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05/08/2015

Cina - Il socialismo di mercato nel confronto tra tre economisti: M. Lieberman, R. Hall e L. Vasapollo

Capitalista/Socialista? Qual'è il ruolo della pianificazione/e del Mercato in Cina? Che cos'è la Cina di oggi? Come va letta politicamente e socialmente?

Oggi della Cina si dice a volte tutto il male possibile, altre volte la si dipinge come il paese del futuro... sì, ma come va "decifrata"?

In questo senso la Cina appare come un grande interrogativo. Viene criticata contemporaneamente da destra e da sinistra, salvo poi dover ammettere il suo peso e la sua forza complessiva sul piano internazionale.

Il problema è che la realtà cinese pone (in particolare ai comunisti) domande fondamentali, come quelle sulle caratteristiche del socialismo nel terzo mondo (secondo la definizione di Mao e Deng del 1974), sul futuro del socialismo, sul bilancio della fine dell'Urss e del campo socialista, ecc... questioni di una tale rilevanza che richiederebbero lo sforzo congiunto delle migliori menti accademiche marxiste a livello globale.

E tuttavia alcuni elementi di base su cui innestare la discussione esistono e costituiscono la base della stampa sinologica occidentale, al 99% ostile alla Cina, ma che vengono presentati come dati di fatto e anzi sulle quali si costruiscono le argomentazioni, e dunque risulta assurdo che dal lato dei comunisti questi punti di realtà ormai consolidati non vengano posti come base di una discussione che comunque prima o poi sarà necessario affrontare.

Consideriamo che la politica economica cinese e il modello di socialismo di mercato/con caratteristiche cinesi è più o meno lo stesso da trentasette anni, se consideriamo il 1978 come anno di partenza. Nel 2018 saranno trascorsi quarant'anni dal lancio della politica di Riforma e Apertura.

E' con l'aiuto delle riflessioni di tre economisti che andiamo a descriverne brevemente le caratteristiche fondamentali, sperando che ciò contribuisca a chiarire il ruolo di questo tipo di sistema.

A livello teorico i riferimenti in economia presi in considerazione sul tema sono due: per l'economia borghese, il testo di Marc Lieberman (autore anche di un volume sulla conversione al capitalismo dei sistemi socialisti dell'Europa orientale) e di Robert Hall, "Principi di economia" e per la parte marxista il Trattato di critica dell'economia convenzionale di Luciano Vasapollo, "Un sistema che produce crisi" vol. I 2013. Questo ovviamente solo come bibliografia di partenza.

Ma perché partire da due testi occidentali, nonostante gli approcci e le visioni molto differenti dei tre autori? Cosa c'entra la Cina con l'economia politica (occidentale)?

Nel rispondere a questa domanda bisogna considerare che la Cina ha inizialmente adottato il socialismo di mercato sulla base dello studio dei sistemi di alcuni paesi esteri: la Yugoslavia, e alcuni paesi dell'Europa dell'Est. In seguito l'ha "sinizzato", e oggi si parla più propriamente di "socialismo con caratteristiche cinesi".

Ma a livello teorico il sistema è concepito da vari economisti, e per esigenze di semplificazione partiamo innanzitutto dal modello teorico.

Lieberman e Hall a pag. 38 dell'edizione italiana per Apogeo del loro manuale di base di economia (2000), presentano il seguente schema a quattro:



Questo schema riporta una divisione tra la proprietà delle risorse, che riflette sul piano giuridico i rapporti sociali di produzione da un lato, e i sistemi di allocazione delle risorse dall'altro.

Dicevamo che lo schema è semplificato perché i metodi di allocazione delle risorse universalmente riconosciuti sono tre: l'economia di mercato, l'economia pianificata, l'economia tradizionale.

Quest'ultima non è riportata nello schema perché teoricamente precede lo stato moderno, il capitalismo e il socialismo, e dal punto di vista strettamente marxista è peggio del capitalismo stesso. Tuttavia in alcune transizioni in America latina (Bolivia) e anche in alcune fasi storiche passate in Urss e in Cina, il ruolo dei contadini è stato spesso di grande rilevanza anche per i sistemi socialisti o che tendono alla transizione socialista.

