovo l’Africa

I militari hanno molti difetti, notoriamente, ma anche qualche virtù. La più evidente è quella di dire apertamente ciò che un “politico” usa nascondere sotto una coltre di chiacchiere che dovrebbero far capire il contrario.

Se un politico parla di “rafforzare il processo di pace” quasi sempre – in ambito occidentale, almeno – il militare traduce in “prepariamoci alla guerra”.

È il caso del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Carmine Masiello, che a Repubblica spiega cosa sta cambiando dentro i comandi militari della Nato.

«Oggi bisogna prepararsi all’ipotesi peggiore. È un ritorno al passato, perché quando mi sono arruolato eravamo formati alla prospettiva di un conflitto totale. Oggi però ci vogliono militari diversi: le guerre attuali mettono in discussione lo stereotipo del militare come figura improntata alla rigidità».

L’“ipotesi peggiore” è naturalmente l’ingresso in una guerra vera e propria, di portata inevitabilmente mondiale; cosa ben diversa dalle “missioni” degli ultimi 30 anni, svolte come parte molto minoritaria e subordinata di contingenti principalmente statunitensi, impegnati in conflitti locali “asimmetrici”; ossia contro paesi che non disponevano degli stessi armamenti (soprattutto missili e aerei tecnologicamente avanzati), né di adeguate difese contraeree.

Quanto alla “minore rigidità”, non si tratta certo di un alleggerimento della disciplina gerarchica, quanto di «una capacità di adattamento […] Il cambio degli scenari mondiali impone di essere pronti all’ipotesi peggiore: avere la capacità di fronteggiare situazioni nuove e quindi pensare fuori dagli schemi. Ad esempio in addestramento bisogna imparare a sbagliare: gli errori sono costruttivi».

La “flessibilità” maggiore riguarda tutte le tattiche di combattimento messe alla prova sia a Gaza che nella guerra in Ucraina. Che spingono per la richiesta di «dronizzazione della forza armata. Ne serviranno tanti: vanno distribuiti fino alle unità più piccole e devono entrare nel modo di pensare anche al livello tattico».

Fin qui tutto nella norma, diciamo. Le forme della guerra cambiano, servono i droni di ogni dimensione (quelli grandi per i bombardamenti, quelli piccoli per le “ricognizioni” e i pattugliamenti, o per qualche killeraggio), ovvio che un generale si preoccupi di essere adeguato.

La novità – o la “confessione” – sta in un altro brevissimo accenno che il generale regala a Repubblica: «lo sforzo più significativo che stiamo facendo è pensare a quali saranno le sfide dei prossimi 15-20 anni. Lavoriamo su due binari: reazione e proattività – spiega – Reagire all’Ucraina e prepararsi all’Africa. Penso che sarà un problema grosso. La sfera del nostro interesse nazionale, il cosiddetto Mediterraneo allargato, si spinge fino al Sahel».

Finalmente qualcuno che spiega in parole semplici cosa bisogna intendere per la nuova dimensione dell'“interesse nazionale”, detto anche “Mediterraneo allargato”… E’ l’Africa, le sue ricchezze minerarie strategiche (in primo luogo l’uranio del Sahel, ma anche oro, petrolio, gas, fosfati, ecc.).

Un ingenuo potrebbe obiettare: “ma lì ci sono stati sovrani, si potrebbe tranquillamente commerciare con loro; in fondo hanno bisogno di moltissime cose che noi europei produciamo in quantità anche eccessiva...”.

Certo, “si potrebbe”. Ma noi europei, da quelle parti, abbiamo una pessima fama. Quella di ladri di risorse, stragisti, finanziatori di dittatori... Colonialisti e suprematisti, insomma. Che nonostante la “decolonializzazione” nella seconda metà del ‘900 hanno sempre brigato e sparato per mantenere o recuperare una relazione di tipo coloniale. Tipo quella della Francia, ora buttata fuori da quasi tutti quei paesi.

Ed è quindi proprio questo l’obiettivo che il generale, distrattamente, confessa. Se vogliamo tornare lì dobbiamo tornarci come “esercito europeo”, ben attrezzato. Perché, oltretutto, da quelle parti sono meglio visti russi e cinesi, che offrono aiuti militari o infrastrutture a prezzi di favore, senza neanche pretendere di portarsi via l’uranio a prezzi stracciati.

Il “Mediterraneo allargato” diventa insomma una specie di “grande Israele” o di “spazio vitale” hitleriano, senza confini precisi e legalmente certi. Quello che “conquisteremo” sarà “nostro”, e i confini verranno stabiliti dai carri armati, fin dove non saranno costretti a fermarsi.

Semplice, no?

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