Un “patto d’acciaio” Londra-Bruxelles-Washington? Nel Regno Unito c’è chi lo desidera ardentemente. Nessun riferimento al cupo precedente dell’asse tra l’Italia fascista e la Germania nazista del 1939: qui si parla di acciaio vero, di una risorsa il cui mercato deve oggi gestire la sovracapacità cinese e la spinta a una risposta occidentale alla possibilità di un’invasione dei prodotti della Repubblica Popolare.
I timori del Regno Unito sul settore siderurgicoNel Regno Unito tiene banco il caso dell’acciaieria di Scunthorpe della British Steel, acquistata nel 2020 dalla cinese Jingye e in grave difficoltà, in un caso che ricorda molto da vicino quello italiano dell’Ilva di Taranto. Il governo britannico di Keir Starmer ha rilevato la gestione dell’impianto nei mesi scorsi e si trova in un contenzioso con Jingye per decidere come liquidare l’investitore cinese e nel frattempo intende coordinare la risposta al tema della sovracapacità cinese con gli alleati: Unione Europea e Stati Uniti.
Ad oggi, l’Ue ha in programma di imporre dall’1 luglio 2026 delle tariffe al 50% sulle importazioni d’acciaio e dall’1 gennaio entrerà in vigore il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam) che dovrà spingere gli importatori a pagare una tariffa compensativa per i prodotti importati da mercati con standard ambientali più laschi. Parimenti, Washington ha imposto con Donald Trump tariffe al 50% sui prodotti siderurgici in entrata, a cui Londra ha strappato lo sconto per un dimezzamento nell’accordo bilaterale con l’America.
La guerra siderurgica mondiale e i rischi per LondraPer Londra una guerra siderurgica mondiale senza schieramenti precisi rischia di essere rovinosa. Le condizioni finanziarie degli impianti sono tutte da definire, e inoltre esportando 1,9 milioni di tonnellate per un valore di 3 miliardi di sterline (poco meno di 4 miliardi di euro) nel blocco dei Ventisette Londra si troverebbe colpita nel 78% del suo export siderurgico dai nuovi dazi europei. Da qui la richiesta britannica di spostare il focus sulla Cina, che produce metà dell’acciaio mondiale: il rischio di finire vaso di coccio tra i vasi di ferro è palese.
Sir Chris Bryant, ministro britannico del Commercio, ha parlato con il Financial Times dell’eventualità di un patto a tre, Usa-Ue-Uk, per contrastare la Cina e implementare un accordo simile a quello della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca) predecessore della Comunità Economica Europea e dell’attuale Unione Europea. Bryant, nota il Ft, propone di “stringere un’alleanza per proteggersi dall’acciaio ingiustamente sovvenzionato, gran parte del quale proviene dalla Cina”, abbattendo i dazi interni ai rispettivi mercati e innalzandoli in forma comune verso gli operatori esterni.
Del resto, nota il Ft, “secondo l’Ocse, l’eccesso di capacità produttiva globale di acciaio ha raggiunto i 600 milioni di tonnellate lo scorso anno, pari a quasi un quarto della capacità produttiva mondiale. Si prevede che tale eccesso aumenterà a 721 milioni di tonnellate entro il 2027, in gran parte dovuto alla Cina, che produce 1 miliardo di tonnellate di acciaio all’anno”.
Il nodo della sovracapacità cinese dell’acciaioLa sovracapacità rischia di mandare fuori mercato i produttori americani ed europei e di creare una dipendenza vincolante da fornitori terzi in un asset strategico per la produzione industriale e la sicurezza economica. Londra vuol giocare il proprio ruolo di pontiere per un triangolo con Bruxelles e Washington, ponendosi come facilitatore politico tra le due sponde dell’Atlantico.
Va detto che la Cina ha a sua volta iniziato a affrontare la questione della sovraproduzione, che sottrae risorse e fa girare a vuoto la macchina economica nazionale. Della scorsa settimana è la notizia di un piano per programmare un rientro concreto da una condizione di eccessivo ampliamento delle maglie. I prezzi hanno beneficiato di questa stretta annunciata, che però è ben distante dalle richieste occidentali di maggior chiarezza. Il dialogo tra alleati sul fronte dell’acciaio può aprire la strada a un nuovo progetto di ibridazione tra sicurezza economica, dinamiche commerciali e scelte tariffarie. E testare come in tempi di tensioni commerciali intorno all’Occidente un fronte che coniuga industria e sicurezza delle filiere possa creare consenso laddove spesso c’è soprattutto rottura.
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