Il grande vantaggio di questo schema che si avvale del contributo della scienza economica borghese degli ultimi cento anni, è quello di aver scorporato i rapporti di produzione capitalismo/socialismo dai sistemi di allocazione delle risorse.

Un sistema di allocazione risponde alle tre domande:

1) Quali beni e servizi dovrebbero essere prodotti con le risorse della società?

2) Come bisognerebbe produrli?

3) A chi si dovrebbero destinare?

Un sistema economico è costituito da due fattori: un sistema di allocazione delle risorse e una modalità di proprietà delle risorse.

Vediamo che in questo caso il sistema sinovietnamita (anche il Vietnam lo ha adottato ufficialmente) di socialismo di mercato è prodotto della combinazione tra un sistema di allocazione delle risorse di mercato e un sistema di proprietà delle unità produttive in gran parte pubblica.

E' dunque uno dei quattro sistemi economici possibili.

Nello schema appare anche il Capitalismo a pianificazione centralizzata, che fa riferimento al Giappone, alla Svezia e agli Usa nella fase del keynesismo di guerra.

Lo schema con la sostituzione dei paesi al posto dei sistemi economici che li rappresentano apparirebbe così:



Dicevamo, il vantaggio della scorporazione è che non si parla più di "capitalismo di stato", utilizzando quest'espressione per descrivere i sistemi economici più disparati, dallo stato interventista in Europa che segue la crisi del '29, all'Urss, a qualunque forma di entità economica pubblica che però segua i metodi di gestione del capitalismo privato.

Scorporando i sistemi di allocazione da quelli di proprietà emerge uno schema preciso che contiene i quattro sistemi economici oggi possibili, escluse le economie tradizionali. Altri non ve ne sono nella fase attuale, a meno che non aggiungiamo un'altra colonna e un'altra riga per la fase del comunismo per ora solo a livello teorico.

La controprova della validità di questo schema ce la dà Vasapollo, che tratta il tema del modello economico socialista nel suo Manuale di Economia Applicata ed in particolare nei capitoli "Impresa ed economia nel socialismo" e "Obiettivi del modello economico socialista"

Vasapollo parla di alcuni modelli di economia socialista:

1) modello di pianificazione centralizzata;

2) modello di pianificazione decentralizzata;

3) modello riformato;

4) modello duale flessibile (Cina).

Le riflessioni di Vasapollo rappresentano un'ulteriore sottocategorizzazione dei sistemi socialisti.

In particolare qui quello che l'economia borghese definisce socialismo di mercato Vasapollo lo identifica come "modello duale flessibile".

Tenendo presente che anche nel capitalismo è presente un minimo di livello di pianificazione, soprattutto sulle scelte microeconomiche, segue il seguente schema:

- Capitalismo: Mercato (macro) --> Pianificazione (micro)

- Socialismo: Pianificazione (macro) ---> Mercato (micro)

Nel capitalismo la componente di mercato sarebbe maggioritaria a livello macro-economico, e la pianificazione avrebbe un ruolo microeconomico a livello di piani d'impresa.

Al contrario nel socialismo la pianificazione sarebbe l'elemento che controlla l'allocazione macroeconomica delle risorse, e il mercato avrebbe un ruolo molto limitato e sottoposto all'autorità centrale.

Questa caratteristica la ritroviamo nel sistema cinese, in cui la pianificazione esiste tutt'ora, vengono infatti ancora varati i piani quinquennali (siamo al 13 esimo, dal 2016 al 2020), che determinano le condizioni macroeconomiche degli investimenti, e quindi della crescita, nonché il tasso di cambio, l'emissione di moneta, la politica fiscale, e in gran parte anche la politica dei redditi e dei prezzi.

