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12/12/2024

Chi di dazi colpisce... e paga Stellantis

Avevamo già scritto che la vicenda di Stellantis era in pratica una sorta di metafora della crisi di tutto il settore automotive occidentale. E sicuramente rappresenta un fallimento delle strategie in seno UE rispetto alla competizione sulle filiere strategiche delle auto.

La volontà di Bruxelles di porsi come esempio globale della transizione ai veicoli commerciali elettrici, dentro la cornice del Green Deal, sta facendo i conti con i produttori cinesi, che da tempo hanno investito nel settore e quindi sono tecnologicamente più avanti. A Bruxelles hanno tentato di risolvere il problema con gli strumenti – non proprio “avanzati” – della guerra commerciale.

Aprendo un lungo braccio di ferro con Pechino, sono stati introdotti i dazi sulle auto elettriche cinesi, secondo una logica per cui le centrali imperialiste possono fare quel che vogliono, e gli altri dovrebbero rimanere a guardare. Ovviamente, non è andata così con Pechino.

Il governo cinese non solo si è appellato all’Organizzazione Mondiale del Commercio e ha aperto indagini a sua volta su alcuni prodotti europei, ma ha anche deciso di orientare gli investimenti su linee politiche.

Infatti, i modi con cui i veicoli del Dragone potevano aggirare i dazi erano sia la via turca, sia la produzione direttamente in loco dei mezzi. Questo, alla fin fine, andava bene alla classe politica europea, perché significava ricevere investimenti (invece di doverli fare), avere un controllo maggiore sulla filiera e garantire l’occupazione “in patria”.

Ma con la testa imbevuta delle proprie frottole sulle “leggi ineluttabili del mercato”, non avevano pensato che la Cina potesse decidere autonomamente con quali paesi fare affari e con quali no. E così, dopo aver pazientemente portato avanti trattative che si sono rivelate senza sbocco, ora i governi che hanno votato per i dazi ne subiscono le conseguenze.

Stellantis è la prima a subirne gli effetti. A marzo era stato chiuso l’accordo tra il campione europeo e la Leapmotor perché quest’ultima diventasse la prima casa cinese a produrre direttamente entro i confini UE, nello stabilimento polacco di Tychy.

Stellantis aveva speso, a fine 2023, 1,5 miliardi per acquisire una partecipazione di circa il 20% in Leapmotor, e a Tychy aveva già cominciato l’assemblaggio dell’utilitaria elettrica T03 (una sorta di 500), e si stava preparando per la produzione del SUV elettrico B10.

Ora i piani sono stati bloccati da Pechino, che ha dato indicazione alle sue aziende di fermare gli investimenti in quei paesi che hanno votato a favore dei dazi. È una lista di nove paesi e tra di essi c’è anche la Polonia, e dunque il sito di Tychy.

“È stato frustrante vederli cambiare i piani per ragioni al di fuori del nostro controllo, dopo così tanto lavoro”, ha detto una fonte riportata su fDi Intelligence, una divisione specializzata sugli investimenti esteri del Financial Times.

In pratica, l’ammissione di aver scoperto che non si può aprire una guerra commerciale senza subire ripercussioni. Ma c’è di più, perché ovviamente quei soldi saranno dirottati verso paesi che, invece, hanno votato contro i dazi, in particolare Germania e Ungheria.

Per quanto riguarda quest’ultimo paese, non solo Budapest ha ricevuto circa la metà degli investimenti diretti cinesi nella UE, ma dentro la cornice della Belt and Road Initiative sta anche co-finanziando con Pechino la costruzione della ferrovia che dovrebbe collegare la capitale ungherese a Belgrado.

Questa nuova infrastruttura ad alta velocità, alla fine, dovrebbe unire il porto greco del Pireo, passando per Salonicco, con l’Europa centrale, accorciando i tempi di trasporto delle merci cinesi. L’Ungheria potrebbe diventare non solo un centro produttivo, ma anche un hub di distribuzione per la Cina (il Pireo era stato acquistato dal Dragone “grazie” alle privatizzazioni imposte di forza dalla Ue ai tempi del governo Tsipras).

A completare il quadro ci sono però anche altri nodi, sempre rispondenti alla competizione sulle filiere strategiche. Infatti, le auto elettriche hanno anche un’importante componente legata alla digitalizzazione e allo sviluppo delle tecnologie più avanzate sul fronte della guerra dei chip.

Semiconduttori e intelligenza artificiale hanno un ruolo fondamentale anche sul lato militare e, in generale, di quella che è definita “sicurezza nazionale”, che passa anche dal lato informatico. Questo avrà vasta importanza nei nuovi veicoli elettrici.

In un comunicato di luglio pubblicato dal Dipartimento di Stato statunitense si facevano presenti i “rischi per la sicurezza nazionale associati ai veicoli connessi”, come saranno appunto quelli elettrici, e hanno esplorato opzioni con nazioni “affini”.

Un altro segnale della frammentazione del mercato mondiale, secondo linee che rispondono all’esplosione delle contraddizioni del capitale occidentale. Lo scontro con la Cina è ormai conclamato, e si muove tra le geometrie variabili di nuove alleanze economiche (vedi i BRICS+) e faglie geopolitiche.

L’atteggiamento tenuto sui dazi europei è però evidentemente segnato da pragmatismo: “tengo aperte le relazioni economiche, ma solo con quelli che non mi fanno la guerra”. Una strategia che ha mandato in tilt la UE, che continua a mostrare sia mancanza di unità che il suo essere in balia dello scontro promosso da Washington.

La pochezza strategica è evidenziata anche dal fatto che ora la Commissione deve discutere anche di come togliere o alleggerire le multe (intorno ai 15 miliardi) che essa stessa aveva previsto per i produttori che non hanno raggiunto gli obiettivi di abbassamento delle emissioni medie del parco auto prodotto e venduto.

Fallimento dopo fallimento, ci stanno come sempre rimettendo soprattutto le classi popolari. Gli effetti si vedranno in maniera pesante, basti pensare all’esempio italiano: l’Istat ha certificato che la produzione di autoveicoli a settembre ha registrato un calo rispetto allo stesso mese dell’anno precedente di ben il 40,4%. E ancora non si sono fatti sentire gli effetti della crisi industriale tedesca, nei cui confronti il Nord Italia e da tempo “contoterzista” (esportiamo componenti poi assemblati in prodotti made in Germany)

La crisi avanza insomma a passo svelto nel Vecchio Continente. Se l’unica soluzione che i vertici UE troveranno sarà quella di implementare ulteriormente un’economia di guerra e, dunque, il keynesismo militare, l’avvitamento nella deriva bellicista sarà l’unico orizzonte residuo per l’Occidente collettivo. Dopo di che non resterebbe che aspettare il momento in cui quelle armi cominceranno a sparare...

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