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02/12/2024

Siria - Una guerra di tutti contro tutti che favorisce la destabilizzazione

La tempistica degli eventi nel nord-ovest della Siria non sembra una coincidenza, poiché si è verificata subito dopo l’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Libano. Ma ci conferma anche che in Medio Oriente tutte le alleanze continuano ad essere “a geometria variabile” e non sempre di facile decifrazione.

Per la Siria, già sottoposta a bombardamenti frequenti e ripetuti da parte di Israele, l’incubo dell’instabilità sta diventando nuovamente una realtà. I miliziani jihadisti anti-Assad sono penetrati in profondità ad Aleppo rivelando – anche in questo caso – le gravi vulnerabilità della difesa siriana. L’esercito siriano è stato colto alla sprovvista, mentre il supporto aereo russo è arrivato troppo tardi e le milizie arabo-sciite alleate della Siria sembrano per ora scomparse dalla scena.

“Per Israele, l’indebolimento della presenza dell’Iran in Siria è vantaggioso perché interrompe il trasferimento di armi a Hezbollah” – scrive il Jerusalem Post“Tuttavia, l’emergere di gruppi islamisti rappresenta una nuova minaccia. Una Siria frammentata, dominata da fazioni estremiste, potrebbe portare a una rinascita del jihadismo globale simile all’ascesa dell’ISIS”.

Sottovalutando la situazione sul campo, Damasco, dopo più di quattro anni di tregua, aveva attuato una serie di riforme tra cui quella che ha portato ad un esercito volontario e abolito il servizio militare obbligatorio. Ma i bassi stipendi e l’incapacità dimostrata nel rispondere adeguatamente ai ripetuti raid israeliani hanno abbassato il morale delle truppe siriane.

Infine c’è stata una errata supposizione secondo cui la provincia di Idlib, l’ultima roccaforte dei ribelli jihadisti, non rappresentava più una minaccia significativa.

Ed invece i ribelli – guidati da Hayat Tahrir al-Sham (l’ex Fronte al Nusra, ramo siriano di Al Qaeda) – che promuovono una ideologia salafita-jihadista, che ricorda molto l’ISIS, sono passati all’offensiva. Secondo alcune fonti, armi di fabbricazione turca e sostegno finanziario del Qatar hanno avuto un ruolo decisiva in questa campagna. In sostanza si tratta dei due principali paesi del network dei Fratelli Musulmani al quale in Palestina fa riferimento Hamas.

Eppure anche i giornali vicini a Erdogan non paiono convinti che dietro l’offensiva dei miliziani ci sia il governo di Ankara, anzi qualcuno ipotizza che la decisione di riaprire il conflitto in Siria contrasti con le nuove relazioni regionali dello stesso Erodgan. Infine risulta anche che Hayat Tahrir al-Sham abbia acquistato numerosi droni dall’Ucraina. Esperti di Kiev addestravano da settimane i membri dell’HTS a Idlib con i droni.

I gruppi religiosi minoritari come gli alawiti (a cui appartiene Assad), i cristiani, gli ezidi, gli sciiti e i curdi affrontano adesso gravi rischi. Le forze curde, ad esempio, hanno preso preventivamente il controllo dei quartieri di Aleppo est per impedirne il controllo degli jihadisti, mentre i ribelli siriani filo-Ankara hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Tal Rifaat, a nord di Aleppo, strappandola alle Unità di protezione popolare curde (YPG).

Le milizie jihadiste hanno annunciato che consentiranno a tutte le unità combattenti curde delle Forze democratiche siriane (SDF) di lasciare la città di Aleppo “con le armi verso il nord-est della Siria in sicurezza”, secondo una dichiarazione del Dipartimento delle operazioni militari dell’operazione “Deterrenza dell’aggressione”.

“Non si può non constatare come l’attacco sia avvenuto mentre Israele, attraverso il suo premier Netanyahu, lancia pesanti avvertimenti a Damasco che farebbe transitare verso il Libano rifornimenti di armi per il movimento sciita Hezbollah”, sottolinea Michele Giorgio su Il manifesto. Le frontiere maledette del Medio Oriente dunque sono ancora in fiamme.

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