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04/12/2024

Siria - Un campo di battaglia sempre più affollato

di Michele Giorgio

Il campo di battaglia in Siria si fa sempre più affollato ad una settimana dall’attacco a sorpresa lanciato dai jihadisti filoturchi di Hay’at Tahrir al Sham (Hts) alla città di Aleppo.

L’esercito siriano pare aver recuperato in parte la sua coesione, ma mentre cerca di opporsi, con l’appoggio dell’aviazione russa, all’avanzata di Hts e dei suoi alleati verso Hama, nella Siria centrale, i suoi reparti nella provincia orientale di Deir Ezzor, non lontano dalla frontiera con l’Iraq, si sono ritrovati sotto il fuoco delle Sdf curde.

Contemporaneamente cacciabombardieri non identificati – statunitensi o israeliani, non ci sono dubbi – hanno preso di mira le milizie irachene sostenute dall’Iran che entrano in Siria, allo scopo di impedire rinforzi di uomini, armi e mezzi vitali per l’esercito siriano. Ieri, ad esempio, combattenti sciiti giunti dall’Iraq hanno fermato l’avanzata di Hts, lungo la strada che collega Aleppo a Khanaser.

In questo quadro il movimento sciita libanese Hezbollah ha dovuto ritirare i suoi combattenti dalla Siria e riportarli in Libano del sud mentre la tregua con Tel Aviv raggiunta nei giorni scorsi resta precaria. Israele, infatti, è tornato a colpire in Libano e ieri ha anche ucciso sulla strada per l’aeroporto di Damasco un ufficiale di Hezbollah, Salman Jamaa, che teneva i collegamenti con le forze armate siriane.

Gli scontri nella Siria orientale sono avvenuti intorno a un gruppo di sette villaggi – al Salhiya, Tabia, Hatla, Khesham, Marrat, Mazloum e Husseiniya – oltre il fiume Eufrate.

Il Consiglio militare di Deir Ezzor, formato da arabi e divenuto un alleato delle Sdf curde dopo mesi di scontri con i curdi, ha attaccato le posizioni dell’esercito siriano affermando di voler riportare a casa le famiglie costrette a fuggire dai villaggi quando sono stati ripresi dell’esercito siriano. Le Sdf hanno aggiunto che è loro compito proteggere quei villaggi perché sono esposti alle scorribande di cellule dell’Isis (ancora operative in quella zona) che i comandi militari siriani non contrasterebbero.

La mossa curda a Deir Ezzor ha sorpreso non pochi. Sebbene le relazioni tra Damasco e i miliziani curdi siano fredde e tese – le autorità centrali siriane li considerano dei separatisti al servizio degli Usa – il problema principale dell’autoproclamata Autonomia curda nel nord della Siria era e resta Ankara decisa a stroncare ovunque ogni ambizione del popolo curdo. Da quando Donald Trump, fautore del disimpegno Usa da vari scenari di crisi, ha vinto le presidenziali Usa, il presidente turco Erdogan si è convinto di poter indebolire subito in Siria le Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) che considera il ramo siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) quindi «terroriste».

L’avanzata dei jihadisti di Hts ha già cacciato i combattenti curdi dalle aree che controllavano ad Aleppo e nei dintorni, tra cui il distretto di Sheikh Maqsoud e un corridoio attorno a Tel Refaat a nord.

Una ritirata accompagnata da migliaia di sfollati curdi costretti a lasciare le loro case sotto i colpi dell’offensiva dei jihadisti e a rifugiarsi a Raqqa percorrendo l’unico corridoio a sud-est lasciato aperto per i civili in fuga verso la regione di Tabqa.

Contemporaneamente il sedicente Esercito nazionale siriano composto da vari gruppi armati islamici – finanziati, addestrati e armati dopo il 2011 prima dagli Usa e poi dalla Turchia – preme sulle regioni curde per ridurre l’influenza e il controllo territoriale delle Sdf.

Ieri Vladimir Putin, stretto alleato di Damasco, ha avuto un colloquio telefonico burrascoso con Erdogan, al quale ha detto di «fermare rapidamente l’aggressione terroristica contro lo Stato siriano da parte di gruppi radicali». Ha aggiunto che la soluzione in Siria va trovata nel modello di negoziato a tre (Iran, Turchia e Russia) che si è tenuto qualche anno fa ad Astana.

È difficile però che Erdogan si lasci sfuggire l’occasione di ridimensionare e costringere il presidente siriano Bashar Assad a fare concessioni nel nord e a combattere l’autonomia curda. A conferma delle sue mire ieri ha affermato, con tono minaccioso, che il governo di Damasco deve impegnarsi in un «genuino processo politico per impedire che la situazione peggiori».

Un altro disegno in svolgimento è quello degli Usa, a vantaggio anche di Israele. Washington spera che l’avanzata jihadista costringa Assad a prendere le distanze dall’Iran e a bloccare, come intima Israele, i rifornimenti di armi per Hezbollah.

Il leader siriano, fanno capire i media locali, è intenzionato a resistere alle pressioni; tuttavia, potrebbe essere obbligato a trattare se i jihadisti prenderanno la città di Homs, lo snodo geografico strategico della Siria. Teheran, allarmata dagli sviluppi dietro le quinte e dalla piega che stanno prendendo le battaglie militari, fa sapere di non escludere l’invio di sue forze regolari a sostegno dell’alleata Siria. Allo stesso tempo appare riluttante a farsi coinvolgere direttamente in un nuovo conflitto che Israele potrebbe usare come pretesto per una ulteriore escalation nella regione.

Intanto ad Aleppo, la seconda città della Siria catturata la settimana scorsa da Hts, peggiorano le condizioni di vita degli abitanti che non sono fuggiti. Le immagini che giungono dalla città mostrano lunghe e caotiche code per il pane. Anche le scorte di carburante sono limitate.

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