In breve lo stato cinese controlla i quattro strumenti della politica economica, e il mercato ha di fatto un ruolo molto più limitato di quanto si creda.

Per Vasapollo, le caratteristiche fondamentali di un'economia socialista si possono riassumere in due principi:

a) predominio della proprietà collettiva dei mezzi di produzione fondamentali e del credito;

b) orientamento generale dell'economia verso la massimizzazione del benessere sociale della popolazione.

Nell'ambito di questi principi fondamentali risulta inseribile il modello cinese, che conserva le caratteristiche fondamentali del socialismo, sebbene Vasapollo sia ben consapevole dei limiti teorici e pratici di questo modello.

 Cito integralmente:
"La scomparsa del campo socialista ha reso più evidente e obbligato l'uso di strumenti mercantili con sperimentazione di forme di economia mista comunque a controllo statale, senza i quali le imprese di un paese ad economia socialista non potrebbero sopravvivere nel vorace e crudele mercato internazionale. 
Sebbene l'esperienza mostri che è stato necessario adattarsi alle oscillazioni dei prezzi e della domanda, a cercare finanziamenti e, in generale, ad agire secondo le regole legali, commerciali e finanziarie che reggono queste relazioni, si deve tener presente che il permanere della legge del profitto nelle relazioni monetario-mercantili e la stessa presenza nel mercato di tali elementi limitano lo sviluppo delle relazioni sociali di produzione nella costruzione di una nuova società a carattere socialista. Queste sono le concrete contraddizioni e i grandi limiti di quello che viene definito socialismo "di" mercato."
Da queste riflessioni il modello di socialismo di mercato dopo la scomparsa del campo socialista appare da un lato come un passaggio in qualche modo obbligato, dall'altro ne appaiono evidenti i limiti.

Abbiamo riportato il pensiero di autori così diversi, indipendentemente dalle loro differenti posizioni in merito, per dimostrare che la teoria del socialismo di mercato che la Cina ha adottato, ha delle basi teoriche maggiori di quanto si creda e dunque vada preso sul serio.

Il dibattito dev'essere innanzitutto sul modello, poi si può passare a ritrovarne le caratteristiche nella realtà cinese. In questo caso le discrepanze possono essere ampie, o minori rispetto al modello.

Ad esempio Deng Xiaoping sosteneva che il socialismo ha quattro compiti:

1) sviluppare le forze produttive;

2) eliminare lo sfruttamento;

3) eliminare la polarizzazione sociale;

4) portare la prosperità per tutti;

Ora è evidente che sul primo e in gran parte sul quarto punto c'è una grande consonanza tra le speranze espresse alla fine degli anni '70 e la realtà. Il tenore di vita è aumentato enormemente, milioni di persone sono uscite dalla povertà, la disoccupazione è praticamente inesistente al 4%.

In Cina di fatto il lavoro è un diritto garantito, non un privilegio.

Gli uomini ancora oggi vanno in pensione a 55-60 anni e le donne a 50 (55 se fanno parte di enti governativi).

Se confrontato con le misure nostrane ci viene da piangere, e sottolineiamo che misure del genere contribuiscono a tenere bassa la disoccupazione, liberando il prima possibile posti di lavoro.

Sul secondo e sul terzo punto c'è ancora molto da lavorare. Sicuramente il terzo è quello più problematico, ma è anche sintomatico della fase di sviluppo. Di esempi del genere se ne possono fare tanti.

Tuttavia senza un modello teorico di riferimento la realtà cinese diventa contraddittoria e il suo successo "inspiegabile" o spiegabile con argomentazioni semplicistiche.

Non si tratta della giustificazione teorica del potere del Pcc in Cina o un adattamento posteriore della teoria ai fatti. E' una teoria con una sua dignità che la Cina ha adottato perché all'epoca è sembrato il modello che maggiormente si adattava alle condizioni di arretratezza del paese.

E che i comunisti lo debbono prendere sul serio e confrontarsi con questa realtà, senza approcci da tifosi pro o contro ma dal punto di vista della teoria marxista.

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