Criature è il film di Cécile Allegra, regista romana al suo primo lungometraggio, ma che proviene da Parigi. Ha acquisito esperienza come inviata di guerra e ha fondato un Ong che offre assistenza ai sopravvissuti dei Lager in Libia.
Il titolo del film è espresso in napoletano, per meglio cogliere il nesso che lega le sequenze delle immagini alle periferie della città di Napoli. Criature ricorda il Cantico delle creature di San Francesco, che vivono in armonia con la natura (Dio), cioè il loro Creatore, che con le sue mani ha modellato l’argilla e gli ha dato vita. Tanto quanto rimanda a Napule è, la canzone di Pino Daniele, quando dice: “Napule è a voce de’ criature, Che saglie chianu chianu, E tu sai ca’ non si sulo”.
Infatti, il protagonista, un ex-insegnante, che lavora come Educatore di strada e quindi lotta contro la dispersione scolastica, può contare sul ritorno emotivo (ambivalente) delle Criature che cerca di strappare alla criminalità organizzata.
Alcuni dei ragazzi che frequentano la biblioteca, senza corrente elettrica, dove si tengono le lezioni di doposcuola, sulle note del Barone Rampante e sulla base di attività motorie e satiriche circensi, appartengono a famiglie direttamente coinvolte nelle guerre delle cosche della città, per il controllo del territorio. Il tema circense richiama, per certi aspetti, Il circo della farfalla, un cortometraggio ambientato, nel pieno della Grande depressione, che avvolge gli USA, negli anni '30 del secolo scorso.
Tuttavia, il protagonista di quest’ultimo documentario, un soggetto senz’arti, trova il suo numero all’interno del gruppo e quindi riesce ad autodeterminarsi, in quanto è in grado di “guadagnarsi da vivere” (in quel periodo, non c’era l’assistenza alle persone con disabilità – i ragazzi di Mimmo Sannino, invece, per il fatto che stanno fallendo a scuola, continuano ad essere considerati dalle istituzioni come dei “reietti”, una sorta “d’immondizia umana” e pare che possano trovare una collocazione solo se vivono sopra un albero, come fa il soggetto del romanzo di Italo Calvino).
In realtà, c’è un approccio ingenuo degli stessi adulti che narrano la storia, in quanto non si rendono conto che “siamo fatti dall’ambiente” ancor prima di provare a cambiarlo. Lo Stato di guerra è una condizione sempre più pregnante ed invadente: la guerra non è solo quella che si combatte migliaia di chilometri da noi.
Per dirla con Marx, anche i capitalisti sono delle “creature” del modo di produzione capitalistico. Non siamo al contrasto tra la visione reazionaria del “ciclo dei vinti” di Verga e il riscatto della classe operaia, dei sobborghi malfamati, descritti da Emile Zola.
Siamo alla crisi dello Stato sociale che si manifesta con la guerra di ognuno contro tutti e di tutti contro ognuno.
Semmai si volesse tessere un’analogia con la piaga della dispersione scolastica, allora si dovrebbe ricercare non solo nella pedagogia del movimento operaio degli anni '60 e '70, ma anche nelle lezioni di don Milani e don Roberto Sardelli.
Quest’ultimo racconta l’esperienza della scuola nelle baracche del Parco degli Acquedotti a Roma, negli anni '50 e '60 del XX secolo, prima che gli venisse assegnata una casa popolare...
C’è la piena occupazione e i genitori dei bambini che rimangono della baraccopoli vanno a lavorare, per mantenere le famiglie. In queste baracche, abitate da persone povere, senza acqua potabile e corrente elettrica, non predomina la rivalità o il desiderio bramoso di sopraffare l’altro: si cerca di trovare insieme una via d’uscita. Tant’è vero che le porte non sono chiuse a chiave e la comunità è legata da “sentimenti di solidarietà”, che sono espressioni del principio di solidarietà, uno tra quelli su cui si fonda la nostra Costituzione.
Per avere un’idea dell’aria che si respirava tra i baraccati dell’Acquedotto Felice, allego il link dell’intervista di Ascanio Celestini a Luigi Celidonio, un compagno della FLC del X Municipio di Roma, che è vissuto in quelle baracche, ma che ci ha lasciati prematuramente nel mese di settembre del 2024.
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