La provincia di Anbar continua ad essere il teatro dei settarismi
iracheni: da una parte il governo centrale, sostenuto dalle tribù
locali, e dall’altra i qaedisti dell’ISIL che controllano parte delle
città di Fallujah e Ramadi. Provocando un vero e proprio esodo: secondo
dati delle Nazioni Unite, nelle ultime sei settimane oltre
300mila civili residenti nella regione sunnita sono stati costretti a
lasciare le proprie case e le proprie comunità a causa delle violenze.
Oltre 50mila famiglia sono fuggite da Ramadi e Fallujah, molte delle
quali rifugiatesi in province distanti da quella di Anabar. Numeri che
fanno salire il numero dei profughi iracheni interni a oltre un milione e
centomila unità, persone costrette a lasciare le proprie case per la
totale mancanza di sicurezza nel Paese, scosso da attentati giornalieri e
scontri tra miliziani islamisti e forze governative.
La provincia di Anbar, teatro di tensioni anche durante l’era Saddam,
è oggi uno degli epicentri dei settarismi che insanguinano l’Iraq,
specchio dell’incapacità del governo sciita del premier Al Maliki di
garantire un minimo di unità interna. A dicembre miliziani dello
Stato Islamico dell’Iraq e del Levante hanno assunto il controllo di
interi quartieri di Ramadi e Fallujah e innalzato le bandiere di Al Qaeda su stazioni di polizia e edifici governativi occupati. Le
forze militari non sono subito intervenute su ordine dello stesso
Maliki, che ha chiesto alle truppe di arretrare come segno di buona
volontà e dialogo con le frange sunnite. A causa
dell’intensificarsi delle violenze, però, il governo ha optato per
un’ingente operazione militare volta a riprendere il controllo della
provincia con l’aiuto delle tribù locali – tradizionalmente lontane dal
governo centrale, ma ora molto più spaventate dall’avanzata repentina di
Al Qaeda.
Ad oggi la situazione non è ancora risolta: se a Ramadi le
truppe governative hanno riassunto il controllo di alcuni quartieri, a
Fallujah è l’ISIL a mantenere forti le proprie posizioni. Il
governatore di Anbar, Ahmed al-Dulaimi, nei giorni scorsi aveva dato ai
miliziani una settimana di tempo per lasciare l’area, per poi trovarsi
di fronte al no di Baghdad, non affatto intenzionato a negoziare con i
jihadisti. Al contrario, Maliki ha annunciato ieri l’integrazione delle
milizie delle tribù nell’esercito regolare e nelle forze di polizia, nel
tentativo di combattere con più efficacia i gruppi qaedisti.
“La vittoria sui terroristi non sarebbe possibile senza
l’unità del governo locale di Anbar e le sue tribù e senza il coraggio
dell’esercito iracheno”, ha detto Maliki, aggiungendo di aver
positivamente accolto le iniziative proposte dai leader tribali e di
voler risarcire le famiglie dei martiri e coloro che hanno subito danni
alle proprietà.
La decisione del governo è stata accolta anche dal partito sunnita
Iraqiya, storico avversario dell’esecutivo Maliki, spesso accusato di
voler emarginare politicamente le fazioni sunnite: “Sosteniamo questo
passo del governo perché è parte delle richieste dei manifestanti – ha
detto il parlamentare di Iraqiya, Qais Al-Shadhar, riferendosi alle
lunghe proteste della comunità sunnita che chiede la fine delle
discriminazioni politiche, economiche e sociali da parte di Baghdad –
Questa misura potrebbe servire a riavviare la riconciliazione
nazionale”.
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