La recente crisi di governo in Francia, con il “licenziamento” dei
ministri anti-austerità e la loro sostituzione con solerti funzionari
della politica economica ferocemente antipopolare che vede tutti i
governi europei, di destra come di “sinistra”, impegnati a massacrare
livelli di occupazione e di reddito e qualità della vita dei propri
cittadini, ha scatenato l’entusiasmo dei media italiani, Corriere della Sera
in testa, che hanno salutato con gioia l’epurazione degli eretici
allievi delle teorie dell’odiato neokeynesiano Thomas Piketty e
reiterato le lodi nei confronti del nostro amato leader Renzi, immune da
analoghe tentazioni paleo sinistrorse.
Prosegue intanto l’assordante silenzio sugli effetti sempre più
evidenti di politiche che, in barba allo strombazzato, e a parole
universalmente condiviso, obiettivo di rilanciare crescita e sviluppo,
appaiono inequivocabilmente autolesionistiche anche dal punto di vista
capitalistico. Siamo dunque di fronte a un rincoglionimento generale di
politici, media e padroni?
In un articolo ripreso dall’Huffington Post,
Jaques Attali tenta un’altra spiegazione (già anticipata dal titolo “Il
consumatore ha sconfitto il lavoratore?”): queste scelte sarebbero il
risultato della preoccupazione dei politici di accontentare gli
elettori-consumatori, il cui consenso viene giudicato assai più
importante di quello degli elettori-lavoratori ai fini della
conservazione del potere. Ecco perché l’obiettivo di controllare
l’inflazione (e quindi i prezzi di beni e servizi) prevale
sull’obiettivo di preservare i livelli di occupazione (e quindi i
livelli retributivi).
La spiegazione può apparire bizzarra, ove si consideri che
consumatori e lavoratori sono sostanzialmente le stesse persone, per cui
la tesi adombra una sorta di schizofrenia acquisita dei
cittadini-elettori, dovuta al prevalere di una “narrativa” che vede
destra e sinistra impegnate a descrivere la società in termini di
categorie cultural generazionali (vecchi e giovani, uomini e donne,
consumatori e lavoratori, ecc.) per cancellare ogni memoria delle
“vecchie” appartenenze di classe e dei relativi interessi.
Eppure la tesi non è priva di un qualche merito, ove la si consideri
da un altro punto di vista, ove cioè la si rilegga a partire dalle tesi
dell’economista conservatore americano, Tyler Cowen, il quale, nel saggio “Average is Over”, descrive con crudo cinismo un processo destinato a generare in breve tempo una società oligarchica.
Il mercato del lavoro, sostiene Cowen, è destinato a subire, a causa
della rivoluzione tecnologica in corso, un’irreversibile trasformazione
che produrrà tre distinti strati sociali: una minoranza vincente
attorno al 10% – che otterrà redditi e qualità della vita sempre più
elevati – e una massa di perdenti che si divideranno fra una classe
media impoverita e una massa di esclusi ancora più miserabili.
Per evitare che scoppi una rivoluzione, argomenta Cowen, occorre un
nuovo contratto sociale, bisogna cioè garantire agli esclusi beni e
servizi (in primo luogo abitazioni) a basso costo, privarli dei vecchi
servizi sociali ma lasciare loro in tasca abbastanza soldi perché non si
ribellino.
Ecco dunque riformulata la tesi di Attali, non nei termini ideologici
dell’interesse del consumatore, bensì nella più cinica e realistica
prospettiva di come condurre la “guerra di classe dall’alto” di cui
parla Gallino senza provocare pericolose rivolte sociali.
Carlo Formenti
Fonte
Che poi in in breve è il modello liberista squisitamente anglosassone.
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