Un articolo dell’Huffington Post interviene sulla polemica fra il New York Times e il boss di Amazon, Jeff Bezos, innescata dal recente servizio
che il prestigioso quotidiano ha pubblicato sulle spaventose condizioni
di lavoro che il colosso globale del commercio online impone ai propri
dipendenti. Il tema non è nuovo (anche in Europa ci sono state denunce del fenomeno e diverse vertenze sindacali) ma il pezzo dell’Huffington Post
arricchisce il dossier di alcuni particolari raccapriccianti, come i
“processi” nei confronti dei dipendenti “pigri” (spesso istruiti in base
alla delazione di qualche collega, pratica che viene sistematicamente
incoraggiata e premiata dalla direzione), laddove il concetto di
pigrizia è ben definito da una ex dipendente: “se non sei in grado di
dare assolutamente tutto per 80 ore settimanali, vieni classificato come
un peso da scaricare”. E ancora: dipendenti malati di cancro
rimproverati per il loro scarso rendimento e via di questo passo.
Ma in fondo non c’è motivo di stupirsi. Infatti, come recita
giustamente il titolo dell’articolo, “Amazon si è limitata a
perfezionare ciò che la cultura americana del lavoro ha creato”. Un
concetto ribadito da Sydney Finkelstein, un docente di management che
dichiara all’autrice del pezzo: “Amazon sta perfezionando il modello di
business americano: lavorare giorno e notte: loro rappresentano la punta
di diamante che traccia il futuro del lavoro nel nostro Paese, ci fanno
vedere cosa ci aspetta e non è un bel vedere”.
Ma non si era detto che le condizioni del lavoro nell’industria hi
tech sono le migliori che un lavoratore possa sognare? Chi non ricorda
le descrizioni entusiastiche di un ambiente di lavoro come il
Googleplex, cuore dell’impero del motore di ricerca? La verità è che il
panorama è assai variegato e le condizioni possono variare
significativamente da un’impresa all’altra, come ricorda l’articolo di
cui mi sto qui occupando.
Articolo che però omette di chiarire come le condizioni, più che in
relazioni alle politiche aziendali, cambino in relazione
all’appartenenza ai diversi strati di lavoratori: da un lato, una
minoranza di privilegiati (che spesso hanno, fra gli altri, il compito
di studiare come aumentare la produttività dei colleghi “meno
meritevoli”), dall’altro lato una maggioranza di addetti a mansioni
esecutive (non a caso i lavoratori più schiavizzati da Amazon sono gli
addetti ai magazzini di stoccaggio delle merci) che sono oggetto di
tassi feroci di sfruttamento. Una stratificazione di classe che emerge
anche dai conflitti sempre più frequenti fra élite tecnologiche e
lavoratori dei servizi che operano nelle stesse aree geografiche.
Resta solo da aggiungere che Amazon non è un modello solo per le
imprese americane ma anche per quelle di tutto il mondo, Italia
compresa. Un filo rosso congiunge il viaggio di Matteo Renzi negli Stati
Uniti e la sua visita-omaggio ai boss di Silicon Valley con il Jobs Act
che sta concludendo in questi giorni il suo iter parlamentare: con la
legittimazione del controllo tecnologico a distanza dei lavoratori
(ciliegina sulla torta degli altri attacchi ai loro diritti contenuti in
quel provvedimento) si apprestano gli strumenti per trasformare anche i
nostri operai e impiegati nei nuovi schiavi del XXI secolo.
Carlo Formenti
(24 agosto 2015)
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