Spiegare la crisi francese è facile, se non si parte dall’ars combinatoria politichese che appassiona tanto i nostri commentatori professionali. Mai come in questo caso, infatti, le mille combinazioni possibili che possono portare – oppure no – alla formazione di un governo a Parigi sono solo l’aspetto “tattico” del problema che ha segato le gambe alla macronie: realizzare anche in Francia quelle “riforme” che hanno distrutto la vita sociale in Grecia, in Italia e – con meno potenza, almeno per ora – in tutti i paesi europei.
Contro questa spinta neoliberista, che punta esplicitamente a concentrare tutte le risorse e tutta la ricchezza nelle mani di pochissimi supermen titolari delle grandi concentrazioni private, lavoratori e studenti e popolo francesi hanno lottato per anni. Ricevendo cariche di polizia e flashball sparate in faccia (un numero imprecisato ma altissimo di manifestanti ha perso un occhio...), arresti e processi.
Una resistenza fortissima fin dai tempi dei gilet jaunes, innescata dagli aumenti dei prezzo dei carburanti, politicamente capitalizzata dalla sinistra non servile, nettamente ostile all’“austerità europea” (La France Insoumise di Jean-Luc Mélénchon) e dall’estrema destra neofascista sedicente “euroscettica”, ma pronta a farsi “concava e convessa”.
Una resistenza cresciuta nelle mobilitazioni sindacali (la Cgt sembra una forza rivoluzionaria, se uno è abituato alla Cgil) contro atti di forza reazionari e violenti, che è però riuscita fin qui solo a “limitare i danni” per quanto riguarda l’età pensionabile (arrivata comunque a 64 anni, ma con 43 anni di contributi), i tagli alla sanità, all’istruzione, all’edilizia residenziale pubblica.
Vincere questa resistenza, completare l’opera tagliando rapidamente quel che resta dello “stato sociale” francese, sotto la mannaia di un debito pubblico arrivato a “livelli italiani” (120%, all’incirca), è l’obiettivo dichiarato di Macron. Ovvero del capitale di livello multinazionale che ha ancora basi in Francia.
Solo da questo punto di vista la spiegazione della crisi è facile. Da quando è stato rieletto presidente – aprile 2022, grazie al solito “accordo repubblicano” secondo cui si vota anche una sedia vuota pur di “non far vincere la destra”, ossia Marine Le Pen – Macron cerca di formare un governo stabile che realizzi questo programma.
Ma più si approfondisce la crisi economica – non solo francese, come sappiamo – più questo compito diventa difficile. Tagliare la spesa pubblica mentre “il privato” dirotta i propri profitti verso la speculazione finanziaria, chiude le fabbriche (Stellantis ha dentro Citroen, Peugeot e la Republique come azionista di minoranza) significa gettare consapevolmente milioni di persone, comprese quelle che un lavoro ce l’hanno, in mezzo ad una strada (metaforicamente, ma anche fisicamente).
Quel che è peggio: la popolazione, in Francia, lo ha capito benissimo.
Trovare un killer sociale, un Noske, che realizzi il programma è insomma meno facile di quanto non sia stato in Italia. Ci aveva provato con Barnier, ex “commissario europeo” che aveva gestito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Un tecnocrate d’altissimo livello, un Monti o un Draghi transalpino.
Bruciato in soli tre mesi, a riprova della gravità della crisi e dello stallo della politica.
Bruciato da una disinvoltura politica criminale – i tecnocrati alla Macron e Barnier sanno sfruttare scientificamente i mille arzigogoli della democrazia parlamentare, ma disprezzano senza se e senza ma il concetto e la pratica della democrazia – che l’aveva portato a imbarcare Marine Le Pen nella maggioranza, ma con “l’appoggio esterno”, concordando con la destra fascista ogni passaggio impopolare.
La “legge di stabilità”, però, presentata per l’approvazione da votare entro Capodanno, è stata eccessiva persino per lei. O meglio, vi ha visto la possibilità di sganciare il proprio nome da un percorso “troppo” antipopolare, che avrebbe compromesso la credibilità di ogni futura promessa elettorale.
Così è bastato che il Rassemblement National votasse la mozione di sfiducia presentata dal “Nuovo Fronte Popolare” – l’alleanza di tutti i partiti della sinistra, dai socialisti a Mélénchon – per decretare la fine dell’euroburocrate e l’ennesima figuraccia di Macron.
Qui si vede con chiarezza che la sua intolleranza per la camicia di forza “democatica”, il disprezzo per la volontà popolare e persino per il Parlamento: “vado avanti, nominerò un altro primo ministro”. Per realizzare il suo programma, che quasi nessuno è disposto a votare. Proverà a separare i “socialisti” da La France Insoumise, a imbarcare qualche fascista assetato di potere subito, i gollisti che non contano più nulla. Una piccola armata brancaleone alla crociata dell’austerità...
I “cugini” dell’italico PD – appunto i “socialisti” di Hollande e del guerrafondaio Glucksmann – hanno immediatamente accettato di “parlarne”, chiarendo da che parte stanno sul piano sociale e candidandosi così a una seconda rapidissima scomparsa dalla scena parlamentare (alle prossime elezioni).
Macron, stavolta più chiaramente di altre volte, ha deciso di sfidare la legge non scritta che regola qualsiasi regime politico: non si governa contro il popolo. Puoi cercare di blandirlo, di raggirarlo, di indicargli falsi nemici interni od esterni, ma non puoi togliergli tutto senza dargli mai nulla. Non puoi sputargli in faccia tutti i giorni. Non puoi rifiutarti di riconoscere il risultato delle elezioni (alle politiche di luglio aveva vinto la sinistra unita, pur senza raggiungere la maggioranza assoluta).
Oltretutto la prossima “testa di turco” vestita da primo ministro dovrà governare in regime di “esercizio provvisorio”, senza una legge di bilancio ufficialmente approvata. Dunque con vincoli ancora più stretti, senza grandi margini di elasticità sui conti.
Una dichiarazione di guerra al popolo francese, che neanche Luigi XIV, in fondo, aveva osato pronunciare.
Ma l’ex managing director presso la banca d’affari Rothschild, nonché ex ministro dell’economia nel governo “socialista” di Valls, è con le spalle al muro. O si dimette (la Costituzione della V Repubblica non prevede l’impeachment del Presidente neanche per ragioni penali, do you remember Chirac?), o abbatte i residui formali della democrazia.
Visti gli interessi “esclusivi” che rappresenta, è perfettamente logico e prevedibile che andrà avanti fino a quando non verrà destituito. Proprio come il suo “collega” di Seoul.
Una situazione “coreana” in piena Europa. Ci manca solo la legge marziale. Ma probabilmente, anche a quella – se per caso i “socialisti” dovessero fermarsi – ci sta pensando...
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