di Francesca La Bella
Una protesta contro il mancato smaltimento dei rifiuti. Così sono state
presentate le manifestazioni che hanno attraversato il Libano in questi
giorni. Con una facile metafora, c’è chi si è spinto ad
affermare che la dirigenza politica libanese vada eliminata, come la
spazzatura ormai da molti giorni nelle strade di Beirut a
seguito della chiusura di una delle discariche più grandi del Paese. Per
alcuni analisti questo movimento sarebbe assimilabile, per linguaggio e
pratiche, a quelli che, a partire dal 2011, diedero vita alla primavera
araba. L’eccezionalità della situazione libanese lascia, però, spazio
ad altre interpretazioni di questi avvenimenti.
Il Paese dei Cedri vive da più di un
anno una condizione di vacuum istituzionale dovuto all’impossibilità di
eleggere un Presidente a causa dei veti incrociati delle principali
forze politiche. Questo ha significato, da un lato, un’estenuante
contrattazione tra le parti che ha posto in secondo piano la discussione
di provvedimenti economici e sociali per migliorare le condizioni di
vita dei libanesi e, dall’altro, ha accresciuto il malcontento della
popolazione verso l’una o l’altra fazione. Le divisioni in seno
al Parlamento e alla società libanese sono, infatti, profonde e
trascendono dalla realtà nazionale, investendo questioni d’area d’ampio
respiro. Il flusso continuo di profughi a causa delle guerra
siriana e la diversa posizione assunta dai partiti libanesi in merito
alla guerra stessa, lo schieramento dei due principali attori nell’area,
sauditi e iraniani, al fianco del Governo i primi e a sostegno
dell’opposizione sciita guidata da Hezbollah i secondi, sono fattori di
primaria importanza per la comprensione degli eventi di questi giorni.
Laddove esiste una frattura sia politica
sia sociale tra le parti di tale rilevanza, la partecipazione a questa
tipologia di proteste, anche se formalmente scevre da posizioni di
parte, apparentemente comporta un’intrinseca appartenenza all’uno o
all’altro schieramento. In questo caso, le manifestazioni per il
mancato ritiro dei rifiuti e contro la corruzione, sono indirizzate
anche e soprattutto alle politiche di liberalizzazione del Primo
Ministro Tammam Salam e, di conseguenza, facilmente assimilabili a
coloro che rappresentano la principale forza di opposizione: Hezbollah.
Per quanto questa definizione possa risultare parziale e, in una certa
misura, riduttiva della reale proporzione di un fenomeno in divenire,
essa ci aiuta a leggere con maggiore chiarezza le risposte del Governo.
La costruzione di un muro a difesa
dell’ufficio del Primo Ministro, l’accusa di infiltrazione di membri di
Hezbollah in manifestazioni inizialmente pacifiche e l’invito ai propri
cittadini a non visitare il Libano di alcuni Paesi del Golfo (Bahrein,
Kuwait e Arabia Saudita) sono le evidenze di un processo di
settarizzazione delle proteste. Il ridimensionamento degli
eventi a scontro politico tra fazioni consentirebbe da un lato di
persuadere buona parte dei manifestanti ad abbandonare le piazze e,
dall’altro, permetterebbe una repressione più mirata. In questo
senso, l’utilizzo strumentale di un movimento di protesta sia da parte
del Governo sia da parte dell’opposizione non è fatto nuovo né nel Medio
Oriente attraversato dalla Primavera Araba né in altre parti del mondo.
Questo non dovrebbe, però, porre in secondo piano le legittime
motivazioni di chi si oppone alle politiche governative. Che si tratti
di appartenenti a gruppi politici consolidati o di persone mobilitatesi
per la prima volta, nell’eterogenea partecipazione alle piazze
libanesi si può leggere il malcontento per una cattiva gestione della
questione rifiuti e per la dilagante corruzione, ma anche la bocciatura
di una classe politica, spesso eterodiretta, incapace di guardare ai
bisogni della società libanese nel suo complesso.
Per quanto le situazioni siano sempre
uniche e sia preferibile non confrontare esperienze diverse, la dinamica
in atto in Libano oggi ricorda in alcuni aspetti quella turca di
maggio-giugno 2013. Le persone scesero in strada a difesa degli alberi
di Gezi Park nonostante il problema fosse ben più vasto e complesso da
analizzare rispetto ad una “semplice” protesta ambientalista. Allo
stesso modo le manifestazioni di “You Stink”, nate per il mancato
smaltimento dei rifiuti, sembra possano contenere molte più variabili
rispetto a quelle percepibili a prima vista. Nel contesto libanese,
però, l’interdipendenza tra dinamiche interne ed internazionali potrebbe
svolgere un ruolo determinante nell’evoluzione successiva della
questione.
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