Continua il contenzioso tra Buenos Aires e Washington.
L’Argentina ha portato alle Nazioni Unite la sua battaglia legale contro i fondi speculativi statunitensi, “diventati ormai un ostacolo per i paesi che versano in difficoltà”, ha accusato il ministro dell’Economia, Axel Kicillof, parlando a un comitato creato dall’Assemblea Generale dell’Onu per analizzare le procedure di ristrutturazione dei debiti sovrani. Occorre che l’Onu si attivi “procedendo alla definizione di un quadro internazionale”, per evitare che i ‘fondi avvoltoio’ raccolgano “guadagni scandalosi” ha detto Kicillof, criticando i “parassiti specializzati” nell’acquistare debito di paesi in crisi; il potere di questi fondi, ha insistito, “è insopportabile”.
Kicillof ha poi ricordato che i problemi legali che affronta l’Argentina nei tribunali di New York partono dalla cessazione dei pagamenti nel 2001 per un valore di 81 miliardi di dollari, sebbene la maggior parte sia stata ristrutturata. “È un problema economico, ma mette anche in gioco le relazioni fra i paesi. È ora che l’Onu se ne occupi” ha insistito il ministro argentino.
“Abbiamo bisogno di strumenti più potenti per discutere i problemi del debito”, gli ha fatto eco l’ambasciatore boliviano all’Onu, Sacha Llorenti.
La vicenda ha origine col default del 2001, quando Buenos Aires cessò i pagamenti sul debito sovrano per circa 100 miliardi di dollari. Contrariamente al 93% dei creditori, il fondo speculativo Nml Capital, divisione di Elliott Management del miliardario statunitense Paul Singer, non accettò di concedere alcuno sconto e dopo il ‘default’ comprò titoli di debito per 220 milioni di dollari a prezzi stracciati pagandoli 50 milioni per poi chiedere il pieno rimborso per un valore che, dopo 13 anni è salito ormai a oltre 800 milioni. A questi si sono uniti altri fondi che insieme detengono 1,3 miliardi di debito argentino.
Si tratta peraltro di “hedge fund” (fra i quali, oltre a Nml Capital, anche Aurelius Capital Management) specializzati in speculazione: Singer già negli anni '90 era riuscito contro il Perù a ottenere 70 milioni di dollari contro i 15 milioni di titoli che aveva rastrellato e in seguito, nel 2002, per 20 milioni di debito in suo possesso aveva obbligato la Repubblica del Congo a pagarne addirittura 90.
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