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07/12/2024

I focolai della guerra imperialista contro la “giungla”

La terza guerra mondiale a pezzi continua ad allargare le sue macchie d’olio

Come in uno stereogramma – quell’immagine in cui distanziandosi dai segni particolari emerge la figura sullo sfondo – i punti sulla mappa in cui sono in corso conflitti più o meno guerreggiati, se visti da una prospettiva d’insieme, appaiono come focolai in cui il blocco euroatlantico sfida il variegato mondo della “giungla” guidato dall’asse sino-russo.

Seppur con diversi gradi di importanza, è possibile individuare tre grandi faglie su cui l’“Occidente collettivo” opera in tal senso.

L’Europa orientale

Per ordine di “temperatura”, l’Ucraina è senza dubbio il fronte più avanzato del tentativo di destabilizzare la Federazione russa. Dopo il golpe di EuroMaidan del 2014 e l’allontanamento dal G8, la Russia ha abbandonato le illusioni di integrazione tra le potenze occidentali e ha cominciato suo malgrado a lavorare per un’alternativa al mondo unipolare, guidato dagli Stai Uniti e disciplinato dalla Nato.

L'operazione militare in Ucraina del 2022 si innesta in questa strategia di risposta alle provocazioni dell’alleanza atlantica, i cui missili erano ormai prossimi ad esser posizionati a pochi chilometri da Mosca.

Ma la sempre più probabile sconfitta militare NATO, consumata sulla pelle della popolazione ucraina, spinge ora l’Occidente a diversificare la propria strategia. È in questo quadro crediamo che vadano letti i recenti sviluppi in Moldavia, Romania e Georgia.

In Moldavia, il referendum per costituzionalizzare l’entrata nell’Unione Europea è stato caratterizzato da pesanti brogli che hanno permesso all’opzione euroatlantica di imporre per un soffio il “Sì” referendario e tenere così agganciato il Paese al “giardino” dell’Occidente.

In Romania, nel primo turno delle elezioni presidenziali ha prevalso un candidato indipendente, improvvisamente tramutato dai media in “nazista filorusso” (non senza alcune ragioni), contro i “liberali e i socialdemocratici europeisti”, che adesso temono di perdere il controllo su un territorio tra i più presidiati dai contingenti Nato presenti nel Vecchio Continente.

In Georgia, la vittoria alle recenti elezioni dell’opzione contraria a Ue e Nato sta scatenando da una settimana forti proteste sotto il Parlamento, aizzate dalla canea politico-mediatico che denuncia brogli e incita alla protesta in pieno stile EuroMaidan, compresa la presenza di ultras di estrema destra “ben organizzati” in piazza.

D’altra parte, le nomine per il “Von der Leyen 2” in Commissione europea hanno confermato l’approccio oltranzista sposato dai vertici di Bruxelles, che hanno scelto un lituano alla Difesa e un’estone agli Esteri, ossia due rappresentanti di quegli stati baltici (la Lettonia ha ottenuto l’Economia, ndr) tra i più avversi all’ipotesi negoziale con la Russia.

Il Medio Oriente

Parallelamente, la situazione è a dir poco calda in Medio Oriente. Israele si conferma ogni giorno di più un pericolo per il mondo intero, dichiarando guerra aperta su sette fronti nella regione, proteggendo gli interessi imperialistici degli Stati Uniti e perpetrando il genocidio dei palestinesi a Gaza.

Ma la mazzata forse definitiva alla già fragile stabilità della regione è arrivata con il riaccendersi della guerra civile in Siria. Qui, in una situazione molto intricata, la jihad integralista filoturca (Hts, costola di Al Qaeda), sostenuta da cacciabombardieri statunitensi e israeliani, sta mettendo all’angolo Bashar Assad. Perse Aleppo e Hama, al regime rimane la sola Homs per difendere sia la capitale Damasco, sia la catena di approvvigionamenti iraniani inviati alla resistenza palestinese e libanese.

Nel mezzo si trovano le milizie curde ostili a Erdogan, Assad e alla jihad, sostenute dagli Stati Uniti e che purtroppo, ancora una volta, si ritrovano con la ragione nelle mani ma i piedi dalla parte sbagliata della storia.

L’importanza politica della Siria deriva dall’essere l’alleato più stretto di Teheran (ambedue i Paesi sono a guida sciita) e la protetta di Mosca nell’area, che dalla sua difesa nel 2015 ne ricavò l’accesso diretto al Mediterraneo tramite il porto di Tartus, sede di una base navale della marina militare russa.

È in questa prospettiva che si comprende il perché del supporto, confermato da più fonti, dell’intelligence ucraina ai jihadisti di Hts per attaccare le basi russe nell’area e l’interesse israeliano alle operazioni in funzione anti-Iran.

Teheran sembra infatti il vero bersaglio dell’operazione, incarnando quel nemico che, stando ai fatti, pone la Turchia e Israele (nonché altri protagonisti del mondo arabo-sunnita) dallo stesso lato della contesa. Purtroppo, a tutte spese della resistenza palestinese.

Il fronte del Pacifico

Passando dalla terra al mare, o dalla Russia alla Cina, anche nell’Oceano Pacifico il blocco euroatlantico effettua operazioni per cercare di contenere l’ascesa della Cina nello scacchiere globale.

I disordini di Hong Kong, la militarizzazione delle Filippine, il presidio di Taiwan e da ultimo le notizie che giungono dalla Corea della Sud sulla decretazione e poi l’immediato ritiro della Legge Marziale “contro i comunisti del nord”, sono i sintomi di una pentola a pressione che probabilmente solo la lungimiranza della postura cinese riesce a tenere a bada.

Unione Europea vaso di coccio

Senza dimenticare il resto del Sud globale, come l’America Latina e l’Africa Subsahariana, nello scacchiere qui delineato l’Unione Europa si rivela ancora una volta un soggetto inadeguato a giocare un ruolo tra le forze imperialiste occidentali.

L’asse Parigi-Berlino che ha costruito l’Unione, basato sulla forza politica della prima ed economica della seconda, si trova alle prese proprio con una profondissima crisi, sia politica che economica in entrambe le capitali.

La caduta del governo Barnier e gli scioperi in Volskwagen sono le cartine di tornasole del cul de sac in cui si è ficcata Bruxelles, a spese – fino a oggi – soprattutto dei lavoratori dell’area mediterranea e dei popoli della periferia integrata.

Le ricette per fronteggiare la lunga crisi europea vertono sull’aumento delle spese legate all’industria militare, con buon gioco dell’oltranzista Polonia che spinge sui venti di guerra e si proclama argine della “libertà occidentale”, spostando a est il baricentro politico dell’Ue.

Per chi vive e lavora nel nostro Paese, che sia stabile o precario, uomo o donna, giovane o anziano, poche buone nuove si affacciano all’orizzonte, su cui il ciclone Trump e i suoi alleati si apprestano ad affondare la loro clava reazionaria. E atomica, ca va sans dire...

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