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24/08/2015

Crollano le piazze asiatiche. E' di nuovo crisi globale

Non ha retto la prima diga alzata dalla Banca centrale cinese contro l'esplosione della bolla speculativa cresciuta nelle piazze finanziarie del paese nel corso dell'ultimo anno e mezzo. E la centralità ormai assunta dall'economia di Pechino nel sistema globale, e soprattutto su quello asiatico, trascina con sé tutto il continente.

Shanghai crolla dell'8,19% e l’indice di Shenzhen lo imita prontamente, perdendo il 7,02%. Neanche la libertà concessa dallo State Council ai fondi pensione statali – acquistare titoli azionari era fin qui proibito – ha frenato la caduta. Di fatto, le piazze cinesi hanno a questo punto azzerato i guadagni realizzati nell'ultimo, folle, anno. Sembra a questo punto più che evidente come vaste quote di capitali stiano lasciando il sistema cinese, convinte che non sia più tempo per guadagni mostruosi come quelli degli ultimi venti anni.

L’Hang Seng di Hong Kong – piazza più internazionale, quindi tradizionalmente meno sensibile alle pressioni speculative interne – è questa volta crollata del 4,2%.

Istantanee come le contrattazioni informatiche le conseguenze per le altre borse del continente. Taiwan si allinea alle dinamiche dell'ex “madrepatria” perdendo il 7,4%, così come Tokyo (-4,5%).

Ma sarebbe sbagliato credere che si tratti di una tempesta soltanto asiatica. Venerdì a New York l'indice Dow Jones aveva perso il 3,12%, mentre l'indice tecnologico Nasdaq era crollato del 4,28. E lo stesso avevano fatto ovviamente le piazze europee, con perdite medie intorno al 3%.

Il prezzo del petrolio, di conseguenza, è caduto ancora oltre i minimi degli ultimi mesi. La qualità Wti (West Texas Intermediate) è caduta sotto la soglia dei 40 dollari al barile (39,85), dopo aver toccato il minimo a 39,71, il livello più basso da marzo 2009. Il Brent è sceso invece a 45,02 dollari al barile, come non avveniva da 6 anni; ovvero poco dopo l'esplosione della crisi finanziaria globale che ancora non si è affatto chiusa.

Sui mercati pesano non soltanto le preoccupazioni per la tenuta della crescita cinese – nell'ultimo decennio l'unico fattore di “tranquillità” in una tendenza negativa globale – ma anche, e forse soprattutto, quelle per le mosse della Federal Reserve statunitense, che aveva di fatto annunciato un rialzo dei tassi di interesse dopo quasi sei anni a quota zero. Non ultima, però, c'è anche la crisi greca. Le dimissioni di Tsipras e le elezioni da indire per la fine di settembre, anche se si tratta di mosse sotto controllo da parte dell'Unione Europea, mettono infatti in qualche misura a rischio la stabilità del paese (i risultati non sono affatto scontati), ingigantendo i dubbi già stratosferici sull'efficacia del cosiddetto “terzo piano di salvataggio”.

Non lo dite subito a Renzi, né ai 200 finanziari o imprenditori che hanno usato il Corriere per ribadire il loro apprezzamento per il loro uomo a palazzo Chigi. Non c'è da cavalcare una mini-ripresa, ma la tempesta del secolo.

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