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03/03/2014

Speciale Africa: Le crisi senza fine nel continente nero

Neocolonialismo: tra i primi venti “Stati falliti” quindici sono africani. Si moltiplicano le emergenze umanitarie dovute alle strategie di destabilizzazione dei Paesi occidentali.

STATI FALLITI E TRIBALIZZAZIONE

La principale attribuzione di uno Stato sovrano è quella di esercitare il monopolio della forza sul suo territorio ed assicurare ai propri cittadini i servizi fondamentali. La definizione di failed state si riferisce a un Stato dove questo non avviene più. Nella classifica 2013 degli Stati falliti, pubblicata da Fund for Peace, le prime quattro posizioni sono occupate da Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Sud e Nord Sudan. Tra i primi venti Paesi ce ne sono soltanto cinque non africani (Iraq, Afghanistan, Yemen, Haiti e Pakistan).

La Somalia, da anni indiscussa capolista, è un po' il prototipo dello Stato tribalizzato dopo il clamoroso fallimento dell'intervento militare occidentale a metà anni '90 che sancì il trionfo dei signori della guerra. Oggi è divisa in tre zone autonome e la sua instabilità rischia di contagiare tutta la regione (vedi attentato al centro commerciale di Nairobi del 21/9).

Politici ed opinionisti occidentali si mostrano preoccupati dalla possibilità che uno Stato fallito diventi la base per organizzazioni criminali e terroristiche, ma il collasso di questi Stati è il risultato di strategie di destabilizzazione, economiche o militari, cinicamente messe in atto dai Paesi ricchi a fini di controllo geopolitico e di appropriazione delle risorse naturali. Anche la proliferazione delle milizie, che ormai si spostano agevolmente tra frontiere sempre più “porose”, non è casuale ma deriva da una “tribalizzazione pianificata” come quella che stiamo osservando in Siria. E poco importa se molte di queste milizie fanno parte della galassia islamista che a parole si dice di voler combattere. Si finanziano finché fanno comodo, e quando non servono più si spazzano via facilmente con un rapido intervento militare (come quello francese in Mali).

Negli ultimi mesi del 2013 le emergenze umanitarie dovute a strategie di questo tipo si sono drammaticamente manifestate in diversi Paesi africani. In questo articolo ne vediamo un breve panorama.

REPUBBLICA CENTROAFRICANA

Ai tempi degli Imperi coloniali era nota come Oubangui-Chari ed era considerata la cenerentola delle colonie francesi. Dopo l'indipendenza (1960) una continua sequela di colpi di Stato - tutti con il beneplacito di Parigi - ha portato al potere personaggi impresentabili quali il folle Jean Bédel Bokassa, che nel 1976, dopo dieci anni di presidenza, arrivò ad autoproclamarsi “Imperatore del Centrafrica”. Poi i Francesi si stufarono e nel 1979 lo destituirono (“Operazione Barracuda”).

Grande quanto la “madrepatria” ma con soli 5 milioni di abitanti (l'11% sieropositivi, speranza di vita 48 anni) non ha sbocco sul mare e confina con vicini molto “caldi” come il Ciad, i due Sudan e la Repubblica Democratica del Congo.

È ricca di acqua, di biodiversità e di importanti risorse naturali: legname, uranio (controllato dalla multinazionale francese Areva), oro e diamanti. Ma è uno dei Paesi più poveri del mondo (179° su 187 Paesi in classifica) ed è al 9° posto nella classifica degli Stati falliti.

Nel 2002 a seguito dell'ennesimo golpe (appoggiato dal Ciad e dalla Francia) era salito al potere un ex generale di Bokassa, François Bozizé. Già tra il 2003 e il 2007 Bozizé aveva dovuto fronteggiare le milizie di Séléka (“Alleanza”), ma i militari francesi in appoggio a Bozizé lanciarono una serie di attacchi aerei contro la Séléka.

Bozizé però ha commesso un errore: come rivela un cablo di Wikileaks (2009), cercava di rafforzare i legami economici e commerciali con la Cina. Così a dicembre 2012, quando la Séléka ha attaccato di nuovo, la Francia non ha mosso un dito. I ribelli hanno quindi conquistato agevolmente la capitale Bangui

I combattenti della Séléka sono in maggioranza musulmani e appartenengono a gruppi etnici presenti nel nord del Paese, in Ciad e Sudan; molti sono reduci del Darfur e non mancano i criminali comuni. Dopo la presa del potere i miliziani sarebbero aumentati da 5.000 a 20.000, sono ben addestrati e armati e possono contare sul sostegno occulto del Ciad, formalmente neutrale. Molti degli abusi sono stati commessi dai vari capi locali di Séléka, così nelle province occupate si sono formate milizie cristiane di autodifesa (anti-balaka, cioé anti-machete) e i profughi sono arrivati a circa un milione. Amnesty International parla di emergenza umanitaria fuori controllo e di gravi violazioni dei diritti umani da parte di tutte le fazioni.

