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15/12/2024

Georgia - Il nuovo presidente non è riconosciuto dai filo-occidentali

Si è svolta ieri la votazione del nuovo presidente della Georgia, che ha registrato l'elezione di Mikheil Kavelashvili alla più alta carica dello stato, sostituendo così Salomé Zourabichvili (l’ex ambasciatrice di Francia a Tblisi, che ha sfruttato sei anni fa la sua doppia nazionalità).

Per la prima volta, dopo la riforma costituzionale del 2017, l’incarico non è stato scelto attraverso il voto diretto, ma da un consesso formato dai 150 parlamentari più 150 rappresentanti regionali.

Fuori dal parlamento, sono continuate le proteste che si sono intensificate dopo il 28 novembre, quando il primo ministro Irakli Kobakhidze ha deciso di sospendere il processo di adesione alla UE, almeno fino al 2028. La scelta è stata una risposta all’evidente ingerenza promossa nella vita politica interna del paese.

L’esito elettorale della fine di ottobre ha visto riaffermarsi nettamente il partito Sogno Georgiano, con circa il 54% dei consensi, in una tornata con l’affluenza in aumento rispetto alle precedenti elezioni. Nonostante vi siano state tensioni e violenze, alla fine nessun osservatore internazionale ha potuto riscontrare brogli di massa.

La Corte Costituzionale ha pertanto respinto il ricorso presentato da alcuni parlamentari e dalla stessa presidente uscente Zourabichvili, che si è peraltro rifiutata di presentare prove circa i fatti che avrebbero reso illegittime le elezioni. L’opposizione ha anche disertato la prima riunione del Parlamento e in molti si sono uniti alle proteste.

Zourabichvili si è rifiutata di cedere il proprio ruolo, affermando già a fine novembre: “non ci sarà nessuna inaugurazione e il mio mandato prosegue”. Secondo la Costituzione, però, il suo mandato dura fino al 29 dicembre, ma è chiaro che non è intenzionata a cedere il posto finché non verranno organizzate nuove elezioni.

È ciò che ha chiesto anche la UE in una sua risoluzione. I paesi occidentali hanno sostenuto le opposizioni e Zourabichvili, che giovedì si è incontrata con una delegazione del Parlamento Europeo che si è unita ai manifestanti antigovernativi: un’ingerenza straniera che in qualsiasi paese euroatlantico sarebbe stata considerata al pari di una dichiarazione di guerra.

Gli Stati Uniti hanno già imposto nuove sanzioni contro 20 esponenti georgiani per azioni volte a “danneggiare la democrazia in Georgia”, mentre lo stesso tema verrà discusso il 16 dicembre dai ministri degli Esteri della UE, riuniti da Kaja Kallas, la nuova Alta rappresentante per gli affari esteri comunitari.

Lunedì Kallas chiederà il mandato per esplorare gli aspetti tecnici necessari a imporre il congelamento dei beni e il divieto di viaggio a funzionari georgiani che, sembra, sono ancora da identificare. Ma è probabile saranno più o meno gli stessi già colpiti da misure simili decise dai paesi baltici a inizio mese.

È probabile che questo attendismo non sia legato unicamente alla delicata situazione istituzionale, ma anche alle dichiarazioni del ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó. Il quale, infatti, ha ospitato martedì scorso il suo omologo georgiano, Maka Botchorishvili, e ha dichiarato: “se una proposta del genere verrà presentata ufficialmente, ovviamente porremo il veto”.

Risulta evidente come tra Budapest e Tbilisi si condivida un approccio di maggior dialogo con Mosca, nodo centrale della divisione che ha preso piede nella vita politica della Georgia. Per motivi molto pragmatici, a partire dai timori di possibili tensioni come quelle della Repubblica dell’Ossezia del Sud, de facto indipendente e vicina alla Russia.

Le potenze euroatlantiche, infatti, come al solito spingono per mandare in prima linea gli altri paesi e popoli, mentre sono a loro a guadagnarne sul piano dello scontro internazionale. È questo che preoccupa la maggioranza georgiana e il nuovo presidente, eletto con 224 voti sui 200 necessari.

Non si deve nascondere la sua appartenenza a una formazione della destra conservatrice, ma sono insopportabili gli allarmismi lanciati in merito dai vertici di Bruxelles, la cui Commissione è stata da poco eletta con i voti dei meloniani (per non dire del governo francese, prima sostenuto e poi fatto cadere da Marine Le Pen). Le idee in tema di diritti civili e modello sociale che hanno tante formazioni cooptate nei governi occidentali non sono molto molto distanti da quelle di Kavelashvili, anzi...

Il problema è il non allinearsi alla guerra totale promossa dalle centrali imperialiste. Il nuovo presidente ha accusato molte organizzazioni non governative e membri dell’opposizione di essere manovrati da congressisti statunitensi che hanno “un desiderio insaziabile di distruggere il nostro paese” e di progettare “una rivoluzione violenta diretta e l’ucrainizzazione della Georgia”.

La polarizzazione del paese si fa sempre più calda, e mancano due settimane alla data in cui Zourabichvili dovrebbe lasciare il posto a Kavelashvili. Saranno due settimane che riveleranno se davvero il destino della Georgia sarà di finire come l’Ucraina.

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