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17/12/2024

UE - Debutto di Kallas al posto di Borrell, nel segno della guerra

Si è svolto ieri il primo Consiglio Affari Esteri (CAE) della nuova Commissione Europea, a cui ha fatto il suo debutto Kaja Kallas come Alto rappresentante per gli affari Esteri al posto di Josep Borrell, il teorico del “giardino” contro la “giungla”. L’approccio seguito dall’ex prima ministra dell’Estonia ha fatto presagire un mandato forse ancora più aggressivo del suo predecessore.

Alla riunione dei ministri degli Esteri UE sono state annunciate alcune novità gravide di conseguenze, sia sul piano del metodo sia su quello della sostanza. Partiamo dal metodo, che dimostra la volontà di una certa centralizzazione delle scelte in materia di rapporti internazionali, una verticalizzazione che ormai si vuole riguardi tutti i membri dell’Unione.

“Per avere discussioni più franche e aperte, propongo che alcune discussioni si svolgano in formato per soli ministri”, scrive Kallas in una lettera intitolata proprio “Metodo di lavoro”. Così da poter parlare più francamente di tematiche sensibili, senza il codazzo di funzionari che potrebbero far trapelare dichiarazioni informali un po’ troppo “scomode” per l’opinione pubblica.

La politica estone ha aggiunto anche che intende “invitare, quando necessario, l’Unità di analisi dell’intelligence del Servizio Europeo per l’Azione Esterna a informarci sul quadro delle minacce in un formato ristretto”. E poi concludere le riunioni con indicazioni operative e messaggi da usare nella comunicazione pubblica dei risultati degli incontri.

Insomma, maggior segretezza – e dunque minor capacità di verifica democratica delle scelte politiche – maggior peso delle visioni maturate all’interno dei servizi segreti, e scelte operative da portare al Consiglio Europeo, dove i vari capi di stato e di governo decidono gli effettivo indirizzi strategici e di intervento.

“Ci troviamo di fronte a sfide sempre più complesse, con altre potenze che lavorano insieme contro i nostri interessi e valori: la nostra risposta deve essere decisa e completa per soddisfare le nostre esigenze di sicurezza e prosperità”, conclude la lettera dell’Alto rappresentante. “In questo contesto è necessario adattare i nostri strumenti, i nostri bilanci e i nostri modi di lavorare”.

Arrivando perciò alla sostanza, a queste “potenze che lavorano insieme contro i nostri interessi”, i temi sul tavolo del CAE di ieri hanno evidenziato di nuovo come con questa formula si intenda “l’Asse del male“, ovvero Iran, Russia, Cina (e Corea del Nord, anche se stavolta non è stata citata).

Cominciamo dall’unico dossier che, per ora, è rimasto fermo: quello delle sanzioni a funzionari della Georgia, dopo che è stato chiesto al governo di Tbilisi di far ripetere le elezioni che hanno visto trionfare l’opzione non filo-occidentale. I rappresentanti di Ungheria, come già era stato preannunciato, e Slovacchia hanno posto il veto, e dunque la proposta di Kallas è stata bloccata.

Un’altra decisione è però passata, perché a differenza delle sanzioni richiedeva solo una maggioranza qualificata: la sospensione del regime di esenzione dal visto per i titolari di passaporti diplomatici. Lo scopo rimane la pressione sui vertici del paese caucasico affinché decidano di allinearsi alla politica di scontro nei confronti della Russia.

Proprio intorno alla questione russa girano le altre decisioni prese, assai più importanti e significative. Innanzitutto, è stato approvato il quindicesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca e contro quelle entità ed individui che sono accusati di sostenere, in maniera più o meno diretta, lo sforzo bellico russo.

Per la prima volta, la UE ha deciso di imporre misure sanzionatorie a pieno titolo anche ai cinesi, non in maniera indiretta. Gli obiettivi sono state sette tra aziende e personalità del Dragone: quattro avrebbero fornito a Mosca componenti microelettroniche e apparati sofisticati per la produzione di droni, mentre tre si sarebbero impegnate per trovare un modo di aggirare le sanzioni imposte alla Russia.

Infine, il dossier più delicato trattato dai ministri degli Esteri è stato sicuramente quello della Siria. Kallas ha fatto sapere che ha dato mandato al servizio diplomatico della UE di prendere contatto con il nuovo governo di Damasco, anche se viene confermato che ad ora i rapporti rimangono al piano diplomatico più basso, ovvero di incaricato d’affari.

L’atteggiamento nei confronti dei nuovi vertici siriani è stato diviso su due tronconi. Il primo riguarda le sanzioni che erano state implementate negli anni scorsi per strozzare il governo di Assad, e la cui revoca viene posta in collegamento diretto con la presenza in Siria.

Questa proposta è stata presentata dall’Olanda, ed è stata fatta subito propria da buona parte del consesso. La preoccupazione non riguarda solo l’influenza di Mosca (e di Teheran) negli affari siriani e mediorientali in generale, ma anche il fatto che le basi di Tartus e Latakia sono utilizzare dalla Russia per proiettarsi sul Mediterraneo e in Africa, che la UE considera il proprio “cortile di casa”.

In futuro poi, con tutta calma, verrà valutato l’atteggiamento dell’HTS nei confronti dei diritti civili, delle donne e delle minoranze etniche, e sulla base di un loro giudizio si deciderà come far evolvere le relazioni, dal mantenerle al minimo indispensabile al garantire pieno sostegno ai nuovi governanti di Damasco.

È chiaro che tale valutazione penderà da una parte o dall’altra in base al primo nodo, quello dell’allineamento in politica estera. Se la Siria romperà i rapporti con la Russia, allora magicamente i jihadisti diveranno dei “jihadisti democratici”, altrimenti ancora una volta i diritti civili verranno strumentalizzati per mascherare e legittimare le mire di potenza dell’imperialismo europeo.

La prima prova di Kallas è, in sostanza, una dichiarazione di guerra a tutto campo, a partire da quella commerciale. La crisi e il suo scivolamento verso una spirale bellica è l’unica promessa che manterrà la seconda Commissione von der Leyen.

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