A rendere lo scenario ancora più intricato (e drammatico per i civili), ci sono anche le forze armate ugandesi a caccia della famigerata Lord’s Resistance Army, la milizia fondamentalista cristiana del predicatore pazzo Joseph Kony.

Intanto Michel Djotodia, il capo della Séléka, ha dichiarato che caccerà i sudafricani, colpevoli di aver sempre appoggiato Bozizé. Neanche il Sudafrica emergente di “San” Mandela sembra infatti rifuggire da tentazioni “sub-imperialiste” nella regione.

NIGER

Il Niger, ex colonia francese, è di nuovo colpito dalla carestia e circa un milione di persone si troverebbe senza accesso al cibo.

Crisi di questo tipo si erano già verificate nel 2005, 2010 e 2012 a causa di fenomeni climatici estremi. Ma la causa principale è il sottosviluppo pianificato del Niger sotto il neocolonialismo francese.

Il Niger è grande quattro volte l'Italia ma ha solo 17 milioni di abitanti. Gran parte del suo territorio è arido, ma è il quinto maggior produttore mondiale di minerale di uranio. Ha anche oro, ferro, molibdeno, stagno, sale, gesso e fosfati e sono stati individuati vasti giacimenti di petrolio e gas. Tuttavia si trova all'ultimo posto per indici di sviluppo umano su 187 Paesi censiti. Nella classifica degli Stati falliti è 18°.

Areva gestisce nel Paese quattro miniere di uranio che assicurano il combustibile ad almeno un terzo delle centrali nucleari transalpine. Il 21 dicembre scorso la gente è scesa in piazza per chiedere al governo di non rinnovare la concessione.

SUD SUDAN

A metà dicembre nel Sud Sudan è iniziato un conflitto armato tra i seguaci dell'ex vice presidente Riek Machar (di etnia nuer) e quelli del presidente Salva Kiir (dinka), che ha causato oltre mille morti e 20 mila sfollati. Attualmente le milizie di Machar controllano due capoluoghi regionali.

Il Sudan del Sud è l'ultimo nato (2011) tra gli Stati indipendenti africani. Nonostante le panzane dei media ufficiali (i “sudisti” cristiani buoni contro i musulmani cattivi del nord) la secessione è stata fomentata da diversi Paesi occidentali per evitare che la Cina si assicurasse il controllo delle risorse petrolifere della regione: qui sono localizzati quasi l'80% dei giacimenti dell'intero Sudan. Ma il Sud non ha sbocco sul mare, il petrolio può essere esportato solo da Port Sudan (che appartiene al Nord) e questa controversia continua a generare scontri di confine. C'è l'ipotesi di un nuovo oleodotto (dovrebbe costruirlo la Toyota) per trasportare il petrolio a Lamu, in Kenya, una zona incontaminata dove la popolazione sta protestando contro un progetto che sarebbe devastante per l'ecosistema.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Il 30 dicembre violenti scontri sono scoppiati a Kinshasa, Lumumbashi e Kindu tra le forze di sicurezza congolesi e i seguaci di Joseph Mukungobila Mutombo, candidato sconfitto alle elezioni di sette anni fa dall'attuale presidente Kabila, che avevano occupato la TV di Stato e altri obiettivi a scopo puramente dimostrativo. Mukungobila, pastore evangelico autonominatosi “le prophète de l'Éternel”, promette di liberare la RDC dalla tirannia di Kabila e del Rwanda. Negli scontri sono stati uccisi alcune decine di ribelli.

La Repubblica Democratica del Congo, ex Congo Belga e Zaire, è grande più di 7 volte l'Italia e ha quasi 80 milioni di abitanti. È ricchissima di risorse naturali (oro, coltan, uranio, diamanti) ma è al penultimo posto assoluto per gli indici di sviluppo umano.

Nel nord-est della RDC c'è il Kivu, la regione più calda del mondo, da dove proviene l'80% del coltan estratto nel mondo, essenziale per le batterie di pc e cellulari. Numerose milizie (armate e finanziate dal Rwanda) rapiscono i bambini per utilizzarli come soldati e nelle miniere e violentano le donne in massa per costringere la popolazione a fuggire. Sulle terre lasciate libere arrivano sedicenti “profughi” che se ne impadroniscono. I minerali vengono trasporati in Rwanda e il loro commercio controllato dalle multinazionali. Il Rwanda, dove sono tornati al potere i tutsi, è grande appena quanto la Svizzera ma armato fino ai denti da diversi Paesi occidentali, compreso Israele.

Negli anni '90 il Kivu è stato il detonatore delle due cosiddette Guerre Mondiali africane, che hanno coinvolto una decina di Paesi e causato sei milioni di morti.

L'anno appena iniziato non promette niente di buono. A queste crisi se ne aggiungeranno probabilmente delle altre, perché le ricchezze dell'Africa sono troppo importanti per lasciarle agli africani.

Nello Gradirà

Tratto da Senza Soste n.89 (gennaio-febbraio 2014)


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