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11/02/2014

Banalità del cospirazionismo

tratto dal libro di E. Brancaccio e M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Il Saggiatore, Milano 2012 (cap. 5, pp. 51-53).

Si può supporre che un singolo uomo, per quanto potente, sia in grado di “muovere” i mercati? E’ davvero concepibile che un anonimo gambler delle Bahamas, o anche i pochi ospiti di una pur raffinata cena newyorkese a base di filet mignon, possano sedersi di fronte ai loro terminali e lanciare un attacco speculativo coordinato capace di demolire le fondamenta di una unione monetaria edificata con enormi sforzi dalle massime autorità politiche dei principali paesi europei? In effetti gli approcci di teoria economica critica riconoscono da tempo che i mercati finanziari possono esser condizionati dall’esistenza di centri di potere, ossia di “pastori” che guidano il “gregge” della gran massa degli operatori. Ed è interessante notare che anche nell’ambito della teoria economica dominante non viene più data per scontata l’idea di un mercato finanziario di pura concorrenza, costituito da una miriade di operatori privi di qualsiasi potere sui prezzi. Pure tra gli economisti ortodossi, infatti, si fanno strada linee di ricerca che individuano nei soggetti più forti – i cosiddetti large players della finanza – il potere di condizionare la dinamica delle contrattazioni. Nouriel Roubini, assieme agli italiani Giancarlo Corsetti e Paolo Pesenti, ha fornito spunti analitici interessanti, in tal senso. Una simile evoluzione della ricerca non deve del resto sorprendere: dai fondi d’investimento alle grandi banche d’affari, passando per le famigerate agenzie di rating, la tendenza del mercato finanziario ad assecondare processi di concentrazione del capitale, delle informazioni e del potere è sotto i nostri occhi.

A quanto pare, dunque, la possibilità che esistano uomini capaci di “muovere” il mercato è largamente riconosciuta nel dibattito accademico. Tuttavia occorre un chiarimento: ammettere che possano esistere trame e accordi in grado di condizionare i movimenti dei mercati finanziari e gli stessi destini dell’euro non fornisce alcun supporto all’idea che vi sia una sorta di “piano segreto” all’origine della crisi. Questa precisazione è doverosa, considerato il successo di cui oggigiorno gode quella strana miscela di ipotesi fantasiose e di populismo ingenuo che va sotto il nome di “cospirazionismo”. L’errore fondamentale dei cospirazionisti verte sul fatto che essi concepiscono la Storia come una pianificata sequenza di complotti orditi da singoli o da gruppi, con tanto di nomi e cognomi, provenienze, affinità elettive e talvolta persino etnie e preferenze sessuali. Per questi pedestri interpreti del nostro tempo, il corso degli eventi seguirebbe un unico filo rosso che va dal Protocollo dei Savi di Sion alla Trilaterale, naturalmente passando per l’immancabile gruppo Bilderberg. Al di là delle invenzioni, delle imprecisioni e del razzismo strisciante che spesso caratterizza tali chiavi di lettura, il loro limite di fondo è che esse sono assolutamente banali. La meccanica del potere, infatti, è in ultima istanza sempre riconducibile a trame, accordi, coalizioni e a “movimenti di truppe”. Tuttavia, occorre comprendere che le azioni individuali o di gruppo che possono dirsi vincenti, che cioè realmente incidono sul processo storico, sono soltanto quelle che si muovono lungo il solco tracciato da forze gigantesche di tipo impersonale. La lezione di Althusser è in tal senso più che mai attuale: il movimento della storia dovrebbe in generale esser considerato “un processo senza soggetto”, che sceglie i suoi protagonisti solo tra coloro che riescono ad assecondarne il corso e magari ad intercettare i suoi snodi, le sue congiunture, le sue contraddizioni interne, prima e meglio di altri. La speculazione può fungere in tal senso da amplificatore dell’instabilità, da potente acceleratore della crisi, ma per avere successo deve sempre muoversi in simbiosi con le forze del processo storico.

Attribuire dunque ai commensali di Manhattan il ruolo di “grandi orologiai” è al tempo stesso scontato e fuorviante, e non ci fa compiere un passo verso la comprensione delle determinanti della crisi europea. Piuttosto, occorre capire quali siano le soverchianti forze impersonali che possono rendere vincente la scommessa degli speculatori contro l’euro. A tale scopo, bisognerà comprendere perché, date le sue caratteristiche originarie, l’Unione monetaria europea è sempre stata esposta al rischio che forze centrifughe potentissime la facessero a un certo punto esplodere. Indagare sui fattori di propulsione di queste forze distruttive è un compito molto meno agevole di quelli ai quali solitamente si dedicano gli amanti delle tesi cospirazioniste, ma è anche infinitamente più importante. E’ ad esso quindi che dedicheremo la nostra attenzione nelle prossime pagine. [...]
         
Con riferimento alle manovre speculative giocate sulle debolezze della zona euro, rinviamo all’articolo di S. Pulliam, K. Kellyand e C. Mollenkamp, “Hedge funds try ‘career trade’ against euro”, The Wall Street Journal, 26 febbraio 2010. Per un approfondimento circa il ruolo svolto dai grandi fondi speculativi nelle crisi valutarie degli anni novanta, cfr. G. Corsetti, P. Pesenti e N. Roubini, “The role of large players in currency crises”, NBER, Working Paper No. 8303, Maggio 2001.
         
tratto dal libro di E. Brancaccio e M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Il Saggiatore, Milano 2012 (cap. 5, pp. 51-53).

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