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22/08/2015

Palestina - Abu Mazen sempre più despota ma sogna la pensione

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Tra ten­ta­zioni auto­ri­ta­rie e un pre­sunto desi­de­rio di farsi da parte, l’80enne pre­si­dente Abu Mazen inten­de­rebbe con­fer­mare dopo l’estate due appun­ta­menti che fino a qual­che anno fa rap­pre­sen­ta­vano sca­denze fon­da­men­tali per la poli­tica interna pale­sti­nese: a set­tem­bre il Con­si­glio Nazio­nale Pale­sti­nese (Cnp) – il par­la­mento dei pale­sti­nesi, nei Ter­ri­tori occu­pati e in esi­lio – e a novem­bre il set­timo Con­gresso del suo par­tito, Fatah. L’idea sarebbe quella di far scor­rere san­gue fre­sco nelle arte­rie indu­rite dell’Organizzazione per la Libe­ra­zione della Pale­stina (Olp), del suo Comi­tato ese­cu­tivo e anche in quelle di Fatah, per avviare nuove poli­ti­che dopo quelle fal­li­men­tari degli ultimi 20 anni segnate da nego­ziati inu­tili e inter­mit­tenti con Israele. Ma anche per con­tra­stare meglio la cre­scita del movi­mento isla­mico Hamas che già con­trolla Gaza e che, secondo un’opinione dif­fusa, sarebbe il par­tito di mag­gio­ranza anche in Cisgior­da­nia diver­sa­mente da ciò che indi­cano i sondaggi.

Abu Mazen negli ultimi anni, di pari passo all’impossibilità di tro­vare qual­che tipo di intesa con il pre­mier israe­liano Neta­nyahu, ha irri­gi­dito la sua poli­tica interna, finendo per assu­mere un atteg­gia­mento auto­ri­ta­rio verso avver­sari e  dis­si­denti. Dopo il con­flitto con l’ex uomo forte di Fatah a Gaza, Moham­med Dahlan, espulso da Fatah ma mai defi­ni­ti­va­mente scon­fitto (resta influente in Cisgior­da­nia e a Gaza), Abu Mazen è andato allo scon­tro aperto con l’ex pre­mier e un tempo suo alleato Salam Fayyad – accu­sato di pro­get­tare un “golpe” – e più di recente ha rotto le rela­zioni con Yas­ser Abed Rabbo, por­ta­voce dell’Olp durante la prima Inti­fada e uno degli espo­nenti pale­sti­nesi più noti negli anni suc­ces­sivi alla firma degli Accordi di Oslo del 1993.

Abed Rabbo, accu­sato di essersi avvi­ci­nato a Moham­med Dahlan, prima si è sco­perto “dimis­sio­nato” dall’incarico di Segre­ta­rio del Comi­tato ese­cu­tivo dell’Olp e poi si è visto seque­strare i fondi della sua ong, Pale­sti­nian Peace Coa­li­tion, fon­data nel 2003 con l’appoggio dell’allora pre­si­dente Yas­ser Ara­fat. Due mesi fa invece furono con­fi­scati i fondi (10 milioni di dol­lari) di ‘Future of Pale­stine’, un’altra ong gui­data da Salam Fayyad.

Da un lato l’atteggiamento di Abu Mazen gode dell’appoggio della mag­gio­ranza di Fatah e di un numero signi­fi­ca­tivo di pale­sti­nesi, che non hanno mai avuto par­ti­co­lare stima e sim­pa­tia per Abed Rabbo, Dahlan, Fayyad. Dall’altro serve a masche­rare la crisi della linea di Abu Mazen che per anni ha cre­duto di rea­liz­zare i diritti dei pale­sti­nesi dando fidu­cia alla media­zione degli Stati Uniti che non sono e mai saranno arbi­tri neu­trali nel que­stione israelo-palestinese. Ed è utile anche per rimuo­vere i riflet­tori pun­tati sulla coo­pe­ra­zione di sicu­rezza tra l’intelligence pale­sti­nese e quella israe­liana, lar­ga­mente con­te­stata nei Ter­ri­tori occu­pati. Senza dimen­ti­care il fal­li­mento di Abu Mazen nella vicenda di Gaza. La ricon­ci­lia­zione con Hamas non è mai avve­nuta, anche per le gravi respon­sa­bi­lità dello stesso pre­si­dente pale­sti­nese. La Stri­scia resta sotto il pieno con­trollo del movi­mento isla­mico che da parte sua, deciso a tenersi stretta la muni­scola Gaza, cerca ora di tro­vare un accordo sepa­rato con il “nemico israe­liano”, a svan­tag­gio dell’unità ter­ri­to­riale palestinese.

Stando a quanto rife­riva un paio di giorni fa Hani al Masri sul quo­ti­diano pale­sti­nese al Ayyam, Abu Mazen sta­rebbe pen­sando di dimet­tersi nei pros­simi mesi e potrebbe annun­ciare una deci­sione defi­ni­tiva durante la riu­nione allar­gata di 300 rap­pre­sen­tanti poli­tici che si terrà dopo la ses­sione del Con­si­glio Nazio­nale Pale­sti­nese. «È diritto del pre­si­dente pen­sare di pas­sare il suo man­dato – ha scritto Masri – per­ché con­ser­varlo signi­fica soste­nere la farsa del cosid­detto pro­cesso di pace e la situa­zione attuale che sta ulte­rior­mente emar­gi­nando la causa pale­sti­nese e appro­fon­dendo l’occupazione e gli inse­dia­menti colo­nici. Il suo ritiro dalla carica dopo aver rin­no­vato la legit­ti­mità pale­sti­nese, attra­verso il Cnp e il Con­gresso di Fatah, può essere la solu­zione più appropriata».

Tut­ta­via è legit­timo doman­darsi, come fa un altro poli­to­logo pale­sti­nese molto noto, Talal Akwal, che senso ha par­lare di rin­no­va­mento delle isti­tu­zioni e di un nuovo pre­si­dente, quando forze poli­ti­che di massa come Hamas sono fuori dall’Olp e non è pre­vi­sta una ini­zia­tiva demo­cra­tica in cui i diritti di tutte le parti siano rico­no­sciuti. Manca un “con­tratto sociale” fon­dato sui prin­cipi che met­tono insieme tutti i pale­sti­nesi. Il timore di tanti è che la con­vo­ca­zione fret­to­losa del Cnp serva in realtà solo ad aprire la strada al suc­ces­sore di Abu Mazen, gra­dito a Usa e Europa ma non rico­no­sciuto da tutti i pale­sti­nesi, laici e isla­mi­sti. Come Majed Faraj, il capo dell’intelligence dell’Anp indi­cato da più parti come colui che pren­derà il posto di Abu Mazen.

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