Quanto sia nuociuto di più a Khaled al-Asaad se la passione per le antiche vestigia di Palmyra, di cui è stato sino alla morte fedele difensore, o la vicinanza al presidente Bashir al-Asad (assonanza nel cognome ma non omonimia né familiarità, e chi l’ha conosciuto afferma neppure prossimità politica), non è dato sapere. Resta la fine, crudelissima com’è nella pratica dei fanatici del Daesh. Sequestrato, sgozzato, appeso a una colonna. A ottantuno anni. L’uomo, che aveva studiato storia all’università di Damasco, s’era per suo conto appassionato all’arte, alle antichità presenti nell’area natìa e da autodidatta aveva iniziato ad approfondire la materia. Capitello per capitello, fra le vestigia irradiate di luce una passione smisurata l’aveva collocato al fianco di archeologi e poi sempre più su, l’aveva reso responsabile dello straordinario tesoro serbato nei millenni fra le sabbie rosate di quel deserto. Una barbarie già attiva sui libri antichi di Mosul, quindi sulle statue del museo di quella città e su siti archeologici anneriti dall’oscurantismo dei miliziani di Al-Baghdadi, ha reso bersaglio l’anziano archeologo. Coi suoi figli Khaled da alcuni mesi aveva trasferito i tesori di pietra trasportabili fuori dall’area di Palmyra in un nascondiglio rimasto fortunatamente tuttora segreto. Per salvarli dal contrabbando illegale con cui il Califfato rimpingua le sue casse, in alternanza alla propagandistica distruzione. I miliziani neri volevano strappare ad Asaad notizie su quel luogo, lui temporeggiava, fino a rifiutarsi categoricamente di riferire. Già vedeva la mazza distruttrice con cui alcuni miserabili cecchini dell’arte s’erano, nei mesi scorsi, immortalati mentre perpetravano il proprio scempio. Oppure pensava al losco mercimonio. Perciò no, e no. Khaled non ha parlato neppure di fronte alle minacce d’una morte atroce. Ha conservato la sua missione: custodire un patrimonio basato su epoche, generazioni, popoli che attraversano secoli. Questo - accanto alla bellezza architettonica, alla purezza stilistica - rappresenta la magnificenza di Palmyra (e d’ogni sito storico): essere testimonianza d’un passato che ha valore in sé oltre il pensiero umano e la fede divina. L’arte è sempre stata e sarà una materia speciale che avvicina l’immanente al trascendente. Il martire Khaled ne è stato un angelo.
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