tratto dal libro di E. Brancaccio e M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Il Saggiatore, Milano 2012 (cap. 5, pp. 51-53).
Si può supporre che un singolo uomo, per
quanto potente, sia in grado di “muovere” i mercati? E’ davvero
concepibile che un anonimo gambler delle Bahamas, o anche i pochi ospiti
di una pur raffinata cena newyorkese a base di filet mignon, possano
sedersi di fronte ai loro terminali e lanciare un attacco speculativo
coordinato capace di demolire le fondamenta di una unione monetaria
edificata con enormi sforzi dalle massime autorità politiche dei
principali paesi europei? In effetti gli approcci di teoria economica
critica riconoscono da tempo che i mercati finanziari possono esser
condizionati dall’esistenza di centri di potere, ossia di “pastori” che
guidano il “gregge” della gran massa degli operatori. Ed è interessante
notare che anche nell’ambito della teoria economica dominante non viene
più data per scontata l’idea di un mercato finanziario di pura
concorrenza, costituito da una miriade di operatori privi di qualsiasi
potere sui prezzi. Pure tra gli economisti ortodossi, infatti, si fanno
strada linee di ricerca che individuano nei soggetti più forti – i
cosiddetti large players della finanza – il potere di condizionare la
dinamica delle contrattazioni. Nouriel Roubini, assieme agli italiani
Giancarlo Corsetti e Paolo Pesenti, ha fornito spunti analitici
interessanti, in tal senso. Una simile evoluzione della ricerca non deve
del resto sorprendere: dai fondi d’investimento alle grandi banche
d’affari, passando per le famigerate agenzie di rating, la tendenza del
mercato finanziario ad assecondare processi di concentrazione del
capitale, delle informazioni e del potere è sotto i nostri occhi.
A quanto pare, dunque, la possibilità
che esistano uomini capaci di “muovere” il mercato è largamente
riconosciuta nel dibattito accademico. Tuttavia occorre un chiarimento:
ammettere che possano esistere trame e accordi in grado di condizionare i
movimenti dei mercati finanziari e gli stessi destini dell’euro non
fornisce alcun supporto all’idea che vi sia una sorta di “piano segreto”
all’origine della crisi. Questa precisazione è doverosa, considerato il
successo di cui oggigiorno gode quella strana miscela di ipotesi
fantasiose e di populismo ingenuo che va sotto il nome di
“cospirazionismo”. L’errore fondamentale dei cospirazionisti verte sul
fatto che essi concepiscono la Storia come una pianificata sequenza di
complotti orditi da singoli o da gruppi, con tanto di nomi e cognomi,
provenienze, affinità elettive e talvolta persino etnie e preferenze
sessuali. Per questi pedestri interpreti del nostro tempo, il corso
degli eventi seguirebbe un unico filo rosso che va dal Protocollo dei
Savi di Sion alla Trilaterale, naturalmente passando per l’immancabile
gruppo Bilderberg. Al di là delle invenzioni, delle imprecisioni e del
razzismo strisciante che spesso caratterizza tali chiavi di lettura, il
loro limite di fondo è che esse sono assolutamente banali. La meccanica
del potere, infatti, è in ultima istanza sempre riconducibile a trame,
accordi, coalizioni e a “movimenti di truppe”. Tuttavia, occorre
comprendere che le azioni individuali o di gruppo che possono dirsi
vincenti, che cioè realmente incidono sul processo storico, sono
soltanto quelle che si muovono lungo il solco tracciato da forze
gigantesche di tipo impersonale. La lezione di Althusser è in tal senso
più che mai attuale: il movimento della storia dovrebbe in generale
esser considerato “un processo senza soggetto”, che sceglie i suoi
protagonisti solo tra coloro che riescono ad assecondarne il corso e
magari ad intercettare i suoi snodi, le sue congiunture, le sue
contraddizioni interne, prima e meglio di altri. La speculazione può
fungere in tal senso da amplificatore dell’instabilità, da potente
acceleratore della crisi, ma per avere successo deve sempre muoversi in
simbiosi con le forze del processo storico.
Attribuire dunque ai commensali di
Manhattan il ruolo di “grandi orologiai” è al tempo stesso scontato e
fuorviante, e non ci fa compiere un passo verso la comprensione delle
determinanti della crisi europea. Piuttosto, occorre capire quali siano
le soverchianti forze impersonali che possono rendere vincente la
scommessa degli speculatori contro l’euro. A tale scopo, bisognerà
comprendere perché, date le sue caratteristiche originarie, l’Unione
monetaria europea è sempre stata esposta al rischio che forze
centrifughe potentissime la facessero a un certo punto esplodere.
Indagare sui fattori di propulsione di queste forze distruttive è un
compito molto meno agevole di quelli ai quali solitamente si dedicano
gli amanti delle tesi cospirazioniste, ma è anche infinitamente più
importante. E’ ad esso quindi che dedicheremo la nostra attenzione nelle
prossime pagine. [...]
Con riferimento alle manovre
speculative giocate sulle debolezze della zona euro, rinviamo
all’articolo di S. Pulliam, K. Kellyand e C. Mollenkamp, “Hedge funds
try ‘career trade’ against euro”, The Wall Street Journal, 26 febbraio
2010. Per un approfondimento circa il ruolo svolto dai grandi fondi
speculativi nelle crisi valutarie degli anni novanta, cfr. G. Corsetti,
P. Pesenti e N. Roubini, “The role of large players in currency crises”,
NBER, Working Paper No. 8303, Maggio 2001.
tratto dal libro di E. Brancaccio e M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Il Saggiatore, Milano 2012 (cap. 5, pp. 51-53).
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