Un uomo è stato arrestato per aver presumibilmente ucciso, il 4 dicembre a New York, l’amministratore delegato della multinazionale statunitense UnitedHealthcare, Brian Thompson. Il sospettato, Luigi Mangione, è stato arrestato il 9 dicembre in Pennsylvania e la polizia ritiene che si sia trattato di un omicidio premeditato.
Al momento dell’arresto, Mangione aveva con sé un “manifesto” in cui si dice che abbia condannato l’impresa assicurativa sanitaria per aver ricavato i suoi enormi profitti speculando in vario modo sulle malattie dei pazienti. Nel “manifesto” si afferma a chiare lettere che «questi parassiti se l’erano cercata».
Sono molte le persone che, negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo, hanno espresso comprensione per la rabbia di Luigi Mangione nei confronti di questa multinazionale della sanità privata. Mangione, ingegnere di chiara origine italiana, sembra provenire da un ambiente privilegiato e ha espresso la sua rabbia in modo micidiale, riscuotendo però una viva simpatia, e perfino un’attiva solidarietà, da parte di milioni di lavoratori che soffrono quotidianamente per le azioni tanto vampiresche quanto vili di questa impresa multinazionale operante nel settore delle assicurazioni sanitarie.
UnitedHealthcare, presente anche in Italia, e imprese simili create non per soddisfare le esigenze delle persone in materia di assistenza sanitaria, ma per generare profitti osceni a beneficio della classe dei miliardari, sono giustamente odiate da grandi masse di lavoratori e da altri strati oppressi negli Stati Uniti, paese – va ricordato – in cui non esiste un servizio sanitario pubblico.
Nel 2023, UnitedHealthcare ha ricavato infatti 22 miliardi di dollari di profitti estorti a pazienti, dottori e infermieri, e trasferiti nelle tasche dei miliardari. I maggiori azionisti di UnitedHealth sono il gigante della gestione patrimoniale Vanguard, che detiene una quota del 9%, seguito da BlackRock (8%) e Fidelity (5,2%).
Va detto che il tema dell’eroe che vendica un sopruso, là dove la giustizia antica, quella feudale o quella borghese si rivelano impotenti ad impedirlo o addirittura ne sono complici, risale almeno all’Odissea, rivive in Robin Hood e nel conte di Montecristo, e giunge fino a noi nella forma della “propaganda armata” praticata dalle Brigate Rosse.
Il merito di Mangione è pertanto quello di aver riconosciuto un problema reale e di averlo portato all’attenzione dell’opinione pubblica americana e mondiale, anche se il metodo individualistico e terroristico che sta alla base della sua azione non può essere condiviso.
Esso testimonia, peraltro, che una conseguenza sempre più importante della degenerazione oligarchica e plutocratica della “democrazia americana” è la guerra civile strisciante in corso, ormai da anni, nel paese guida dell’Occidente capitalistico (si rammenti l’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti avvenuto nel 2021).
La domanda, che anche l’attentato anarchico compiuto da Mangione sollecita, è allora la seguente: quale significato assume oggi la rivoluzione? Per rispondere a questa domanda conviene senz’altro richiamare le «Tesi di filosofia della storia» di Walter Benjamin, che è forse uno dei più grandi pensatori del Novecento.
Questo testo straordinariamente incisivo non è caratterizzato dalla condanna (scontata) del nazismo, ma dall’accusa, rivolta alla socialdemocrazia, di essere responsabile della rovina del proletariato, avendo distrutto la sua coscienza di classe e avendo tolto la volontà di combattere alla classe operaia.
Questo è un punto fondamentale, che va ribadito una volta per tutte sul piano storico, e la cui riaffermazione consente anche di rispondere, almeno in linea di principio, alla domanda sulle forme di lotta, precisando che la lotta di classe non esclude per nulla, come accade nelle posizioni controrivoluzionarie della socialdemocrazia, il rifiuto della violenza di massa, della lotta armata e del “terrorismo” (si pensi alle azioni dei GAP durante la Resistenza).
Un altro aspetto decisivo, affermato in modo giustamente provocatorio da Benjamin, consiste nel rilevare che il proletariato ha commesso un errore micidiale quando si è proposto di pensare alla felicità dei figli e dei nipoti, giacché il problema è, invece, la vendetta.
In altri termini, di fronte alla borghesia che non solo sfrutta il proletariato, ma nutre anche un’avversione profonda per esso e possiede una piena coscienza del proprio ruolo di classe dominante, è paradossale che la stragrande maggioranza dell’umanità sia rappresentata da proletari di fatto privi di coscienza di classe o, ancor peggio, da quei sottoproletari che sono definiti nel “Manifesto del partito comunista” come «infima putrescenza della società borghese».
Delle sofferenze patite dai padri e dagli avi, così come delle crescenti sofferenze patite dagli sfruttati odierni, occorre dunque ricordarsi, e assumersi la responsabilità di un’azione conseguente sul terreno politico, organizzativo, teorico e ideologico, senza confondere il contrasto tra poveri e ricchi con la vera scissione che divide oggettivamente la società in due grandi campi contrapposti: la scissione tra sfruttatori e sfruttati (laddove vale la pena di precisare, sgombrando il terreno dagli equivoci delle ideologie miserabilistiche, che si può essere sfruttatori ed essere poveri e si può essere sfruttati ed essere ricchi).
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