Il presidente Obama lo ammette: “nessuna strategia” contro l’avanzata
dello Stato Islamico in Siria e Iraq. Ma, avverte, gli Stati Uniti
stanno lavorando a diverse opzioni militari per fermare gli islamisti.
“Non metto il carro prima del cavallo – ha detto Obama – Non abbiamo
ancora una strategia. Il nostro obiettivo adesso è proteggere gli
obiettivi americani in Iraq, la nostra ambasciata, i consolati, il
personale”.
Fonti della Casa Bianca riportano l’intenzione di Obama di
attendere il summit della Nato previsto per fine settembre così da
vagliare la possibilità di una nuova coalizione di volenterosi per
intervenire in Siria. I dubbi intorno a bombardamenti contro le
postazioni Isis sono tanti: Washington non intende coordinarsi
con il governo di Damasco né aiutare l’esercito di Assad ad avanzare
nelle aree occupate dai ribelli. Allo stesso tempo, le informazioni in
mano all’intelligence Usa non sono sufficienti: a differenza dell’Iraq,
dove gli Stati Uniti ricevono informazioni da kurdi e iracheni, in Siria
godono di una rete molto meno efficiente. Da qui la decisione
di far partire per ora solo aerei di ricognizione che individuino le
postazioni jihadiste e i loro movimenti, soprattutto al confine con
l’Iraq e intorno alla roccaforte islamista di Raqqa.
In Iraq si preferisce invece operare con i raid “umanitari”,
bombardamenti mirati nelle comunità assediate delle minoranze irachene.
Ora sul tavolo sta l’assedio della città turkmena di Amerli, dove
restano intrappolati nelle mani dell’Isis 12-15mila turkmeni. Negli ultimi giorni, i raid sono diminuiti e proseguono solo le operazioni via terra di esercito iracheno e peshmerga kurdi che nei giorni passati hanno ottenuto alcuni risultati.
Ieri i miliziani kurdi hanno ripreso sette villaggi a nord della
strategica diga di Mosul, mentre l’esercito iracheno rioccupava il
villaggio di al-Hamra, vicino Tikrit, roccaforte baathista, e la strada
di collegamento tra una base militare e la raffineria di Baiji, su cui
da tempo l’Isis ha poggiato gli occhi. Ripresi anche due giacimenti
petroliferi a nord.
Dall’altra parte del confine, la situazione si aggrava a sud del
territorio siriano dove negli ultimi mesi si sono radunate le
opposizioni islamiste al presidente Assad, rivali dell’Isis. L’avanzata
del gruppo di al-Baghdadi ha spinto verso sud Fronte al-Nusra e altri
gruppi islamisti che nei giorni scorsi hanno occupato l’unico valico di
frontiera con Israele, a Quneitra. Un’azione che preoccupa Tel
Aviv e adesso anche le Nazioni Unite, presenti lungo la zona cuscinetto
con una missione di interposizione. Ieri sono stati rapiti 43 caschi blu dell’Undof, mentre altri 81 restano intrappolati tra Ar Ruwayhinah e Burayqah.
Colpi di mortaio, dovuti ai duri scontri in corso tra esercito siriano e
opposizioni, sono arrivati in territorio israeliano ferendo due
soldati.
A nord le violenze arrivano dalla rete: nei giorni scorsi dopo la
presa della base dell’aviazione militare di Taqba, una delle principali
del paese, i miliziani hanno barbaramente ucciso 250 soldati governativi
e mostrato i loro corpi senza vita, nudi, ammassati a terra.
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